Gli orrori dei laogai , i lager
cinesi.
Milioni di persone schiave nei lager "socialisti".
Dove l'unica via di fuga è il suicidio.
Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l'economia cinese è
basata sullo schiavismo.
Harry Wu vuole parlarci dei suoi diciannove
anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente:
"Devi prima capire che cos'è
davvero un laogai".
E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti
da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta
milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l'Italia
intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca
almeno una persona che vi è stata soggiogata.
È una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione,
tantomeno esame o riesame giudiziario o
possibilità di confrontarsi con un'autorità. La decisione
di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito.
"Ma loro" dice "per
definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello
che devi diventare: un nuovo
socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe,
vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi:
quello del centro di detenzione e quello della fabbrica. Tu devi affrontare
una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti
danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose,
come nelle miniere, con prodotti chimici tossici".
Una pausa, scuote la testa: "Ma neppure
questo, in realtà, è il laogai". È
come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di
sé.
Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è
una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che
all'università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti,
aveva semplicemente criticato l'appoggio cinese
all'invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale,
nessuna prova o indizio, nessuna accusa
precisa se non quella d'essere un cattolico e un rivoluzionario di
destra.
"Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare
sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che
non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una
persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono
a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione
anche mio padre mio fratello, la mia fidanzata.
Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso
di lei. Non ha confessato perché si è suicidata".
"I primi due o tre anni",
racconta Harry Wu, "pensi alla tua
ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità:
poi
non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un
tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono
eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare
a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o
con i manganelli. L'utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie.
La sospensione per le braccia. La privazione
del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato
per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani".
Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in
sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai
riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata
da due soldati mentre un terzo le punta il
fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra
con il cranio orribilmente esploso.
Poi un filmato. È un dvd curato dall'associazione, e dovrebbero
vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni
seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e
poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte
sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra
d'acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video,
un video.
Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione:
furgoni modificati che raggiungono direttamente
il luogo dell'esecuzione con il condannato legato con cinghie a un
lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor accanto al
posto di guida. Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi
pochi minuti dopo l'emissione della condanna a morte.
Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata
in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina,
sono tornate a peggiorare dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati
più individui che in tutti i Paesi del mondo messi insieme.
"Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek,
smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio",
ci
dice, "ma dal 1989 hanno ricominciato,
e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione".
E la faccenda degli organi?
"Le autorità prelevano gli
organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente
allo Stato. I trapianti
sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è
inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne
beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani".
E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti?
"Dai giustiziati prendono il collagene
e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza,
tutti
destinati al mercato europeo".
Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò
anche un'inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in
particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d'aver
aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati,
cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a
chicchessia.
Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni
e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un
uomo poi rivelatosi vivo.
"Devi prima capire",
ripete, "che cos'è un laogai".
Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare,
un giorno, tra vent'anni, che sapevamo.
"I laogai sono parte integrante dell'economia cinese. Le autorità
li considerano delle fonti inesauribili di mano d'opera gratuita:
milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di
lavoratori forzati più vasta del mondo. È un modo supplementare,
ma basilare, che ha fatto volare l'economia: un'economia di schiavitù".
Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato.
Secondo l'Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri,
se la rieducazione fosse giudicata non completata, possono essere
trattenuti anche dopo la fine
della pena:
"Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro
anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché
ero
cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent'anni
da uomo libero".
Ieri.
"E continuerò a lavorare perché
la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena
giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo,
poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell'Olocausto,
parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo
della Muraglia e del cibo e naturalmente dell'economia. Ma i laogai,
in Cina, esistono da cinquantacinque anni".
Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla
nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel
1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a
sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l'anno
secondo l'organizzazione Human Rights Watch.
Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario
introdotto nel 2003 nel timore che l'arricchimento potesse portare
troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime
di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti,
i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire
dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai
piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi
scampati ha potuto testimoniare.
A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece
toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere
i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci
senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente
stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì
e celare l'epidemia Sars, giacché i dirigenti cinesi temevano
che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate.
La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in
vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni
di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per
noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington.
Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent'anni da uomo libero.
O forse bastava da uomo.
"Il Vescovo di San Marino Montefeltro sente il gravissimo
dovere di coscienza di invitare tutti i Fedeli alla lettura
di questa agghiacciante testimonianza. Che Dio non maledica una società
in cui avvengono fatti come questi"
+ Luigi Vescovo
21-11-2005