Il Papa boccia la strana liturgia dei neocatecumenali

[ di Sandro Magister www.chiesa.espressonline.it]

Un libro autorizzato dai fondatori Kiko e Carmen fa l’apologia del Cammino, dottrinale e liturgica. Ma sul modo con cui celebrano la messa le critiche del Papa restano intatte.

ROMA, 24 gennaio 2005 – Tra i nuovi movimenti sorti nella Chiesa cattolica negli ultimi decenni – sui cui “pericoli” ha messo in guardia un editoriale della “Civiltà Cattolica” del 19 agosto 2004 – ce n’è uno che più di altri è sotto osservazione: il Cammino Neocatecumenale.
Iniziato nel 1964 in Spagna da Francisco “Kiko” Argüello e da Carmen Hernández (nella foto), il Cammino ha avuto uno sviluppo impressionante in tutto il mondo. Il 29 giugno 2002 la Santa Sede ne ha approvato lo statuto. Ma con ciò gli esami non sono finiti. Quello stesso anno, il 21 settembre, Giovanni Paolo II ha ricordato ai capi del Cammino: “Spetta ora ai dicasteri competenti della Santa Sede esaminare il direttorio catechetico e tutta la prassi catechetica nonché liturgica del Cammino stesso”.
In effetti, i catechismi scritti da Kiko e Carmen, che modellano l’intero Cammino, non sono stati mai resi pubblici, e sono tutt’ora sotto l’esame della congregazione vaticana per la dottrina della fede.
Scritti “in modo un po’ caotico, con formulazioni teoriche non nitide, con il ricorso a paradossi, più per immagini che per concetti” (così in una valutazione della loro stesura iniziale, da parte della congregazione vaticana del clero), essi si sono prestati negli anni ad accuse di errori dottrinali, che la loro pubblicazione riveduta e corretta dovrebbe fugare.
Ma tale pubblicazione appare ancora lontana. Di nota c’è finora soltanto una sintesi delle prime quindici catechesi e dei successivi due giorni di convivenza, cioè della fase di nascita di ogni nuova comunità: due mesi su un arco di quindici anni che è la durata minima della catechesi del Cammino.
La sintesi è stata resa pubblica – evidentemente per volontà di Kiko e Carmen e con l’utilizzo di loro testi inediti – alla fine del 2004, in Italia, da un sacerdote del Cammino, Piergiovanni Devoto, in un libro dal titolo: “Il neocatecumenato. Un’iniziazione cristiana per adulti”, stampato dall’editrice Chirico, di Napoli.
Il libro è un’aperta apologia del Cammino Neocatecumenale, in risposta alle critiche fin qui avanzate anche da vescovi e cardinali autorevoli, prima e dopo l’approvazione dello statuto.
Avvalorano tale apologia la calorosa prefazione scritta dall’arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del pontificio consiglio “Cor Unum”, e più ancora le innumerevoli attestazioni di stima da parte di Giovanni Paolo II, raccolte nella seconda parte del libro.

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C’è però un punto sul quale l’apologia resta debole. E riguarda la prassi liturgica del Cammino.
I neocatecumenali usano celebrare la messa domenicale il sabato sera, separatamente dalla comunità parrocchiale alla quale appartengono. Non solo. Dato che ciascuna comunità neocatecumenale corrisponde a un preciso stadio del Cammino, ciascuna comunità di venti, trenta persone ha la sua messa. Se in una parrocchia vi sono dieci comunità, il sabato sera vi saranno dieci messe a sé stanti, in locali separati. Dal 2002 lo statuto approvato dalla Santa Sede obbliga tali messe ad essere “aperte anche ad altri fedeli” (art. 13, 3), ma nei fatti niente è cambiato.
E poi, soprattutto, è il modo con cui le messe sono celebrate a sollevare forti riserve, in Vaticano e fuori.
Il 7 ottobre 2004 Giovanni Paolo II ha indetto per tutta la Chiesa “l’anno dell’eucaristia”, con la finalità di ravvivare la celebrazione della messa. A tale scopo ha scritto la lettera apostolica “Mane Nobiscum Domine”, dopo aver già pubblicato nel 2003 l’enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, seguita il 25 marzo 2004 dall’istruzione “Redemptionis Sacramentum” della congregazione per il culto divino, “su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la santissima eucaristia”.

Tra l’enciclica, l’istruzione, le indicazioni per l’anno eucaristico da un lato, e la prassi liturgica del Cammino Neocatecumenale dall’altro, il confronto è stridente. Il libro “autorizzato” di don Devoto cerca di difendere il Cammino da alcune delle accuse ricorrenti: in particolare di oscurare la natura sacrificale della messa e di minimizzare la permanente presenza reale di Cristo nel pane consacrato. E per giustificare la prassi liturgica del Cammino l’autore si rifà a testi inediti di Kiko e di Carmen, nei quali essi dettano ai discepoli una loro particolarissima storia della messa, stando alla quale il grande merito del Cammino sarebbe di riportare la celebrazione della messa alla purezza delle origini. Ma è proprio questa ricostruzione storica – con la prassi che ne vien fatta derivare – il punto più criticabile dell’apologia.
Eccone qui di seguito alcuni passaggi esemplificativi, tratti dalle pagine 71-77:

“Nel corso dei secoli l’eucaristia è stata spezzettata e ricoperta, rivestita fino al punto che noi non vedevamo nella nostra messa da nessuna parte la risurrezione di Gesù Cristo”...

“Nel IV secolo, con la conversione di Costantino e con l’ingresso nella Chiesa di masse pagane che non capiscono né vivono la Pasqua, il cristianesimo diventa religione ufficiale dell’impero e, pertanto, protetto. Va in chiesa per celebrare l’eucaristia anche l’imperatore col suo corteo: nascono così liturgie di ingresso, rese solenni da canti e da salmi, che perdurano nel tempo e, quando questi vengono poi eliminati, rimane solo l’antifona, senza più il salmo, costituendo un vero e proprio assurdo”...

“Analogamente prendono campo le processioni offertoriali, nelle quali emerge la concezione propria della religiosità naturale che tende a placare la divinità mediante doni e offerte”...

“Col passare dei secoli le orazioni private che si inseriscono in notevole quantità nella messa. L’assemblea non c’è più, la messa ha preso un tono penitenziale, in netto contrasto con l’esultanza pasquale da cui è sorta”...

“E mentre il popolo vive la privatizzazione della messa, da parte dei dotti vengono elaborate teologie razionali, che, se contengono ‘in nuce’ l’essenziale della Rivelazione, sono ammantate di abiti filosofici estranei a Cristo e agli apostoli”...

“Allora si capisce perché sorse Lutero, che fece piazza pulita di tutto ciò che credeva fosse aggiunta o tradizione puramente umana”...

“Quando si perde di vista che cosa è il sacramento, che cosa è il memoriale, allora si passa a dare definizioni filosofiche che non solo non possono esaurire la realtà che contengono, ma sono necessariamente legate alla filosofia che le esprime. Così Lutero, che non ha mai dubitato della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, ha rifiutato la ‘transustanziazione’, perché legata al concetto di sostanza aristotelico-tomistico, estraneo alla Chiesa degli apostoli e dei Padri”...

“La rigidità e il fissismo del Concilio di Trento generarono una mentalità statica in liturgia, arrivata fino ai nostri giorni, pronta a scandalizzarsi di qualsisasi mutamento o trasformazione. E questo è un errore, perché la liturgia è vita, una realtà che è lo Spirito vivente tra gli uomini. Perciò non lo si può mai imbottigliare”...

“Usciti fuori da una mentalità legalista e fissista, abbiamo assistito col Vaticano II a un profondo rinnovamento della liturgia. Sono stati tolti dall’eucaristia tutti quei paludamenti che la ricoprivano. È interessante vedere che in origine l’anafora [cioè la preghiera della consacrazione] non era scritta ma improvvisata dal presidente”...

“La Chiesa ha tollerato per secoli forme non genuine. Così si è visto che il ‘Gloria’, che faceva parte della liturgia delle ore recitate dai monaci, è entrato nella messa quando delle due azioni liturgiche si è fatta un unica celebrazione, e che il ‘Credo’ è comparso all’apparire di eresie e di apostasie. Anche l’’Orate Fratres’ è esempio culminante delle preghiere con cui si infarciva la messa”...

“La celebrazione dell’eucaristia il sabato sera non è per facilitare l’esodo domenicale, ma per andare alle radici: il giorno di riposo per gli ebrei parte dalle prime tre stelle del venerdì e i primi vespri della domenica per tutta la Chiesa sono da sempre il sabato sera”...

“Il sabato si tratta di entrare nella festa con tutto l’essere, per sedersi alla mensa del Gran Re e gustare già ora il banchetto della vita eterna. Dopo la cena, un po’ di festa cordiale e amichevole concluderà questa giornata”...

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I frutti di questa discutibile lezione di storia sono visibili nelle liturgie celebrate dalle comunità neocatecumenali in tutto il mondo. Le messe sono celebrate quasi sempre, comunità per comunità, non nelle chiese, ma in locali di parrocchia. Secoli di architettura e di arte sacra sono così azzerati. E sostituiti da una nuova ambientazione tipica del Cammino, dominata da una grande tavola da pranzo quadrata al centro della stanza. Le immagini in uso sono nello stile del fondatore, Kiko, che è pittore bizantineggiante. E così i canti. L’accompagnamento musicale è alla chitarra, definito lo strumento “che più si avvicina all’antico salterio ebraico”. La celebrazione è formalmente aperta a chiunque. In realtà il momento d'ingresso è uno scambio di saluti, di presentazioni, di applausi, che fanno da sbarramento agli estranei alla comunità.
Nella liturgia della Parola le letture sono precedute e seguite ciascuna da lunghe “ammonizioni” da parte dei catechisti, e seguite da “risonanze” da parte di numerosi presenti. L’omelia del sacerdote poco si distingue dall’insieme dei commenti.
La liturgia eucaristica si distacca anch’essa dalla norma per riproporre invece i presunti gesti fisici della primitiva comunità apostolica: col pane che è una grossa pagnotta impastata e cotta dalla comunità secondo le precise istruzioni di Kiko, col vino che circola di mano in mano in boccali, con la comunione che è un mangiare e bere tra commensali seduti, attorno alla tavola da pranzo...
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Lo statuto del Cammino Neocatecumenale è stato approvato nel 2002 dalla Santa Sede “ad experimentum” per cinque anni. Ai vescovi è affidato il compito di vigilare sulla sua applicazione.
Diversi vescovi hanno avanzato riserve, anche recentemente. Ad esempio quello di Brescia, Giulio Sanguineti. Nel 2004, in una lettera, ha scritto che "bisogna evitare che l'eucaristia celebrata nelle comunità neocatecumenali venga percepita come la 'vera' eucaristia rispetto a quella celebrata per tutti i fedeli".
Altri vescovi, invece, e in numero crescente, sono entusiasti del Cammino. Ne ammirano la forza di propagazione e la fioritura di vocazioni.
Giovanni Paolo II è uno dei loro più convinti sostenitori. In Vaticano, li appoggia con forza il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Ma anche fuori della Chiesa i neocatecumenali fanno qua e là fortuna. Da quando hanno costruito una loro cittadella mondiale sul monte di Korazym, sopra il Mare di Galilea, inaugurata nel 2000 dal papa in persona e frequentatissima da loro pellegrini, godono in Israele di grande favore, specie in alcuni settori dell’ebraismo osservante.
Nel 2004 il Cammino Neocatecumenale stava addirittura per avere in concessione dal governo israeliano l’uso permanente dell’aula del Cenacolo, a Gerusalemme. La concessione è stata bloccata in extremis. Il progetto allo studio del governo israeliano è di donare l’uso del Cenacolo al papa.

La risposta Neocatecumenale

ROMA, 19 gennaio 2006 – Le prime parole della prima lettera enciclica di Benedetto XVI, quasi un’insegna del suo pontificato, sono “Deus Caritas Est”, Dio è amore. Ma ai gradi alti della Chiesa non tutti sono amorevoli e solidali, con questo papa. Le resistenze ai suoi indirizzi sono tenaci e diffuse, qua e là in crescendo. E si tengono quasi tutte al riparo dell’anonimato. L’unica resistenza aperta, firmata, è quella che il Cammino Neocatecumenale ha opposto a una normativa papale dello scorso dicembre che ha colpito in pieno uno dei suoi capisaldi.

Il Cammino, fondato e diretto dagli spagnoli Kiko Argüello e Carmen Hernández, è oggi il più rigoglioso dei nuovi movimenti cattolici sbocciati nell’ultimo mezzo secolo. È presente in 900 diocesi di tutti i continenti ed è forte di un milione di seguaci raggruppati in più di 20.000 comunità, con 3.000 preti e 5.000 religiose. Ha una rete internazionale di 63 seminari “Redemptoris Mater” che fanno il pieno delle vocazioni, in controtendenza col vuoto di tanti seminari diocesani.
A contribuire alla sua espansione numerica è anche l’alto numero di figli che le sue famiglie mettono al mondo, fino a dieci, dodici o persino di più. Ogni anno molte dozzine di queste famiglie partono in missione per terre lontane. Lo scorso 12 gennaio ne sono partite d’un sol colpo da Roma 200, con la benedizione personale di Benedetto XVI sceso a incontrarle in un’aula Nervi gremita e vibrante d’entusiasmo: con meta la Patagonia o il Giappone, ma anche le zone più scristianizzate d’Europa, la Francia, l’Olanda, l’ex Germania dell’Est.
Con un simile patrimonio di successi, è naturale che i neocatecumenali raccolgano l’appoggio di vescovi e cardinali in gran numero. Due di questi patroni, il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della congregazione vaticana “de Propaganda Fide”, e il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo di Washington, erano al loro fianco nell’aula Nervi il 12 gennaio. Sui neocatecumenali sono anche piovute negli anni delle critiche, specie contro il loro ritagliarsi uno spazio separato nella Chiesa, con un proprio catechismo segreto, con propri rituali, con una propria gerarchia parallela. Ma tali critiche sono sempre state soverchiate dal sostegno senza riserve loro concesso da Giovanni Paolo II.

Con Ratzinger papa, però, non è più così. C’è una cosa dei neocatecumenali che il nuovo papa non accetta, e che tocca il cuore della vita cristiana: è il modo atipico con cui essi celebrano la messa (1). In effetti, la messa che ogni sabato sera ognuna delle 20.000 comunità del Cammino celebra, separatamente dalla parrocchia e dalle altre comunità sorelle, segue molto più i dettami del fondatore Kiko Argüello che non i canoni liturgici validi universalmente per la Chiesa cattolica.
Invece dell’altare nell’abside c’è al centro dell’aula una grande tavola da pranzo quadrata, attorno a cui i neocatecumenali fanno la comunione seduti. Invece delle ostie, si dividono e mangiano un grosso pane azimo di farina di frumento, per due terzi bianca e per un terzo integrale, preparato e cotto per un quarto d’ora con le regole minuziose stabilite da Kiko.
Il vino lo bevono da coppe, sempre stando seduti.
L’omelia è surrogata dai commenti spontanei dei presenti, prima e dopo ciascuna delle letture del Vangelo, di San Paolo e dell’Antico Testamento.

Ebbene, a tutto questo Benedetto XVI ha ordinato di mettere fine. L’ha fatto con una lettera consegnata a metà dicembre ai tre responsabili supremi del Cammino, Kiko, Carmen e il sacerdote italiano Mario Pezzi. La lettera è firmata dal cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione vaticana per la liturgia, ma fin dalle prime righe dice chiaro che queste sono “le decisioni del Santo Padre”. Seguono sei comandi inequivocabili.
Ad esempio, per quanto riguarda la comunione, le diposizioni della lettera sono testualmente queste:

“Sul modo di ricevere la Santa Comunione, si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare dal modo invalso nelle sue comunità di ricevere la Santa Comunione (seduti, uso di una mensa addobbata posta al centro della chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio) al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo” (2).

Ma invece che obbedire e basta, i neocatecumenali hanno disobbedito asserendo d’essere obbedientissimi.

Quando il vaticanista Andrea Tornielli ha dato per primo la notizia dei richiami del papa, subito il portavoce ufficiale del Cammino e suo responsabile negli Stati Uniti, Giuseppe Gennarini, ha protestato che quegli ordini erano in realtà un’approvazione (3).
Quando il 27 dicembre www.chiesa.espressonline.it ha pubblicato la lettera di Arinze integrale, lo stesso Gennarini ne ha messo in forse addirittura l’autenticità. Ha aggiunto che, se anche la lettera fosse autentica, “questo non cambia la sua natura di instrumentum laboris confidenziale ed interno”, privo di forza normativa. Ha ribadito che l’unica norma valida “è la conferma della prassi liturgica del Cammino da parte del Santo Padre”. E a riprova ha citato la benedizione che il papa avrebbe concesso di lì a pochi giorni alle famiglie neocatecumenali in partenza per le missioni, nell’udienza del 12 gennaio (4). L’udienza infatti c’è stata. E anche la benedizione. Ma c’è stato anche un secondo, sonoro richiamo di Benedetto XVI ad obbedire:

“Di recente la congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti vi ha impartito a mio nome alcune norme concernenti la celebrazione eucaristica, dopo il periodo di esperienza che aveva concesso il servo di Dio Giovanni Paolo II. Sono certo che queste norme, che riprendono quanto è previsto nei libri liturgicic approvati dalla Chiesa, saranno da voi attentamente osservate” (5).

Nessun commento è venuto dai dirigenti del Cammino, dopo questo secondo richiamo del papa.
Risulta però che nelle 20.000 comunità sia passata la consegna di continuare come prima.