SOMMARIO -RASSEGNA STAMPA

La falsa accusa di sangue che ancora infama gli ebrei

di Massimo Introvigne (il Giornale, 12 febbraio 2007)

Fiamma Nirenstein ha già colto su queste colonne l’essenziale della controversia sul volume Pasque di sangue dello storico Ariel Toaff, figlio del noto rabbino Elio Toaff, secondo il quale l’«accusa del sangue», l’accusa cioè rivolta agli ebrei dal Medioevo fino ai giorni nostri di sacrificare bambini cristiani per cibarsi ritualmente del loro sangue, sarebbe stata una pratica reale in un certo ambiente ebraico.

Per la storiografia accademica e per il magistero dei Papi cattolici, che hanno definito «falsissima» l’accusa agli ebrei in numerosi documenti fin dal 1247, la questione è risolta da molti anni: l’«accusa del sangue» è una semplice fantasia antisemita.

Ho letto Pasque di Sangue con attenzione, e con particolare riguardo alle note, sempre cruciali in un libro di storia. La prima osservazione è che nel libro le pagine dedicate all’accusa del sangue sono decisamente minoritarie rispetto a quelle che trattano di altri argomenti, interessanti ma che hanno poco a che fare con l’omicidio rituale.

Sui casi di accusa del sangue, Toaff non apporta nuovi documenti, ma contesta i due capisaldi della metodologia secondo cui sono stati sempre interpretati. Da una parte, per Toaff sarebbe sbagliato considerare non attendibili le confessioni estorte sotto tortura, perché in queste gli ebrei torturati rivelano particolari di usi e tradizioni ebraiche che i giudici non potevano conoscere. Si tratta di una tesi già nota in materia di stregoneria, con riferimento alle tesi screditate da decenni dell’egittologa Margaret Murray, secondo cui le rivelazioni delle streghe processate non possono essere attribuite alla tortura perché sono piene di allusioni a un folklore contadino che i giudici non conoscevano. Alla Murray è stato risposto fino alla noia che le presunte streghe conservavano certamente il loro linguaggio e mescolavano a invenzioni gradite ai giudici informazioni reali sulle loro tradizioni contadine. Ma questo non significa che fosse vero anche il nucleo delle confessioni, relativo al Sabba e ai rapporti carnali col Diavolo.

In secondo luogo, contrariamente a quanto pensa Toaff, il fatto che decine di racconti di omicidi rituali imputati agli ebrei siano simili fra loro non prova l’accusa del sangue, ma al contrario è un forte indizio della sua falsità. Se ci sono nella storia centinaia di casi di accusa del sangue, ci sono oggi migliaia di resoconti di persone che hanno affermato di essere state condotte su astronavi aliene. Il fatto che questi resoconti siano molto simili fra loro dimostra precisamente che fanno parte di una subcultura dove ognuno ripete quello che qualcun altro ha detto. Adottando il «metodo nuovo» di Toaff, che è soltanto cattiva storia, si dovrebbe ammettere sia che le streghe andavano a incontrare il Diavolo a cavallo delle loro scope sia che centinaia di buoni americani sono rapiti oggi da omini verdi alieni.

In margine al caso Toaff: magistero pontificio e accusa del sangue contro gli ebrei, 1247-1759

di Massimo Introvigne

Nell’interessante controversia sul volume dello storico Ariel Toaff, figlio del noto rabbino Elio Toaff, Pasque di sangue – che vorrebbe rovesciare gli ultimi cinquant’anni di storiografia e di sociologia storica che hanno considerato una fantasia anti-ebraica l’“accusa del sangue”, l’accusa cioè  rivolta agli ebrei dal Medioevo fino ai giorni nostri di sacrificare bambini cristiani per cibarsi ritualmente del loro sangue, e di cui vedi altrove su questo sito per un esame critico –  c’è un aspetto di cui curiosamente si parla assai poco, e di cui mi sono occupato in un libro del 2004 Cattolici, antisemitismo e sangue. Si tratta della reazione della Chiesa cattolica all’accusa del sangue.

 Dal 28 maggio 1247, data della prima bolla sul tema di Papa Innocenzo IV (1195-1254), ci sono numerosi documenti in cui i Papi dichiarano di avere fatto svolgere indagini sulla questione e di avere concluso che si tratta di accuse “falsissime”. A torto nella polemica sul libro di Toaff si usano i termini “inquisitori” e “Inquisizione”, perché a rigore l’Inquisizione – romana e spagnola – si è occupata di tre casi di accusa del sangue, in due dei quali ha condannato gli accusatori e non gli ebrei accusati, mentre tutti gli altri episodi (compreso quello di Trento del 1475, che è al centro della controversia Toaff) sono stati giudicati da tribunali civili e non ecclesiastici. Roma, da parte sua, si è costantemente espressa nel periodo di cui si occupa Toaff in difesa degli ebrei accusati. Innocenzo IV emana dapprima le due bolle del 28 maggio e 5 luglio 1247 (in quest’ultima afferma che gli ebrei sono “falsamente accusati di comunicarsi a Pasqua con il cuore di un fanciullo assassinato”), e un breve del 18 agosto 1247. Quindi nella bolla del 25 settembre 1253 solennemente interviene per “vietare che si accusino alcuni di loro [ebrei] di utilizzare sangue umano nei loro riti, giacché anche nel Vecchio Testamento si vieta loro di fare uso di qualunque tipo di sangue, per non parlare del sangue umano”.

Il Papa Beato Gregorio X (1210-1276) il 7 ottobre 1272 tuona contro coloro che “asseriscono in modo falsissimo [falsissime] che gli ebrei rapiscono in segreto i bambini e fanno sacrificio del loro cuore e del loro sangue, perché la loro legge vieta precisamente ed espressamente che gli stessi ebrei […] bevano il sangue, neppure degli animali […]. Ordiniamo che gli ebrei incarcerati per questa accusa frivola siano liberati dal carcere, né in futuro siano incarcerati sulla base della stessa stupida accusa”. Quando l’accusa del sangue riemerge, papa Martino V (1368-1431) con bolla del 20 febbraio 1422 condanna quanti “con falsi pretesti e argomentazioni (fictis occasionibus et coloribus) […] pretendono che gli ebrei mescolino sangue [cristiano] alle loro azzime”.

Con bolla del 2 novembre 1447, allarmato da voci che circolavano in Spagna, il papa Nicola V (1397-1455) nota che “allo scopo di rendere gli ebrei più rapidamente odiosi ai cristiani, alcune persone hanno osato e quotidianamente osano affermare falsamente, e ne persuadono i cristiani, che gli ebrei non possono celebrare e di fatto non celebrano certe loro feste senza usare il fegato o il cuore di un cristiano” e dichiarato di “proibire nel modo più rigoroso con permanente e immutabile ordinanza” di molestare gli ebrei sulla base di queste false accuse.

Nel caso di Trento del 1475 – a proposito del quale, appunto, Toaff sostiene che le confessioni estorte dai giudici agli imputati ebrei sotto tortura potrebbero nondimeno essere vere – la Santa Sede affida un’inchiesta al vescovo di Ventimiglia Battista de’ Giudici (1428-1484), un dotto domenicano che non può essere sospettato di parzialità perché ha spesso predicato contro gli ebrei, e che conclude che gli imputati di Trento sono “innocentissimi” e le accuse contro di loro “grottesche”.

È vero che a proposito del piccolo Simone di Trento e di altre presunte vittime dell’omicidio rituale i Papi hanno concesso l’approvazione del culto, e talora curiosamente si tratta di Papi che hanno a loro volta pubblicato documenti contro l’accusa del sangue. Ma, come spiega la Sacra Congregazione dei Riti in un decreto del 4 maggio 1965 – l’ultimo atto del magistero su una questione che si credeva chiusa da anni –, l’approvazione del culto non va confusa con i moderni processi di beatificazione e di canonizzazione, e non deriva da “un esame approfondito sulla vita e le virtù, o martirio” così che in realtà con l’approvazione dei culti la Santa Sede non ha mai inteso pronunciarsi “sul presunto martirio”.

Mentre sul caso di Trento infuriano ancora polemiche, il papa Paolo III (1468-1549) firma il 12 maggio 1540 l’ennesima bolla pontificia contro l’accusa del sangue, denunciando coloro che “accecati dall’avarizia e volendo impadronirsi con qualunque pretesto dei beni degli ebrei, li accusano falsamente di uccidere bambini per bere il loro sangue e di altri vari e diversi enormi crimini”.

Nel 1706, a fronte di una recrudescenza dell’accusa del sangue (che era diventata rara nell’Europa Occidentale proprio grazie agli interventi pontifici) in Polonia, il Sant’Uffizio (attuale Congregazione per la Dottrina della Fede) autorizza esplicitamente il rabbino capo di Roma, Tranquillo Vita Corcos (1660-1730), a pubblicare uno studio critico sul tema, e lo invia ai vescovi polacchi.

Il documento forse storicamente più importante – che tra l’altro Toaff cita a sproposito, sbagliando anche sulla sua data – è quello del Sant’Uffizio del 24 dicembre 1759, redatto dal cardinale Lorenzo Ganganelli, poi Papa Clemente XIV (1705-1774), e pubblicato per la prima volta in Italia in appendice al mio libro del 2004. Si tratta di un lungo documento, dove il Sant’Uffizio elenca minuziosamente le ragioni per cui all’accusa del sangue non si può prestare fede. Anche nei casi dei culti riconosciuti, il cardinale Ganganelli afferma certo che si deve prestare ossequio agli atti pontifici di riconoscimento, ma che questi sono venuti dopo molti dubbi e non inficiano le conclusioni costanti del magistero. Il Papa Clemente XIII (1693-1769) – cui succederà lo stesso Ganganelli – fa sue le raccomandazioni contenute nel rapporto del Sant’Uffizio, e in una bolla del 9 febbraio 1760 indirizzata al nunzio apostolico a Varsavia scrive che l’uso di sangue cristiano da parte degli ebrei per le azzime di Pasqua altro non è che una “mal fondata persuasione del volgo”; la posizione sarà riconfermata in un’altra bolla, del 21 marzo 1763.

I diversi atteggiamenti sul tema del mondo cattolico dopo la Rivoluzione francese, e in particolare nel XIX secolo, sono un tema diverso, interessante, controverso e ampiamente discusso nel mio testo, che non è però il caso di trattare qui perché il libro di Toaff  si arresta al XVI secolo.

Comunque sia, negli episodi studiati da Toaff non sono stati “la Chiesa” o “l’Inquisizione” a scagliarsi contro gli ebrei. Anzi, gli ebrei accusati hanno trovato nei Papi per secoli i loro più coraggiosi difensori.

Caso Toaff.
Intervento dello storico cattolico mons. Iginio Rogger

Lo storico della Chiesa trentina: «Simonino non perì per mano ebrea»

di Diego Andreatta - (Avvenire, 8 febbraio 2007)

«Per noi, e per la scienza storica, il caso Simonino era chiarito. Chi vuole rimetterlo in discussione, deve poter documentare un'indagine storica dello stesso livello, altrettanto rigorosa, prima di impugnare ciò che generazioni di studiosi hanno appurato».

È rimasto sorpreso dalle anticipazioni del libro di Ariel Toaff Pasque di sangue (in uscita dal Mulino), ma con il distacco dello studioso onesto, monsignor Iginio Rogger, decano degli storici trentini, accetta di ribattervi a caldo («vorrei però leggere integralmente il libro») per documentare la posizione della Chiesa trentina che nel 1965 aveva abolito il culto di san Sinonimo (vittima nel 1475 di «un omicidio rituale ebreo» inesistente), proprio sulla base della ricerca storica.

Della decisiva "Notificazione" del 28 ottobre 1965, con cui l'arcivescovo Alessandro Maria Gottardi, sentita la Sede Apostolica, disponeva una "prudente rimozione" del culto autorizzato ancora nel 1588 da Sisto V, monsignor Rogger era stato principale ispiratore, proprio in nome della corretta applicazione «della regola scientifica che non può accontentarsi dell'autenticità formale e filologica di un documento, ma deve porsi il quesito della rispondenza alla realtà dei fatti». Un metodo che Rogger vorrebbe ritrovare nelle argomentazioni degli storici di oggi e che egli, aveva visto applicato già nel 1903 dallo studioso Giuseppe Menestrina proprio nell'esame del caso Simonino in una tesi all'Università di Innsbruck.

Le conclusioni di quella ricerca investigativa - «gli ebrei non sono responsabili dell'uccisione del piccolo Simone da Trento, ritrovato morto in una roggia» - venne ribadita in profondità nel 1964 dagli studi del grande storico domenicano padre Paul Willehad Eckert e poi confermata dalla ricostruzione dell'intero meccanismo processuale da parte dell'équipe della Facoltà di Giurisprudenza diretta dal professor Diego Quaglioni.

«Quella conclusione per me è ancora imbattibile, condivisa anche da studiosi ebrei e protestanti»,
ripete oggi Rogger, 87 anni, che peraltro ricorda bene quanto la popolazione trentina fosse affezionata a quella devozione. Con gli anni, però, abolite le processioni (perfino l'intitolazione al santo di una via nel centro storico di Trento, oggi "via del Simonino"), si è compresa l'importanza di quell'intervento pastorale: «Proprio l'argomentazione razionale - commentava Rogger in un intervento pubblico lo scorso anno - ha contribuito a vincere il sospetto, da più parti insinuato, che l'abolizione fosse determinata da simpatie filo ebraiche divenute di moda all'indomani dello sterminio nazista».

Ebbe anche l'effetto di togliere di mezzo un'insanabile frattura che sussisteva anche fra i cittadini di Trento e le comunità ebraiche, oltreché a facilitare anche ad alti livelli, in Germania ma non solo, il dialogo fra ebrei e cristiani. È significativo che Trento ospitò già nel 1979 una sessione della Commissione Vaticana per i rapporti con l'ebraismo e nel giugno 1992 autorevoli rappresentati ebraici scoprirono una targa sul palazzo dove sorgeva la sinagoga cittadina, a ricordo della riconciliazione dopo l'abrogazione del culto al Simonino.

Ma perché allora il libro di Ariel Toaff va a ripescare il caso di Trento?

«Non c'è dubbio che nella panoramica dei vari omicidi in Europa attribuiti agli ebrei quello del Sinonimo si presenta come il più attestato, provvisto di una massa ingente di documenti contemporanei ai fatti, mentre gli altri casi si perdono generalmente nella leggenda»,
osserva Rogger.
«Ma proprio perché episodio ben preciso, esso presenta nomi, dati e circostanze ben chiare, sulle quali è stato fatto - non da me, tengo a precisarlo - un lavoro di ricerca storica molto accurato. Vedo, insomma, una sproporzione fra le tesi generiche annunciate finora nel libro di Toaff e la ricchezza di studi molto seri prodotta in tanti anni, anche dietro stimoli provenienti dagli ebrei. Resto peraltro disponibile - conclude pacatamente Rogger - a prestare attenzione alle conclusioni che uno studioso, ebreo o non ebreo, presenterà sulla base di un'indagine storica corretta, che tenga conto della bibliografia già esistente»

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