Il Card. Martini e la bioetica
Il cardinale Martini sull’Aids: il profilattico male minore .
E apre anche sugli embrioni «Possibile l’adozione per le donne single»
Reazioni e Commenti
Il cardinale Carlo Maria Martini, 79 anni, gesuita,
grande specialista delle Sacre Scritture, è stato arcivescovo
di Milano dal 1979 al 2002. Ora vive a Gerusalemme dove ha ripreso
i suoi studi biblici.
Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, il cardinale Martini è stato
universalmente considerato il più autorevole esponente dell'opposizione “progressista”.
E il medesimo giudizio continua a circolare, su di lui, anche in
rapporto al papa attuale.
Il professor Ignazio Marino, scienziato e bioeticista di fama internazionale,
cattolico, è direttore del Centro trapianti del Jefferson
Medical College di Philadelphia. Lo scorso 10 aprile è stato
eletto al senato italiano nel partito dei Democratici di Sinistra.
Il colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino
Carlo
Maria Martini: "Caro professor Marino,
ho letto con molto interesse e partecipazione il suo libro 'Credere
e curare'. Mi ha colpito da una parte il suo amore per la professione
medica e il suo interesse dominante per il malato e dall'altra la sua
obiettività di giudizio, il suo equilibrio nel trattare problemi
di frontiera, là dove le esigenze mediche si incontrano e talora
sembrano scontrarsi con le esigenze etiche. Ho visto come lei non vuole
rinunciare né alla sua oggettività professionale di medico
né alla sua coscienza di uomo e anche di credente. Tutto ciò mi
pare molto importante per quel 'dialogo sulla vita' che interessa giustamente
tanto i nostri contemporanei, soprattutto per quei casi limite in cui
gli ardimenti della scienza e della tecnica destano da una parte meraviglia
e gratitudine e dall'altra suscitano preoccupazione per la specie umana
e la sua dignità.
Tutto questo rende necessario e urgente un 'dialogo sulla vita' che
non parta da preconcetti o da posizioni pregiudiziali ma sia aperto
e libero e nello stesso tempo rispettoso e responsabile".
Ignazio Marino: "Vedo anch'io molte ragioni per
un dialogo oggettivo, approfondito e sincero sul tema della vita umana.
Viviamo infatti un momento storico particolare in cui il progresso
scientifico ha rivoluzionato la posizione dell'essere umano nei confronti
della vita, della malattia e della morte. Oggi, diversamente da ieri,
si può nascere in molti modi diversi, si può essere
curati con terapie straordinarie e mantenuti per lungo tempo, in un
reparto di rianimazione, in uno stato che può essere chiamato
'vita' semplicemente dal punto di vista delle funzioni fisiologiche.
La morte è sempre più considerata come un evento eccezionale
da evitare e non il naturale traguardo a cui giunge inevitabilmente
ogni vita umana.
Questi cambiamenti influenzano non solo il corso della nostra esistenza
ma anche il modo di concepire la vita, la malattia e la morte. Per
questo non è possibile ignorare gli innumerevoli quesiti etici
che emergono dai continui cambiamenti legati alle nuove tecnologie
e alle possibilità che la scienza mette a disposizione degli
uomini.
Il dialogo su questi temi e il confronto tra uomini di diversa formazione
e con differenti ruoli all'interno della società può contribuire
alla circolazione di idee e posizioni volte ad individuare punti di
incontro e non di divisione.
Su temi così delicati, infatti, il rischio è di cadere
in facili contrapposizioni e strumentalizzazioni che non portano alcun
vantaggio se non quello di creare fratture nella società. Invece,
se il ragionamento viene condotto onestamente e con spirito di sincera
apertura, è possibile individuare percorsi comuni o per lo
meno non troppo divergenti".
L'inizio della vita
Martini: "Sono pienamente
d'accordo sulle sue premesse. Là dove per il progresso della
scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie,
dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell'uomo
e della donna, sia di questo singolo sia dell'umanità intera, è buona
regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere
con serenità, così da non creare inutili divisioni.
Penso che potremmo iniziare qualche esperimento di un simile dialogo
partendo dall'inizio della vita e in particolare da quella prassi,
oggi sempre più comune, che si chiama 'fecondazione medicalmente
assistita' e alla sorte degli embrioni che vengono utilizzati a questo
scopo. Su ciò vi sono non poche divergenze di pareri e anche
incertezze di vocabolario e di prassi. Vuole chiarire un poco questo
punto, sulla base della sua competenza?".
Marino: "Oggi è possibile creare una vita
in provetta, ricorrendo alla fecondazione artificiale. In presenza
di problemi di fertilità all'interno di una coppia, la fecondazione
artificiale può servire allo scopo di completare una famiglia
con un figlio. Tuttavia, questa pratica si è diffusa in Italia
e in molti altri paesi del mondo senza una regolamentazione prevista
dalla legge. La scienza e le sue applicazioni mediche hanno camminato
più rapidamente dei legislatori e, per questo motivo, ora ci
troviamo ad affrontare il problema di migliaia di embrioni umani congelati
e conservati nei frigoriferi delle cliniche per l'infertilità,
senza che si sia deciso quale dovrà essere il loro destino.
L'attuale legge italiana, per evitare di perpetuare la produzione di
embrioni di riserva che non vengono utilizzati, ha scelto una via semplicistica:
crearne solo tre alla volta e impiantarli tutti nell'utero della donna.
Ma questo numero, se si ragiona su base scientifica, dovrebbe essere
flessibile e determinato caso per caso, secondo le condizioni mediche
della coppia.
Però, la scienza viene in aiuto per suggerire delle alternative
alla creazione e al congelamento degli embrioni. Esistono delle tecniche
più sofisticate di quelle utilizzate oggi, che prevedono il
congelamento non dell'embrione ma dell'ovocita allo stadio dei due
pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici,
quello femminile e quello maschile, sono ancora separati e non esiste
ancora un nuovo Dna.
In questa fase non è possibile sapere che strada prenderanno
le cellule nel momento in cui inizieranno a riprodursi: potrebbero
dare origine ad un bambino come a due gemelli monozigoti. Non c'è l'embrione,
non c'è un nuovo patrimonio genetico e quindi non c'è un
nuovo individuo.
Dal punto di vista biologico non c'è una nuova vita. Possiamo
allora pensare che essa non ci sia nemmeno dal punto di vista spirituale
e quindi che non esistano problemi nel valutare l'idea di seguire questa
strada anche da parte di chi ha una fede?".
Martini: "Capisco come questi
fatti angustino molte persone, soprattutto quelle più sensibili
ai problemi etici. E insieme sono convinto che i processi della vita,
e quindi anche quelli della trasmissione della vita, formano un continuum
in cui è difficile individuare i momenti di un vero e proprio
salto di qualità. Questo fa sì che quando si tratta della
vita umana, occorre un grande rispetto e un grande riserbo su tutto
ciò che in qualche modo la manipola o la potrebbe strumentalizzare,
fin dai suoi inizi.
Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti
in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile.
Mi pare questo il caso che lei propone dell'ovocita allo stadio dei
due protonuclei. In questo caso mi sembra che la regola generale del
rispetto può coniugarsi con quel trattamento tecnico che lei
suggerisce.
Mi pare anche che quanto lei propone permetterebbe il superamento di
quel rifiuto di ogni forma di fecondazione artificiale che è ancora
presente in non pochi ambienti e che produce un doloroso divario tra
la prassi ammessa comunemente dalla gente e anche sancita dalle leggi
e l'atteggiamento almeno teorico di molti credenti. Ritengo comunque
opportuna una distinzione tra fecondazione omologa e fecondazione eterologa.
Ma mi sembra che un rifiuto radicale di ogni forma di fecondazione
artificiale fosse basato soprattutto sul problema della sorte degli
embrioni. Nella proposta che lei illustra tale problema potrebbe trovare
un superamento".
La fecondazione eterologa
Marino: "Lei ha accennato anche alla distinzione
tra fecondazione omologa ed eterologa. Il problema è molto discusso.
Infatti, se il desiderio di una coppia di creare una famiglia non può essere
compiuto a causa di problemi di infertilità o per la presenza
di malattie genetiche in uno dei due potenziali genitori, perché non
ricorrere al seme o all'ovocita di un individuo esterno alla coppia?
Non potrebbe rappresentare una soluzione per riuscire ad andare incontro
a quel desiderio di famiglia? Il patrimonio genetico conta comunque
di più?
Riflettendo su questo tema, la mia prima valutazione sarebbe in favore
della fecondazione eterologa, se questa è l'unico mezzo per
avere un figlio e se per la donna è importante avere una gravidanza.
Però mi sono confrontato anche con chi sostiene che la fecondazione
eterologa non di rado introduce un disequilibrio nella coppia tra il
genitore biologico, che trasmette al figlio parte del proprio Dna e
l'altro.
Alcuni studi pubblicati su riviste scientifiche e condotti in paesi
dove la fecondazione eterologa è ammessa, hanno evidenziato
che si può effettivamente creare un nucleo familiare psicologicamente
sbilanciato a favore del genitore che ha trasmesso al figlio una parte
del proprio patrimonio genetico, come se in qualche modo un genitore
valesse più dell'altro.
Un'altra questione riguarda la trasparenza: il bambino che nasce da
una fecondazione eterologa dovrebbe esserne informato? E, se la risposta è affermativa, è giusto
seguire un percorso che può creare traumi psicologici, anche
se nasce dal desiderio di avere un figlio? Vietare per legge il ricorso
alla fecondazione eterologa significa limitare la libertà dei
cittadini o va interpretata come una tutela per il futuro di chi verrà dopo
di noi?".
Martini: "Le obiezioni di natura
psicologica che lei ha ricordato sono appunto tra i motivi che hanno
bloccato non pochi sul fatto di procedere sulla via della fecondazione
eterologa, anche se ciò può comportare sofferenze per
alcuni. Si aggiunge dal punto di vista etico la protezione del rapporto
privilegiato che col matrimonio si viene ad istituire tra un uomo e
una donna. Personalmente tuttavia rifletto anche sulle situazioni che
si vengono a creare con le varie forme di adozione e di affido, dove
al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare
un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore
nel senso fisico del termine. Sarei dunque prudente nell'esprimermi
su quei casi che lei ricorda, dove non è possibile ricorrere
al seme o all'ovocita all'interno della coppia. Tanto più là dove
si tratta di decidere della sorte di embrioni altrimenti destinati
a perire e la cui inserzione nel seno di una donna anche single sembrerebbe
preferibile alla pura e semplice distruzione.
Mi pare che siamo in quelle zone grigie di cui parlavo sopra, in cui
la probabilità maggiore sta ancora dalla parte del rifiuto della
fecondazione eterologa, ma in cui non è forse opportuno ostentare
una certezza che attende ancora conferme ed esperimenti".
La ricerca sulle cellule staminali embrionali
Marino: "I
problemi connessi con gli embrioni hanno suscitato aspre discussioni
anche sull'utilizzo a scopo di ricerca delle cellule staminali
prelevate dagli embrioni stessi. Il referendum sulla procreazione
medicalmente assistita del giugno 2005 chiedeva, tra le altre cose,
di abrogare l'articolo della legge 40 in cui si vieta l'utilizzo
di queste cellule staminali.
Dal punto di vista scientifico è ipotizzabile, anche se non
ancora confermato, che le cellule staminali embrionali siano le più adatte
ai fini di ricerca, per individuare terapie per curare malattie molto
gravi, dal morbo di Parkinson all'Alzheimer ecc. Esistono altri tipi
di cellule staminali, prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale,
che già oggi vengono utilizzate con qualche successo.
Quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che non sia necessario
creare embrioni con il solo scopo di prelevarne le cellule staminali:
si possono infatti acquistare linee cellulari per condurre le ricerche,
e, inoltre, studi molto recenti condotti sui topi hanno dimostrato
la possibilità di ottenere cellule che abbiano le stesse caratteristiche
delle staminali embrionali senza dover creare degli embrioni. Resta
in sospeso la questione che riguarda gli embrioni conservati nelle
cliniche per l'infertilità e che con ogni probabilità non
verranno mai utilizzati da nessuna coppia. La loro fine è certa,
ma è meglio lasciarli morire nel freddo oppure utilizzare le
preziose cellule per scopi di ricerca? In una visione di ortodossia
religiosa, si tratta di vite e come tali non possono essere soppresse
per prelevare le cellule a scopo terapeutico, anche se un giorno quegli
embrioni saranno comunque distrutti. Si tratterebbe della diversità tra
uccidere e il lasciar morire.
Questo punto è eticamente superabile? Non è opportuno
chiedere la donazione delle cellule staminali embrionali da destinare
ai laboratori per sostenere la ricerca a favore di malattie oggi incurabili?".
Martini: "Innanzi tutto sono impressionato dalla
prudenza con cui lei parla dell'efficacia terapeutica delle cellule
staminali. Mi pare di capire che siamo ancora nel campo della ricerca
e che quindi non è onesto propagandare certezze sull'efficacia
curativa di queste cellule prima che ciò sia stato debitamente
provato. Mi rallegro anche per il fatto che non è più ritenuto
necessario creare degli embrioni con lo scopo di produrre le cellule
staminali e che sono stati eleborati metodi alternativi che non pongono
problemi alla coscienza. È un motivo in più per avere
fiducia in quella intelligenza che il Signore ha dato all'uomo perché superi
i problemi che la vita pone. È nel nome di questa stessa intelligenza
che non vedo possibile pensare a una utilizzazione di cellule staminali
embrionali per la ricerca. Ciò sarebbe contro tutti i principi
esposti finora".
Gli embrioni congelati esistenti
Marino: "La sua risposta mi permette di allargare
la riflessione alla sorte degli embrioni esistenti anche al di là di
quanto sopra ipotizzato. Quando essi non vengono utilizzati, che cosa
sarebbe etico fare?
Attualmente non è stata individuata una soluzione, se non quella
di abbandonare le provette nei congelatori. Ma è eticamente
corretto ed accettabile tollerare che migliaia di embrioni umani restino
congelati nelle cliniche per l'infertilità, attendendo semplicemente
che si spengano nel freddo con il passare degli anni?
Non potrebbero per esempio essere destinati a donne single che desiderano
avere una gravidanza? Oppure a coppie con problemi legati a malattie
genetiche che non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale
per evitare il rischio di trasmissione del difetto genetico?".
Martini: "Mi pare che qui siamo di fronte a un
conflitto di valori, più evidente nel caso della donna single
che desidera avere una gravidanza, ma esistente anche, per i motivi
che ho detto sopra, per coppie che per gravi ragioni mediche non possono
ricorrere alla fecondazione artificiale normale. Là dove c'è un
conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo
propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi
piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno
di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si scontrasse sulla
base di principi astratti e generali là dove invece siamo in
una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi
apodittici".
Adozioni per single
Marino: "Ci sono poi altri problemi, connessi
allo sviluppo della vita, in particolare alla cura che la società deve
avere per i bambini che non hanno una famiglia. In questi casi si apre
la possibilità e l'utilità, anzi quasi la necessità di
un'adozione. Oggi in Italia le adozioni non sono ammesse per i single
e, più in generale, la legislazione è molto complessa
e rende difficile ogni tipo di adozione. Mi chiedo se, dal punto di
vista etico, sia preferibile che un bambino orfano o abbandonato dai
genitori passi la vita in un istituto o sulla strada piuttosto che
avere una famiglia composta da un solo genitore? Siamo sicuri che sia
questa la strada giusta per garantire la migliore crescita possibile
a quel bambino?
Del resto, se un genitore rimane vedovo, anche alla nascita del primo
figlio, nessuno pensa che il bambino non debba continuare a vivere
nel suo nucleo familiare anche se il genitore è solo uno. O
ancora, la Chiesa sostiene che in presenza di un feto, in qualunque
circostanza si debba invitare la donna a portare a termine la gravidanza,
anche se il padre è assente o contrario, e quindi si tratterà di
sostenere una madre che nei fatti sarà single. Perché allora
non sostenere anche le adozioni per i single, una volta accertata la
motivazione, i mezzi e le capacità del potenziale genitore di
assicurare una crescita serena al bambino adottato?".
Martini: "Lei si pone domande serie e ragionevoli
su un tema complesso, sul quale non ho sufficiente esperienza. Ma penso
che il punto di partenza è la condizione che lei esprime in
chiusura. Occorre cioè assicurare che chi si prende cura del
bambino adottato abbia le giuste motivazioni e abbia anche i mezzi
e le capacità per assicurarne una crescita serena. Chi è in
tale condizione? Certamente anzitutto una famiglia composta da un uomo
e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare
una serie di relazioni anche intrafamiliari atte a far crescere il
bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò è chiaro
che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare
di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a
una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere
quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo
bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare il massimo di condizioni
favorevoli concretamente possibili. Perciò, quando è data
la possibilità di scegliere, occorre scegliere il meglio".
Aborto
Marino: "Uno dei temi più difficili da
affrontare, su cui ci si interroga in continuazione proprio per la
sua delicatezza e complessità, è l'aborto. In Italia,
lo Stato ha regolato la materia, sforzandosi di coniugare il principio
dell'autodeterminazione delle donne con la libertà di coscienza
dei medici che possono scegliere l'obiezione.
In questi anni in Italia abbiamo potuto constatare gli effetti della
legislazione sull'aborto. Per quanto ciascuno di noi riconosca che
l'aborto costituisce sempre una sconfitta, nessuno può negare
che la legge ha permesso di ridurre il numero complessivo degli aborti
e di tenere sotto controllo quelli clandestini, evitando di mettere
a rischio la vita delle donne esposte a gravi disastri come le perforazioni
dell'utero fatte dalle 'mammane' per indurre l'aborto. Di fronte a
casi estremi come una donna che ha subito una violenza, una gravidanza
in un'adolescente di undici o dodici anni, una donna senza le possibilità economiche
di allevare un bambino, come si pone la Chiesa?
Se si ammette il principio
della scelta del male minore e, come suggerisce la Chiesa cattolica,
quello di affidare la risposta all'intimo della propria coscienza (conscientia
perplexa: quella condizione in cui un uomo o una donna a volte si trovano
ad affrontare situazioni che rendono incerto il giudizio morale e difficile
la decisione), non sarebbe eticamente corretto spiegare apertamente
questo punto di vista? E sostenerlo anche pubblicamente?".
Martini: "Il tema è molto doloroso e anche
molto sofferto. Certamente bisogna anzitutto voler fare tutto quanto è possibile
e ragionevole per difendere e salvare ogni vita umana. Ma ciò non
toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse
e diversificate che possono verificarsi e ragionare cercando in ogni
cosa ciò che meglio e più concretamente serve a proteggere
e promuovere la vita umana. Ma è importante riconoscere che
la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il
principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana,
dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta
una apertura alla vita eterna che Dio promette all'uomo. Possiamo dire
che sta qui la definitiva dignità della persona. Anche chi non
avesse questa fede, potrebbe però comprendere l'importanza di
questo fondamento per i credenti e il bisogno comunque di avere delle
ragioni di fondo per sostenere sempre e dovunque la dignità della
persona umana.
Le ragioni di fondo dei cristiani stanno nelle parole di Gesù,
il quale affermava che 'la vita vale più del cibo e il corpo
più del vestito' (cfr Matteo 6,25), ma esortava a non avere
paura 'di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere
l'anima' (cfr Mt 10,28). La vita fisica va dunque rispettata e difesa,
ma non è il valore supremo e assoluto. Nel vangelo secondo Giovanni
Gesù proclama: 'Io sono la risurrezione e la vita: chi crede
in me, anche se muore, vivrà' (Gv 6,25). E san Paolo aggiunge:
'Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi' (Rom 8,
18). V'è dunque una dignità dell'esistenza che non si
limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita eterna.
Ciò posto, mi sembra che anche su un tema doloroso come quello
dell'aborto (che, come lei dice, rappresenta sempre una sconfitta)
sia difficile che uno Stato moderno non intervenga almeno per impedire
una situazione selvaggia e arbitraria. E mi sembra difficile che, in
situazioni come le nostre, lo Stato non possa non porre una differenza
tra atti punibili penalmente e atti che non è conveniente
perseguire penalmente. Ciò non vuol dire affatto 'licenza di
uccidere', ma solo che lo Stato non si sente di intervenire in tutti
i casi possibili, ma si sforza di diminuire gli aborti, di impedirli
con tutti i mezzi soprattutto dopo qualche tempo dall'inizio della
gravidanza, e si impegna a diminuire al possibile le cause dell'aborto
e a esigere delle precauzioni perché la donna che decidesse
comunque di compiere questo atto, in particolare nei tempi non punibili
penalmente, non ne risulti gravemente danneggiata nel fisico fino al
pericolo di morte. Ciò avviene in particolare, come lei ricorda,
nel caso degli aborti clandestini, e quindi è tutto sommato
positivo che la legge abbia contribuito a ridurli e tendenzialmente
a eliminarli.
Comprendo che in Italia, con l'esistenza del Servizio Sanitario Nazionale,
ciò comporta una certa cooperazione delle strutture pubbliche
all'aborto. Vedo tutta la difficoltà morale di questa situazione,
ma non saprei al momento che cosa suggerire, perché probabilmente
ogni soluzione che si volesse cercare comporterebbe degli aspetti negativi.
Per questo l'aborto è sempre qualcosa di drammatico, che non
può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la
sovrapopolazione, come mi pare avvenga in certi paesi del mondo.
Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle
situazioni limite, dolorosissime anch'esse e forse rare, ma che possono
presentarsi di fatto, in cui un feto minaccia gravemente la vita della
madre. In questi e simili casi mi pare che la teologia morale da sempre
ha sostenuto il principio della legittima difesa
e del male minore,
anche se si tratta di una realtà che mostra la drammaticità e
la fragilità della condizione umana. Per questo la Chiesa ha
anche dichiarato eroico ed esemplarmente evangelico il gesto di quelle
donne che hanno scelto di evitare qualunque danno recato alla nuova
vita che portano in seno, anche a costo di rimetterci la vita propria.
Non riesco invece ad applicare tale principio della legittima difesa
e/o del male minore agli altri casi estremi da lei ipotizzati, né mi
avvarrei del principio della conscientia perplexa, che non so bene
che cosa significa. Mi pare che anche nei casi in cui una donna non
può, per diversi motivi, sostenere la cura del suo bambino,
non devono mancare altre istanze che si offrono per allevarlo e curarlo.
Ma in ogni caso ritengo che vada rispettata ogni persona che, magari
dopo molta riflessione e sofferenza, in questi casi estremi segue la
sua coscienza, anche se si decide per qualcosa che io non mi sento
di approvare".
Compensi per la donazione di organi?
Marino: "C'è un argomento che mi tocca
da vicino, dato che da più di venticinque anni mi occupo di
trapianti di organo. Grazie ai trapianti oggi migliaia di persone,
altrimenti destinate a morte certa, guariscono e conducono un'esistenza
piena da tutti i punti di vista. Il limite principale ad una maggiore
diffusione di questa terapia è legato all'insufficiente numero
di donazioni e quindi di organi da trapiantare, e di conseguenza molte
persone muoiono in lista d'attesa.
Per aumentare il numero di donatori, in alcuni paesi e principalmente
in Gran Bretagna, è stata avanzata l'ipotesi di stabilire un
compenso per le famiglie che accettano di donare gli organi del proprio
parente dopo la morte. Il dubbio è se sia eticamente corretto
proporre vantaggi materiali o denaro in cambio della donazione degli
organi. Si potrebbe in questo modo probabilmente aumentare il numero
delle donazioni e dei trapianti e rispondere così alle esigenze
dei malati che attendono in lista un organo che salverà loro
la vita. Eppure questa ipotesi contiene in se il presupposto per un
comportamento non equo. Non si rischia di instaurare una situazione
in cui solo i meno abbienti, incentivati da un compenso, saranno disposti
a donare gli organi mentre i più ricchi si limiteranno a riceverli?
E la donazione, proprio in quanto tale, non dovrebbe sempre e solo
basarsi sul principio dell'uguaglianza?".
Martini: "Personalmente sento molto ciò che
lei afferma in conclusione, cioè l'importanza del principio
dell'uguaglianza e i pericoli gravissimi di una ipotesi di retribuzione
per gli organi. Mi pare che la strada è invece quella di propagandare
il più possibile il principio della donazione e far crescere
la coscienza collettiva su questo punto. C'è davvero da auspicare
che non vi sia più chi muoia in lista d'attesa, mentre vi sono
organi disponibili".
Hiv e Aids
Marino: "La questione dell'uguaglianza ci porta
direttamente ad interrogarci su problemi e malattie che affliggono
milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più poveri
e svantaggiati per i quali l'idea di uguaglianza rimane un sogno molto
lontano se non una mera utopia. Come non pensare subito all'Aids? Circa
42 milioni di persone nel mondo sono portatrici del virus dell'Hiv.
Nel solo 2005 secondo i dati riferiti dalle agenzie dell'Onu, 3 milioni
di persone sono morte di Aids mentre si sono registrati 5 milioni di
nuovi infetti. Il 60 per cento dei portatori del virus vive nei paesi
più poveri dell'Africa Sub-Sahariana, con un'incidenza media
nella popolazione tra il 5 e il 10 per cento e punte che arrivano sino
al 25-30 per cento in alcuni paesi come il Botswana o lo Zimbabwe.
L'Hiv è la piaga di un continente che genera non solo ammalati
ma orfani, povertà, impossibilità di migliorare le condizioni
di vita. Nel mondo occidentale, oggi il virus viene tenuto sotto controllo
grazie ai progressi nelle terapie farmacologiche che permettono ad
un sieropositivo di condurre un'esistenza del tutto normale, con un'aspettativa
di vita paragonabile a quella delle persone non affette dal virus.
Fino a pochi anni fa, il costo annuale per i farmaci di una persona
sieropositiva si aggirava intorno a dieci mila euro, una cifra proibitiva
che poteva essere sostenuta soltanto dai paesi dove era presente un
sistema sanitario nazionale. Oggi i prezzi, in regime di concorrenza,
hanno subito un crollo, fino ad attestarsi a metà 2003 su 700
euro per i farmaci di marca (prodotti dalle multinazionali farmaceutiche)
e intorno a 200 euro per i generici di fabbricazione indiana, brasiliana
e tailandese. Nonostante questi importanti passi avanti, in molti paesi
africani la spesa procapite in sanità non supera i 10 dollari
l'anno per cui, nei fatti, l'accesso ai farmaci e alle terapie per
contrastare l'Aids è negato e il virus continua a diffondersi.
Sappiamo che l'Aids si può in parte contrastare con la prevenzione
e l'utilizzo dei profilattici.
Come è accettabile non promuovere l'utilizzo del profilattico
per contribuire a controllare la diffusione del virus? È o non è un
dovere dei governi fare scelte e prendere decisioni su questo tema?
E, rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, non si
tratterebbe comunque di optare per un male minore e contribuire alla
salvezza di tante vite umane?".
Martini: "Le cifre che lei cita destano smarrimento
e desolazione. Nel nostro mondo occidentale è assai difficile
rendersi conto di quanto si soffra in certe nazioni. Avendole visitate
personalmente, sono stato testimone di questa sofferenza, sopportata
per lo più con grande dignità e quasi in silenzio. Bisogna
fare di tutto per contrastare l'Aids. Certamente l'uso del profilattico
può costituire in certe situazioni un male minore. C'è poi
la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da
Aids. Costui è obbligato a proteggere l'altro partner e questi
pure deve potersi proteggere. Ma la questione è piuttosto se
convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale
mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili,
compresa l'astinenza, vengano messi in secondo piano, mentre si rischia
di promuovere un atteggiamento irresponsabile. Altro è dunque
il principio del male minore, applicabile in tutti i casi previsti
dalla dottrina etica, altro è il soggetto cui tocca esprimere
tali cose pubblicamente. Credo che la prudenza e la considerazione
delle diverse situazioni locali permetterà a ciascuno di contribuire
efficacemente alla lotta contro l'Aids senza con questo favorire i
comportamenti non responsabili".
La fine della vita
Martini: "Ma credo che è giunto il momento
per il nostro dialogo di passare ad un'altra serie di problemi che
riguardano la vita, e precisamente quelli che si riferiscono alla fine
di essa. È necessario vivere con dignità, ma per questo
morire anche con dignità. Ora, come lei sa, qui si pongono,
soprattutto in Occidente, problemi molto gravi".
Marino: "Lei pensa certamente anzitutto all'eutanasia,
una parola attorno a cui si crea sempre molta confusione attribuendole
diversi significati. Per questo preferisco non parlare in astratto,
ma esprimermi in maniera molto concreta. Si può o no ammettere
che una persona induca volontariamente la morte di un'altra, sebbene
gravemente ammalata e in preda a dolori fisici devastanti, per alleviare
questo dolore? Di fronte ad una situazione irreversibile in cui la
morte è inevitabile, ritengo sia assolutamente necessaria la
somministrazione di farmaci come la morfina, che alleviano il dolore
e accompagnano il malato con maggiore tranquillità nel passaggio
dalla vita alla morte. È quanto viene fatto, in queste drammatiche
circostanze, in tutte le rianimazioni negli Stati Uniti. Io stesso,
pur soffrendone perché un medico vorrebbe sempre poter salvare
la vita dei suoi pazienti, lavorando negli Stati Uniti ho deciso diverse
volte di sospendere tutte le terapie. È un momento doloroso
per la famiglia e, le assicuro, anche per il medico ma è una
onesta accettazione che non si può fare più nulla se
non evitare di prolungare sofferenze inutili e lesive della dignità del
paziente. L'Italia è ancora gravemente carente in proposito,
in assenza di una legge che regolamenti la materia al punto che se
io eseguissi lo stesso tipo di procedimento nel nostro paese potrei
essere arrestato e condannnato per omicidio, mentre si tratta solo
di non accanirsi con terapie senza senso. Non sono invece d'accordo
nel somministrare una sostanza velenosa per provocare l'arresto del
cuore del malato e quindi indurre la morte. E, pur condannando il gesto,
non sono tuttavia certo che si possa condannare la persona che lo compie.
Faccio un esempio: in un recente film vincitore del premio Oscar, dal
titolo 'One Million Dollar Baby', viene descritto il dramma di una
donna ridotta in stato semivegetativo dopo un grave incidente sportivo,
che chiede ad un uomo, il suo principale punto di riferimento nella
vita, di aiutarla a porre fine alla sua sofferenza fisica e psicologica.
L'uomo inizialmente rifiuta poi accetta perché ritiene che quello
sia un atto d'amore estremo verso l'essere umano a cui si tiene di
più. Pur non riuscendo a giustificare l'idea della soppressione
di una vita, mi chiedo, in situazioni simili, come si può condannare
il gesto di una persona che agisce su richiesta di un ammalato e per
puro sentimento d'amore? E d'altra parte è lecito ammettere
il principio di non condannare una persona che uccide?".
Martini: "Sono d'accordo con lei che non si può mai
approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare
se è un medico, che ha come scopo la vita del malato e non
la morte. Neppure io tuttavia vorrei condannare le persone che compiono
un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e
per puro sentimento di altruismo, come pure quelli che in condizioni
fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé. D'altra parte
ritengo che è importante distinguere bene gli atti che arrecano
vita da quelli che arrecano morte. Questi ultimi non possono mai esser
approvati. Ritengo che su questo punto debba sempre prevalere quel
sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che, malgrado
tutto, vede un senso in ogni momento dell'esistere umano, un senso
che nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere.
So tuttavia che si può giungere a tentazioni di disperazione
sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per
altri, e perciò prego anzitutto per me e poi per gli altri perché il
Signore protegga ciascuno di noi da queste terribili prove. In ogni
caso è importantissimo lo star vicino ai malati gravi, soprattutto
nello stato terminale e far sentire loro che si vuole loro bene e che
la loro esistenza ha comunque un grande valore ed è aperta a
una grande speranza. In questo anche un medico ha una sua importante
missione".
Accanimento terapeutico
e interruzione delle terapie
Marino: "Connesso con questo tema è quello
dell'accanimento terapeutico. La tecnologia attuale è in grado
di mantenere in vita malati che fino a pochi anni fa non venivano nemmeno
condotti in un reparto di rianimazione. Il progresso scientifico permette
di prolungare artificialmente anche la vita di una persona che ha perso
ogni speranza di ritrovare una condizione di salute accettabile. Per
questo appare urgente affrontare il problema dell'interruzione delle
terapie.
Ogni forma di accanimento terapeutico andrebbe evitata perché contrasta
con il rispetto della dignità umana.
Per la Chiesa, la sospensione delle terapie viene considerata come
accettazione di un fatto naturale, di non accanirsi più. Il
Catechismo della Chiesa cattolica dice: 'L'interruzione di procedure
mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto
ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha
la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare
la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere
prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o,
altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando
sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del
paziente'.
Esistono strumenti legali, come il testamento biologico, che permettono
al singolo individuo di indicare con precisione, e in un momento di
tranquillità emotiva, fino a che punto si desidera accettare
il ricorso a terapie straordinarie. Il testamento biologico rappresenta
uno strumento molto valido per aiutare il medico e la famiglia a prendere
la decisione finale. Dovrebbe basarsi su regole flessibili e indicare
anche una persona di fiducia in grado di interpretare le volontà di
quell'individuo tenendo conto degli ulteriori progressi della scienza.
Molti paesi lo hanno adottato con buoni risultati. In Italia un disegno
di legge è stato presentato al Senato da molto tempo ma attende
ancora di essere discusso. Non sarebbe il momento di avviare una riflessione
seria e condivisa per introdurre al più presto anche nel nostro
paese una legislazione in merito alla fine della vita, cioè a
uno dei momenti più importanti della nostra esistenza?".
Martini: "Il testo da lei citato del Catechismo
della Chiesa cattolica mi pare esauriente al proposito. Se si volesse
legiferare su questo punto è però importante che non
si introducano aperture alla cosiddetta eutanasia di cui abbiamo parlato
sopra. Per questo sono incerto anche sullo strumento del testamento
biologico. Non ho studiato l'argomento e non saprei dare un parere
decisivo. Ritengo con lei che una riflessione seria e condivisa sulla
fine della vita potrebbe essere utile, purché sia appunto seria
e condivisa e non si presti a speculazioni di parte e soprattutto non
introduca in qualche modo aperture a quella decisione sulla propria
morte che ripugna al senso profondo del bene della vita, come sopra
si è detto".
La scienza e il senso del limite
Marino: "In conclusione, vorrei proporre una
riflessione più generale. La conoscenza, il progresso scientifico,
l'avanzamento tecnologico creano straordinarie opportunità di
crescita per il nostro pianeta ma allo stesso tempo mettono nelle mani
di ricercatori e scienziati un grande potere, legato al fatto di essere
in grado di intervenire sui meccanismi che regolano l'inizio della
vita e la sua fine.
La scienza corre più veloce del resto della società e
anche dei parlamenti, incaricati di fissare delle regole ma il più delle
volte incapaci di intervenire tempstivamente.
A mio modo di vedere andrebbe richiesta con fermezza un'assunzione
di responsabilità da parte di ogni scienziato coinvolto in un
campo della ricerca che interviene sull'essenza della vita, sulla sua
creazione e sulla sua fine. Fermo restando che la valutazione razionale è indispensabile,
l'arbitrio del ricercatore dovrebbe essere disciplinato anche dal senso
di responsabilità bilanciato dalla valutazione dei rischi
e delle conseguenze.
Non si tratta di appellarsi alla fede o alla religione ma di puntare
su una presa di coscienza da parte di ogni scienziato. Questo non significa
voler arrestare il progresso scientifico ma preservare e rispettare
il nostro bene più prezioso, ovvero la vita.
Ma la storia purtroppo ci insegna che l'appello alla responsabilità individuale
a volte non basta. Per questo gli scienziati devono fornire ogni informazione
utile e alla fine dovrebbero essere i parlamenti, o meglio le istituzioni
sovranazionali, a fissare le regole sulla base del comune sentire dei
cittadini".
Martini: "Tutti siamo pieni di meraviglia e di
stupore, e quindi anche grati a Dio, per il formidabile progresso scientifico
e tecnologico di questi anni che permette e permetterà sempre
più e meglio di provvedere alla salute della gente. Insieme
siamo consci, come lei dice, del grande potere che è nelle mani
di ricercatori e di scienziati e della ferma assunzione di responsabilità che
deve permettere ad essi di ricercare sempre valutando i rischi e le
conseguenze delle loro azioni. Esse devono sempre contribuire al bene
della vita e mai al contrario. Per questo occorre anche talora sapersi
fermare, non varcare il limite. Io sono inclinato a nutrire fiducia
nel senso di responsabilità di questi uomini e vorrei che avessero
quella libertà di ricerca e di proposta che permette l'avanzamento
della scienza e della tecnica, rispettando insieme i parametri invalicabili
della dignità di ogni esistenza umana. So anche che non si può fermare
il progresso scientifico, ma lo si può aiutare ad essere sempre
più responsabile. Come lei dice, non si tratta di appellarsi
alla fede o alla religione, ma di puntare sul senso etico che ciascuno
ha dentro di sé. Certamente anche leggi buone e tempestive possono
aiutare, ma come lei afferma, la scienza corre oggi più veloce
dei parlamenti. Si esige quindi un soprassalto di coscienza e un di
più di buona volontà per far sì che l'uomo non
divori l'uomo, ma lo serva e lo promuova. Anche le istituzioni sovranazionali
debbono prender coscienza del pericolo che tutti corriamo e del bisogno
di interventi tempestivi e responsabili. In tutta questa materia occorre
che ciascuno faccia la sua parte: gli scienziati, i tecnici, le università e
i centri di ricerca, i politici, i governi e i parlamenti, l'opinione
pubblica e anche le chiese. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica,
vorrei sottolineare soprattutto il suo compito formativo. Essa è chiamata
a formare le coscienze, a insegnare il discernimento del meglio in
ogni occasione, a dare le motivazioni profonde per le azioni buone.
A mio avviso non serviranno tanto i divieti e i no, soprattutto se
prematuri, anche se bisognerà qualche volta saperli dire. Ma
servirà soprattutto una formazione della mente e del cuore a
rispettare, amare e servire la dignità della persona in ogni
sua manifestazione, con la certezza che ogni essere umano è destinato
a partecipare alla pienezza della vita divina e che questo può richiedere
anche sacrifici e rinunce. Non si tratta di oscillare tra rigorismo
e lassismo, ma di dare le motivazioni spirituali che inducono ad amare
il prossimo come se stessi, anzi come Dio ci ha amato e anche a rispettare
e ad amare il nostro corpo. Come afferma san Paolo, il corpo è per
il Signore e il Signore è per il corpo. Il nostro corpo è tempio
dello Spirito Santo che è in noi e che abbiamo da Dio: perciò non
apparteniamo a noi stessi e siamo chiamati a glorificare Dio nel nostro
corpo, cioè nella totalità della nostra esistenza su
questa terra (cfr 1 Cor 6,13.19-20)".
a cura di Daniela Minerva
-www.espressonline.it
Reazioni e Commenti
Corriere della Sera- Luigi Accattoli 22 aprile
2006
Preservativo ed eutanasia: «mezzo sì» dal
Vaticano alle aperture di Martini
Ma sugli embrioni bocciatura di Sgreccia
Il presidente dell' Accademia per la vita: due apprezzamenti e due
riserve
CITTÀ DEL VATICANO -
Due richiami allo «statuto
umano dell' embrione» e alla necessità che la vita nasca «dalla
coppia umana».
Un mezzo apprezzamento per le riflessioni sulla
depenalizzazione di atti di eutanasia compiuti per pietà e
sull' uso del preservativo - in casi estremi - contro il contagio
da Aids.
Sono le reazioni del vescovo Elio Sgreccia,
presidente della Pontificia Accademia per la vita, al «dialogo» del cardinale
Martini e del chirurgo Marino pubblicato ieri dall' Espresso.
Sgreccia
apprezza il «clima costruttivo» di quel dialogo e avanza
le sue «considerazioni» in «tono conversativo»,
prendendo atto in particolare dell' «afflato pastorale ed evangelico
che il cardinale trasmette con le sue parole».
La prima riserva
di Sgreccia riguarda la proposta di Marino relativa al «congelamento
non dell' embrione ma dell' ovocita allo stadio di due pronuclei,
cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici, quello
femminile e quello maschile, sono separati e non esiste ancora un
nuovo DNA». In quel momento per Marino «non c' è l'
embrione, non c' è un nuovo patrimonio genetico e quindi non
c' è un nuovo individuo». «Qui - dice Sgreccia
- sento il bisogno di fare delle osservazioni, anche perché,
rispondendo, il cardinale Martini giustamente raccomanda "un
grande rispetto" in tutto ciò che potrebbe "manipolare" la
vita nascente. Tale rispetto va usato soprattutto in questa precisa
situazione, perché l' ovocita di cui parla Marino, il quale
contiene dentro la sua membrana i due pronuclei, in realtà è un
ovulo fecondato, in cui il processo di fecondazione è già avviato
e orientato. I due pronuclei influenzano sinergicamente il citoplasma
dell' ovulo che li ha accolti e attivano dinamicamente un insieme
coordinato e finalizzato di processi che sfociano di fatto, come
riconosce Marino, o in un individuo o in due individui gemelli».
Per Sgreccia «questo inizio che avviene dentro l' ovulo fecondato è precisamente
un inizio di vita individuale e dà luogo a un processo irreversibile
verso il successivo sviluppo, contenendo già il patrimonio
individualizzante». Questa è la conclusione del vescovo: «Penso
che il professor Marino, parlando dell' ovocita come se fosse un "non
embrione", avrebbe dovuto quanto meno dire che questa teoria
non è condivisa da molti embriologi. Nel dubbio ci si dovrebbe
comunque astenere dalla utilizzazione o manipolazione di tale embrione».
La seconda riserva di Sgreccia riguarda la «mancata considerazione» nel
dialogo tra Marino e Martini della coppia umana «dalla quale
sola» dovrebbe avere inizio la vita: «Nella procreazione-fecondazione
artificiale manca la dimensione unitiva degli sposi, espressa attraverso
il dono di sé nell' atto coniugale. Questa dimensione antropologica è stata
ritenuta essenziale per la liceità dell' atto procreativo
a partire dall' insegnamento di Pio XII sulla inseminazione e successivamente
con Paolo VI e con Giovanni Paolo II, che ha confermato sempre il
punto chiave della istruzione "Donum vitae", detta solitamente "istruzione
Ratzinger"».
Conclusione di Sgreccia: «Mi ha sorpreso
che questo elemento di antropologia e di morale coniugale non sia
stato menzionato nell' intervista».
Il presidente dell' Accademia
per la vita ritiene che molte delle questioni trattate nell' intervista
dovrebbero essere valutate con maggiore rigore a partire da «due
capisaldi»: quello dello «statuto umano dell' embrione
fin dall' inizio del processo di fecondazione» e quello del «carattere
unitivo dell' atto procreativo nella sua umana pienezza».
Anche
l' «adozione degli embrioni» - sostiene Sgreccia - andrebbe
valutata alla luce di questi principi: essa allora apparirebbe sì «buona
in linea di principio, ma non buona nei suoi esiti e nei rischi a
cui espone l' embrione» e dunque «magari da tollerare»,
ma non da raccomandare come «scelta e programma».
Più vicino
ai dialoganti Marino e Martini è il pensiero di Sgreccia in
merito all' eutanasia: «Condivido l' istanza di comprensione
evangelica che ispira le parole del cardinale Martini verso chi abbia
commesso per pietà atti di eutanasia chiesti da un parente.
Anche la depenalizzazione di certi atti potrà essere considerata
e raccomandata dalla legge umana, ma l' atto in sé dell' interruzione
volontaria della vita è e rimane moralmente negativo e chi
veramente vuole il bene del prossimo fa di tutto per risparmiare
e prevenire tali eventi». Quanto all' uso del preservativo
per evitare il contagio da Aids, considerato un «male minore» nell'
intervista, Sgreccia invita a tener conto del fatto che il preservativo
- se pure potrà offrire a volte un «ultimo» riparo
- «non garantisce affatto una protezione completa» e
che la via maestra della prevenzione consiste nel «retto uso
della sessualità», che significa «castità e
fedeltà».
CASTITÀ
George W. Bush presidente degli Usa: L' Hiv/Aids Act
individua specifici finanziamenti per l' educazione basata sull'
astinenza nelle scuole, nelle chiese e nei centri comunitari all'
estero.
L' astinenza ha portato risultati in Uganda -Yoweri
Museveni presidente dell' Uganda :
Il profilattico è solo un' improvvisazione
e non la soluzione. Bisogna puntare sulle relazioni ottimali basate
sull' amore e sulla fiducia invece che su un equivoco come il condom
Mswati III re dello Swaziland: Nel 2001 la castità è stata
resa obbligatoria per contrastare l' Aids. Dopo un anno l' obbligo è stato
abolito. Ho comunque ribadito che nonostante la revoca della legge
si deve evitare di avere rapporti promiscui
Intervista ad Antonio Socci
Corriere della Sera- 22 Aprile 2006 - Arachi Alessandra
Antonio Socci, lei da giornalista avrà letto
i giornali. Cosa ne pensa delle dichiarazioni del Cardinal Martini?
«Mah,
la sensazione è che il cardinale sia troppo sensibile ai temi
molto agitati dai mass media. E poi...».
E poi?
«Poi
mi sembra che il suo approccio da esegeta si ponga di fronte ai problemi
con un punto di vista più protestante che cattolico».
E dunque? Non pensa che sia giusto dire che il preservativo
sia il male minore per combattere l' Aids?
«Mi sembra una sciocchezza
fuori luogo».
Perché?
«Perché dimostra
una scarsa conoscenza del problema. Davvero vogliamo dire che il
problema dell' Aids in Africa è che non usano il preservativo?
O forse è meglio dire che chi vive rapporti sessuali, diciamo
così, disordinati non gliene frega nulla di usare preservativi».
E allora?
«Allora è statisticamente provato
che la diffusione dell' Aids è inversamente proporzionale alla
presenza del cattolicesimo. Perché quello che funziona per la
prevenzione dell' Aids è l' educazione, la cultura».
Non l' uso
del preservativo?
«È una sciocchezza che la Chiesa
debba sdoganare il preservativo usando l' Aids. È un grimaldello
usato da chi vuole condurre una battaglia ideologica contro la contraccezione
professata dalla Chiesa».
Il Cardinal Martini ha fatto un'
apertura anche all' adozione degli embrioni da parte di donne single...
«Questa è una
vecchia proposta del Movimento per la Vita: è preferibile
salvare una vita, sempre. E dunque meglio che sia una mamma, anche
se single, ad adottare un embrione congelato piuttosto che buttarlo
nella spazzatura. O piuttosto che occuparsi di qualsiasi altro problema
successivo. Però...».
Però?
«Mi sembra
che in questo caso i problemi siano con la legge italiana che di
fronte all' adozione prevede, necessariamente, la presenza di una
mamma e di un papà».
Corriere della Sera- Luigi Accattoli 21 aprile
2006
Letta per intero, questa conversazione tra un medico che si definisce
cattolico— e forse aspira a fare il ministro della Salute nel
futuro governo Prodi — e un cardinale illuminato sembra intesa
a esplorare il limite cui si può spingere un cristiano nel «dialogo
sulla vita».
Paola Binetti, neodeputato della Margherita
ed ex presidente del Comitato Scienza e vita plaude al «linguaggio
della misericordia e dell’intelligenza» usato dal cardinale
Martini.
Gustavo Selva di Alleanza nazionale, invece, avverte
nelle posizioni del cardinale «un po’ la tendenza a
un certo relativismo», dal quale «mette in guardia
Benedetto XVI».
Luigi Bobba, ex presidente delle Acli, approva il metodo di
verificare «potenzialità e rischi », superando le «opposizioni
ideologiche ».
Per l’immunologo e presidente dell’Anlaids Fernando
Aiuti quella di Martini è un’«apertura
importante che purtroppo non rappresenta la posizione ufficiale della
Chiesa».
Corriere della Sera- Luigi Accattoli 22 aprile
2006
I missionari in Africa: qui si tollera l' uso del profilattico
«Un
sieropositivo è obbligato a proteggere il partner»
ROMA - «Noi missionari
siamo felici che il cardinale Martini abbia affermato che l' uso
del profilattico può costituire «in certe situazioni» un
male minore e che l' abbia detto proprio in riferimento all' Africa.
Qui l' emergenza che rende non solo giusto, ma anche necessario l'
uso del preservativo è all' ordine del giorno. Ma dobbiamo
pure dire che non è per questa via che la battaglia sarà vinta.
Solo l' educazione a un uso responsabile della sessualità può garantire
risultati significativi»: così commenta le «aperture» del
cardinale Carlo Maria Martini il missionario comboniano Giuseppe
Caramazza che a Nairobi (Kenya) dirige la rivista New
people.
Gli
chiediamo di spiegarci come si combinino la contrarietà teorica
della Chiesa al preservativo e la prassi accomodante di cui sta parlando: «Dobbiamo
distinguere - risponde - l' uso del profilattico come mezzo per evitare
le nascite, che la Chiesa condanna e il suo uso come difesa dal contagio,
che non sarà lei a promuovere, ma che può tollerare».
Secondo Caramazza «la difficoltà della Chiesa a prendere
posizione dipende dalla campagna ideologica che si fa contro di lei
e dal fatto che la questione è complessa. Parlare del preservativo
come di un toccasana è sbagliato e controproducente».
Anche i vescovi africani sono incerti sul da farsi: «In privato
ci danno ragione e parlano come il cardinale Martini, ma nessuna
conferenza episcopale l' ha mai fatto pubblicamente».
Il cardinale
ha pure parlato del caso di un coniuge affetto da Aids che è «obbligato» a
proteggere l' altro coniuge:
«A voi in Europa sembrerà un
caso da studiare a scuola, qui invece è molto comune. Lui
non è fedele e non è continente, contrae la malattia
ed esige il rapporto, che si fa? Nostro compito è aiutare
a sopravvivere all' Aids e non certo a soccombere ad esso! Ma non
creda che sia questo il nostro maggiore impegno. Tutti ci interrogano
sul preservativo, ma noi facciamo ben dell' altro»
«Ho
appena ultimato un video intitolato La Chiesa e la prevenzione dell'
Aids, dove il preservativo neanche viene citato. Il 40% dell' opera
di prevenzione dell' Aids in Africa viene svolta dalle Chiese cristiane
e ultimamente anche le agenzie dell' Onu stanno riconoscendo che
la nostra opera di coscientizzazione vale molto di più della
distribuzione dei preservativi a chi neanche li sa usare»