In Italia si vota. E la gerarchia della Chiesa si pronuncia così

di Sandro Magister -www.chiesa.espressonline.it

A dar lezione sono due discorsi del papa e del suo vicario, e tre articoli di “La Civiltà Cattolica”.
Problema: in democrazia si può votare su tutto?

ROMA, 5 aprile 2006 – Nella prossima domenica delle Palme, giorno d’inizio della Settimana Santa, a Roma e in Italia si vota per il rinnovo del parlamento. Le alte gerarchie della Chiesa non hanno detto a chi i cattolici dovrebbero dare il loro voto. Ma più volte e in più modi – nei giorni prima delle elezioni – hanno impartito delle lezioni di metodo sui rapporti tra la Chiesa e la politica. Benedetto XVI l’ha fatto nel discorso che ha rivolto ai rappresentanti del Partito Popolare Europeo ricevuti in Vaticano il 30 marzo. Il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per la diocesi di Roma e presidente della conferenza episcopale italiana, l’ha fatto nella prolusione all’ultimo consiglio permanente della Cei, riunito il 20 marzo.
E alle loro voci si sono aggiunti tre articoli sull’ultimo numero di “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma che è stampata, riga per riga, con il controllo e l’autorizzazione delle massime autorità vaticane.

In ordine cronologico il primo degli interventi citati è stato quello del cardinale Ruini.
In riferimento alle elezioni italiane del 9 aprile il presidente della CEI ha ribadito la linea da lui già formulata in precedenti vigilie elettorali:
“... che è quella di non coinvolgerci, come Chiesa e quindi come clero e come organismi ecclesiali, in alcuna scelta di schieramento politico o di partito, e allo stesso tempo di riproporre agli elettori e ai futuri eletti quei contenuti irrinunciabili [...] che costituiscono parte essenziale della dottrina sociale della Chiesa, ma non sono norme peculiari della morale cattolica, bensì verità elementari che riguardano la nostra comune umanità”.

Tra i “contenuti irrinunciabili” Ruini ha citato
-il “rispetto della vita umana dal concepimento al suo termine naturale
-e il “sostegno concreto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio, in particolare nei suoi compiti di generazione ed educazione dei figli”.

In Italia, tra i candidati cattolici che concorrono alle elezioni, ve ne sono alcuni che hanno scelto di promuovere tali principi all’interno della coalizione di sinistra, altri in quella di destra.
Per i primi si sa che tale difesa sarà più ardua, mescolati come sono a uomini e partiti di marcata tendenza laicista. Ma, ciò nonostante, si è ad esempio candidata in una lista di sinistra la neuropsichiatra Paola Binetti, numeraria dell’Opus Dei ed ex presidente di quel comitato “Scienza e Vita” che nei primi mesi del 2006 organizzò in Italia la vittoriosa campagna in difesa dell’intangibilità del concepito, contro i referendum promossi dai radicali e da gran parte della sinistra. Quella campagna fu ispirata e guidata, di fatto, dal cardinale Ruini in persona. E si concluse il 12 giugno con l’annullamento dei referendum, disertati da oltre il 75 per cento dei cittadini.

Vita, famiglia e libertà di scuola sono stati i tre “principi non negoziabili” richiamati anche da Benedetto XVI nel suo discorso del 30 marzo ai rappresentanti del Partito Popolare Europeo:
“Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità”.
Dunque l’azione della Chiesa nel promuovere tali principi nella sfera pubblica – ha precisato il papa – “non ha carattere confessionale” né “costituisce una forma di intolleranza o un’interferenza”. Al contrario:
“Tali interventi sono volti solamente a illuminare le coscienze, permettendo loro di agire liberamente e responsabilmente secondo le esigenze autentiche di giustizia, anche quando ciò potrebbe confliggere con situazioni di potere e interessi personali”.

Ai politici che aveva di fronte nell’Aula della Benedizione, papa Joseph Ratzinger ha chiesto di “sconfiggere quella cultura tanto ampiamente diffusa in Europa che relega alla sfera privata e soggettiva la manifestazione delle proprie convinzioni religiose. Le politiche elaborate partendo da questa base non solo implicano il ripudio del ruolo pubblico del cristianesimo, ma, più in generale, escludono l'impegno con la tradizione religiosa dell’Europa che è tanto chiara nonostante le sue variazioni confessionali, minacciando in tal modo la democrazia stessa, la cui forza dipende dai valori che promuove. [...] In questo contesto bisogna riconoscere che una certa intransigenza secolare dimostra di essere nemica della tolleranza e di una sana visione secolare dello stato e della società”.
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I tre articoli usciti su “La Civiltà Cattolica” del 1 aprile 2006 sviluppano in forma di controversia proprio questa critica del papa alla cultura laicista.
Il primo è l’editoriale d’apertura. Non è firmato. Ha per titolo “La democrazia e la Chiesa”.
E inizia riassumendo le posizioni avversarie, in particolare quelle recentemente espresse sulla rivista “Micromega” da Gustavo Zagrebelski, ex presidente della corte costituzionale italiana. Posizioni che poi “la Civiltà Cattolica” contesta ad una ad una. Ecco ad esempio questo passaggio su aborto, denatalità e islamizzazione dell’Europa:

“Come è possibile qualificare ‘dottrine gelide e astratte’ i problemi dell’aborto, della famiglia, della trasmissione della vita, quando si tratta di problemi drammatici ed estremamente concreti, che devono preoccupare e angustiare tutti i cittadini italiani – e dunque anche i vescovi, che sono cittadini italiani anch’essi – sia per il cumulo di sofferenze che essi comportano, sia per il futuro del paese? Recentemente, il musulmano Bassam Tibi, nato a Damasco e oggi professore di relazioni internazionali alla Cornell University, ricordava che in Europa ‘il numero di immigrati musulmani è passato dagli 800.000 nel 1950 agli attuali 20 milioni, nel 2015 saranno 40 milioni mentre gli europei caleranno. Alla fine, come in Israele, i musulmani saranno maggioranza’. In questo calo degli europei davvero non incidono per nulla le interruzioni volontarie della gravidanza, che dal 1997 al 2001 sono state in Italia 684.041?”.

Oppure quest’altro passaggio contro la tesi di Zagrebelski secondo cui la Chiesa trascura la carità per imporre le sue verità:

“Come è detto nella lettera ai cristiani di Efeso, bisogna vivere ‘secondo la verità nella carità’ (Efesini 4,15). Ciò significa che fede e carità sono due realtà inscindibili. [...] È dalla Verità, che è Gesù, e dalla verità della sua parola che nasce la carità cristiana: se nell’altro il cristiano vede il fratello da aiutare è anche perché Cristo ha detto che i poveri e i bisognosi sono i suoi ‘fratelli più piccoli’ (Matteo 25,40). E infatti, quando la gerarchia difende la vita condannando l’aborto, difende la famiglia contro le sue contraffazioni, che altro fa se non un atto di carità, difendendo i deboli, quali sono i bambini nel seno materno e i bambini che per crescere bene hanno bisogno di famiglie stabili e unite?”.

Ma il passaggio più interessante è quello in cui l’autorevole rivista dei gesuiti di Roma mette in discussione il voto di maggioranza:

“C’è oggi la tendenza assai comune a chiedere la legalizzazione dell’eutanasia, del suicidio assistito, delle coppie di fatto, delle unioni omosessuali con la facoltà di adottare bambini. Questo fatto pone il problema del voto di maggioranza. Indubbiamente, tale voto è un carattere essenziale del sistema democratico, tanto che questo non esisterebbe se non si potesse far ricorso al voto di maggioranza. Ma quando si può e si deve ricorrere al criterio di maggioranza? Sembra a noi che tale ricorso sia utile e necessario quando si tratta di risolvere pacificamente problemi che riguardano la vita politica, sociale, giuridica ed economica del paese, sui quali c’è legittima diversità di opinioni, ma che devono essere decisi in un senso o in un altro per permettere il pacifico svolgimento della vita della nazione. Ci chiediamo, invece, se sia saggio e opportuno ricorrere al voto di maggioranza quando si tratta di problemi e pratiche in cui sono implicati princìpi e valori morali che toccano la coscienza più intima di gran parte della popolazione”.

L’interesse di questo passaggio dell’editoriale di “La Civiltà Cattolica” è che esso effettivamente espone la Chiesa a una delle critiche più forti degli avversari laicisti: quella di lesa democrazia. Stando al ragionamento sopra riportato, infatti, la Chiesa rifiuterebbe il voto di maggioranza, ad esempio, sui “principi non negoziabili” richiamati da Benedetto XVI ai parlamentari europei. In altre parole: a forza di difendere le verità oggettive dal relativismo, la Chiesa finirebbe col respingere che tali verità siano sottoposte a voto.
Ma è proprio così?
Sul piano teorico, la contrapposizione tra i relativisti e i sostenitori della verità oggettiva appare insuperabile.
Ma sul piano pratico le cose stanno diversamente. Il 2 dicembre 2005, in un discorso poi raccolto in un suo libro dal titolo “Verità e libertà”, il cardinale Camillo Ruini ha così sintetizzato il problema e la sua soluzione:

“Vorrei avanzare una proposta, che può suonare abbastanza ovvia, ma che ha il merito di superare, a livello pratico, lo stallo generato dalla contrapposizione tra i sostenitori e gli avversari dell’approccio relativistico in materia di etica pubblica, senza obbligare né gli uni né gli altri a recedere dall’agire secondo i propri convincimenti. "

Si tratta cioè di affidarsi, anche in questi ambiti, al libero confronto delle idee, rispettandone gli esiti democratici pure quando non possiamo condividerli. "
“Così già avviene di fatto, fortunatamente e nella sostanza, in un paese democratico come l’Italia, ma è bene che tutti ne prendiamo più piena coscienza, per stemperare il clima di un confronto che prevedibilmente si protrarrà assai a lungo, arricchendosi di sempre nuovi argomenti."

“I fautori del relativismo continueranno a pensare che in certi casi siano stati violati i ‘diritti di libertà’, mentre i sostenitori di un approccio collegato all’essere dell’uomo continueranno a ritenere che in altri casi siano stati violati diritti fondati sulla natura, e perciò antecedenti ad ogni umana decisione. Ma non vi sarà motivo di accusarsi reciprocamente di oltranzismo antidemocratico”.


E sorprendente che l’editoriale di “La Civiltà Cattolica”, tutto finalizzato a mostrare la compatibilità tra la Chiesa e la democrazia, non abbia rilanciato questo “gentlemen agreement”.
Al contrario, la conclusione dell’editoriale è tutta piena di fuoco polemico:

“Avviene un fatto abbastanza strano: mentre si accusa la Chiesa di voler imporre la sua ‘verità’, anche a quelli che la rifiutano, con le sue continue e pesanti ‘ingerenze’ nella vita politica, in realtà sono i cattolici a dover accettare leggi (aborto e divorzio) che contrastano con la loro coscienza, e si tenta di approvarne altre non meno ad essa contrarie – come quelle sull’eutanasia, sulle unioni di fatto e omosessuali – con il motivo o col pretesto che si vuole combattere il tentativo della Chiesa d’imporre a tutti gli italiani la ‘sua’ verità”.

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Ancor più polemico è poi il secondo articolo della rivista dedicato al tema, con autore padre Giandomenico Mucci e con titolo “Laicità, Chiesa e cattolici”. Questo è il suo paragrafo finale:

“Il mondo laico tollera una Chiesa che parli e combatta a patto però che essa sia socialmente perdente, che sia nullo o scarso il suo influsso sulla cultura, che sia superficiale e distratto il consenso nell’opinione pubblica. Non può invece tollerare una Chiesa che si dimostra capace di affrontare temi e problemi di alta rilevanza sociale, di elaborare, in un tempo di generale incertezza e di crisi delle antiche evidenze etiche, dottrine e proposte di comportamento che trovano interesse, ascolto e consenso anche al di fuori del cattolicesimo organizzato. Una Chiesa che si oppone ma perde è accettabile, mentre lo è di meno una Chiesa che si oppone ma vince. [...] Non ci pare un caso che il papa, descrivendo la tolleranza che il mondo laico ostenta nei riguardi di Dio, abbia parlato di ipocrisia”.

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Il terzo articolo di “La Civiltà Cattolica” del 1 aprile, scritto da padre Giuseppe De Rosa, è un corredo dei due precedenti. Difende dalle critiche laiciste la bontà del sistema dell’otto per mille, in vigore in Italia dal 1985.
Grazie ad esso, ogni cittadino contribuente indica ogni anno con la sua firma come ripartire – tra lo stato, la Chiesa cattolica, gli ebrei, i valdesi, i luterani, gli avventisti, eccetera – l’otto per mille del gettito complessivo delle imposte sul reddito. Alla Chiesa cattolica vanno ogni volta circa l’80 per cento delle indicazioni. Che in euro fanno ogni anno più di 900 milioni, destinati “in quota notevole a coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, a giovani e bambini, a emarginati, a immigrati, a zingari, a persone bisognose di ogni condizione, in Italia e nei paesi del Terzo Mondo”.
Conclude padre De Rosa:

“Ci sembra che, in un tempo in cui è tanto forte la crisi dei valori umani essenziali, quali quelli della vita, della famiglia, della moralità pubblica, della fraternità e del dialogo tra le religioni, non debba essere sottovalutato il contributo che la Chiesa cattolica dà al mantenimento e alla crescita di questi valori. Non è fare del vittimismo il rilevare che proprio a motivo della difesa che la Chiesa cattolica fa di tali valori, essa è fatta oggetto di aspre e ingiuste accuse”.