SOMMARIO RASSEGNA STAMPA

Quel terzo sesso che la scienza riconosce.
E la legge no

La Repubblica- Il Venerdi- 22-6-2007

Li chiamano «disturbi della differenziazione sessuale»
In Italia colpiscono 150 neonati l'anno.
Ma solo ora è allo studio un progetto normativo per tenerne conto.

di Cristina Mochi

Non esistono registri ufficiali e quindi nemmeno dati certi. Ma che nascano ogni anno nel mondo migliaia di bambini intersessuali, cioè né maschi né femmine, è una realtà che la scienza (e le famiglie) affrontano ogni giorno, tra mille difficoltà, mediche e sociali. Di ermafroditismo (ma oggi si preferisce parlare di Dsd, disturbi della differenziazione sessuale) hanno già trattato la letteratura antica con il mito platonico dell'androgino, quella moderna con Mid-dksex di Jeffrey Eugenides e diversi telefilm (da Grey's Anatomy al Dr. House). Adesso il dramma di una condizione biologica incerta, da non confondere con la transessualità, dove la biologia invece è certissima (sono maschi) ma è la psiche a non accettarla.
La sindrome di Klinefelter, un'anomalia cromosomica che determina organi genitali maschili, anche se poco sviluppati, e aspetto femminile. «Tutto sommato la sindrome di Klinefelter è uno dei casi più semplici, perché riguarda individui fondamentalmente maschi» spiega Giacinto Marrocco, chirurgo pediatra e responsabile del gruppo di studio sui Dsd del San Camillo di Roma : «Tra i 150 casi che abbiamo ogni anno in Italia molti bambini non sono attribuibili né all'uno né all'altro sesso».


Per capire come questo possa avvenire bisogna risalire alle primissime fasi dello sviluppo embrionale. «Nell'embrione infatti c'è un tessuto gonadico che comincia a differenziarsi solo alla settima - ottava settimana di gestazione. Quello che induce la differenziazione è la presenza del cromosoma Y, anzi, di uno specifico gene situato nel braccio corto di Y. Se questo gene esiste, la gonade diventa testicolo, altrimenti diventa ovaio. La formazione del testicolo, poi, è un passaggio cruciale, perché questo comincia a secernere ormoni androgeni, che vengono metabolizzati dalle cellule della regione genitale e trasformati in Dht (diidrotestosterone). Il Dht induce a sua volta lo sviluppo del pene e la formazione dell'uretra. Quindi ci sarà la discesa del testicolo nello scroto e alla nascita avremo un maschio» spiega Marrocco.

Questa lunga catena, però, si può interrompere e produrre anomalie. Alcune sono evidenti alla nascita, altre invece verranno diagnosticate nella fase puberale, quando si attiva l'asse ipotalamo-ipofisi-surre-ne e compaiono i caratteri sessuali secondari (seno e barba per esempio). «Vediamo ragazze che, in assenza di mestruazioni, vengono portate a un controllo, dove si scopre che, nonostante organi genitali femminili, hanno patrimonio cromosomico maschile (XY)» dice Marrocco. «Sono presenti infatti testicoli interni che producono ormoni maschili, ma le cellule non sono in grado di sintetizzarli. Si chiama sindrome di Morris e dà luogo a donne, tali solo esteriormente».

I casi dunque sono tanti e complicati e non ci sono linee guida ufficiali né legge che stabiliscano come comportarsi. Le decisioni spettano solo ai medici, d'accordo con le famiglie. Alla nascita, per esempio, è obbligatorio registrare il neonato attribuendo un sesso certo. Se sorge un dubbio, non c'è tempo per una diagnosi accurata. E se si sceglie male, la famiglia dovrà poi seguire un lungo iter giudiziario presso il tribunale minorile per ottenere un cambiamento. Ecco perché è allo studio un progetto di legge (promosso dal parlamentare Vladimir Luxuria) che preveda di poter attendere, per l'attribuzione del sesso, sessanta giorni, cioè il tempo per fare l'esame del patrimonio cromosomico, ecografie e analisi ormonali.

Anche ammesso che si possa stabilire un sesso «prevalente», non esiste però cura che riporti tutto alla normalità. «L'unica via è chirurgica, per modificare gli organi nel senso stabilito dalla diagnosi» dice Marrocco. Il che spesso non risolve la delicata situazione psicologica, che deve essere sempre seguita da specialisti. «L'ultima proposta, dagli Usa, riguarda la possibilità di non intervenire alla nascita e lasciar decidere gli interessati, da adulti. Ma la società non è ancora in grado di convivere con un terzo sesso» conclude Marrocco.

In Italia, intanto, la speranza è che la rete spontanea di ospedali attivi sui Dsd (dal San Camillo al Bambino Gesù di Roma, dal San Raffaele di Milano al Maggiore di Bologna) diventi presto un coordinamento riconosciuto. Per decidere terapie e strategie comuni per tutto il territorio.

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