Violenze di preti
su minori: bilancio della “purificazione” in corso
Sono crimini che “spezzano il cuore”, ha detto ai vescovi
d’Irlanda un Benedetto XVI sempre più severo ed esigente.
Riepilogo di due anni di repressione: quel che è stato fatto
e quel che c’è ancora da fare
di Sandro Magister -www.chiesa.espressonline.it
ROMA, 20 novembre 2006 – Ai vescovi dell’Irlanda riuniti
davanti a lui in Vaticano, a fine ottobre, Benedetto XVI ha detto chiaro
che questo è un “tempo di purificazione”. Di purificazione
da quella “sporcizia” da lui denunciata nella memorabile
Via Crucis al Colosseo del venerdì santo di due anni fa, pochi
giorni prima d’essere eletto papa, e che è fatta dai “molti
casi, che spezzano il cuore, di abusi sessuali sui minori, particolarmente
tragici quando colui che abusa è un prete” (1).
Papa Joseph Ratzinger su questo terreno è molto severo ed esigente,
più del suo predecessore Giovanni Paolo II. In un anno e mezzo
di pontificato non ha esitato a calare la scure anche su uomini di Chiesa
dal precedente papa ritenuti intoccabili.
Con gli Stati Uniti, l’Irlanda è la nazione dove la Chiesa
ha più fatto scandalo. L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid
Martin, 61 anni, ha confermato in un’intervista ad “Avvenire” (2)
che Benedetto XVI, ricevendo i vescovi irlandesi (vedi foto), non ha
soltanto denunciato l’orrore, ma ha dettato loro “indicazioni
precise” su come far pulizia. Con sanzioni talora più rigide
di quelle comminate dai tribunali civili.
In Irlanda, i vescovi hanno accertato che in sessant’anni, dal
1945 al 2004, i sacerdoti implicati in abusi sessuali su minori di 18
anni sono stati 105, quasi il 4 per cento del totale dei preti, con circa
400 vittime. Di quelli tuttora in vita 8 sono stati condannati al carcere
dopo un processo penale, altri 32 hanno in corso un processo civile.
Altri ancora non hanno avuto una condanna giudiziaria per l’impossibilità di
provare azioni troppo lontane nel tempo. Ma anche con questi la gerarchia
della Chiesa oggi reagisce escludendoli dall’attività pastorale.
E a tutti i preti colpiti da accuse chiede in ogni caso di autosospendersi
da ogni incarico, prima ancora che inizino gli accertamenti.
Può quindi accadere che tali sanzioni puniscano temporaneamente
anche persone che poi risultano innocenti: “Purtroppo però l’esperienza
del passato ci ha obbligati a questi provvedimenti dolorosi ma indispensabili”,
afferma l’arcivescovo Martin. La linea vigente è che è meglio
eccedere in severità che rischiare l’opposto.
Negli Stati Uniti è lo stesso. Anche lì si è accertato
che sono stati circa 4 ogni cento, nell’ultimo mezzo secolo, i
sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali su minori: 4392 su un totale
di 110 mila preti diocesani e religiosi (3). I tre quarti dei crimini
si sono avuti negli anni tra il 1960 e il 1984, quando la prassi usuale
era semplicemente di trasferire il colpevole da un incarico all’altro,
magari inframmezzando sedute di psicoterapia che in realtà non
cambiavano nulla.
Questa prassi irresponsabile e indulgente, pur col fenomeno in calo,
si è protratta fino a tempi molto recenti, finché nel 2002 è esploso
sui media lo scandalo e tutto si è scoperchiato. I vescovi degli
Stati Uniti hanno reagito alle proprie stesse precedenti debolezze con
una nuova politica di “tolleranza zero”. Un numero molto
alto di cause hanno invaso i tribunali civili e sulle diocesi sono cadute
ingenti richieste di risarcimento.
Anche qualche vescovo ne è uscito travolto, non solo per aver
coperto gli abusi ma per averne personalmente commessi. Uno di questi,
Anthony O’Connel di Palm Beach in Florida, fece nel 2002 un’ammissione
rivelatrice. Disse che nel compiere tali atti si sentiva influenzato
dallo spirito di quegli anni Settanta: “Nei quali dettava legge
il rapporto Masters & Johnson e imperava un clima di trasgressione
sessuale”.
In alcune corti di giustizia, negli Stati Uniti, si è arrivati
a citare in giudizio la Santa Sede come corresponsabile dei crimini in
esame. L’ultima richiesta del genere è venuta lo scorso
maggio da un tribunale dell’Oregon. Ma finora sono state tutte
bloccate in forza dell’immunità della Santa Sede come stato
sovrano. L’8 febbraio 2005, ricevendo in Vaticano Condoleezza Rice,
l’allora segretario di stato Angelo Sodano chiese alla sua omologa
negli Stati Uniti di intervenire in difesa dell’immunità della
Santa Sede, chiamata in giudizio da un tribunale del Kentucky. Il che
avvenne.
In Italia, le cifre degli abusi sessuali commessi da preti sono meno
impressionanti che negli Stati Uniti e in Irlanda. Ma anche qui c’è una
crescente severità, da parte della gerarchia della Chiesa. Il
segretario generale della conferenza episcopale Giuseppe Betori, che
nel 2002 definiva il fenomeno “talmente minoritario da non meritare
attenzione specifica”, oggi promuove in ogni diocesi la costituzione
di un centro Meter, l’associazione fondata dal sacerdote Fortunato
Di Noto per combattere la pedofilia (4).
Anche Ratzinger, quand’era prefetto della congregazione per la
dottrina della fede, era meno intransigente di oggi. I delitti contro
il sesto comandamento erano di competenza esclusiva della sua congregazione,
ma in vari casi denunce anche molto circostanziate non trovavano in essa
alcun seguito. Ancora nel novembre del 2002, quando lo scandalo negli
Stati Uniti era all’acme, Ratzinger minimizzò il numero
dei preti colpevoli: “meno dell’1 per cento”, e attribuì l’esplosione
dello scandalo soprattutto al “desiderio di screditare la Chiesa”.
Poi però cambiò strada. Era l’autunno del 2004 e
Ratzinger ordinò al promotore di giustizia della congregazione
per la dottrina della fede, il maltese Charles J. Scicluna, di ripescare
negli scaffali tutti i processi dormienti riguardanti il sesto comandamento.
L’ordine era: “Ogni causa deve avere il suo corso regolare”.
In altre parole: nessuno poteva più essere ritenuto intoccabile,
nemmeno tra i protetti dell’allora potentissimo cardinale Sodano
e nemmeno tra i prediletti del papa regnante Giovanni Paolo II.
Cominciarono o ricominciarono così, tra le altre, le investigazioni
contro due fondatori di ordini religiosi con forti appoggi nella curia:
l’italiano Gino Burresi, fondatore dei Servi del Cuore Immacolato
di Maria, e il messicano Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari
di Cristo, entrambi accusati di abusi sessuali contro loro giovani seminaristi
e discepoli e di gravissime violazioni del sacramento della confessione.
La morte di Giovanni Paolo II e la successiva elezione a papa di Ratzinger
non fermarono le indagini ordinate da quest’ultimo. Anzi. Nel maggio
del 2005, il primo atto firmato dal nuovo prefetto della congregazione
per la dottrina della fede, l’americano William J. Levada, fu proprio
la condanna di Gino Burresi, il primo dei due fondatori di ordini religiosi
sopra citati. La condanna aveva l’approvazione di Benedetto XVI “in
forma specifica”, che non ammette appello (5).
La sentenza sul fondatore dei Legionari di Cristo richiese più tempo
e dovette superare più resistenze. Quando “L’espresso”,
il 20 maggio 2005, diede notizia circostanziata degli interrogatori di
decine di testimoni d’accusa, la segreteria di stato vaticana reagì asserendo
che “non vi è nessun procedimento canonico in corso né è previsto
per il futuro nei confronti di p. Maciel” (6).
Di vero, nell’apparente smentita, c’era che la congregazione
per la dottrina della fede risparmiava il processo canonico a Maciel
per ragioni di salute e di età, 86 anni. Ma la condanna arrivò inesorabile
un anno dopo: revoca di ogni ministero pubblico e “vita riservata
di preghiera e di penitenza” (7). Poco dopo Benedetto XVI congedò il
cardinale segretario di stato, Sodano.
|