FONDAMENTALISMO ISLAMICO
di Massimo Introvigne ("Il Giornale", 20.11.2003)
Quando si legge che sono stati espulsi dall'Italia diversi "fondamentalisti"
islamici, è doveroso interrogarsi su che cosa precisamente
significhi la parola "fondamentalismo". Qualche esponente
musulmano parla addirittura di "terrorismo ideologico" ogni
volta che questa parola è utilizzata. Ha ragione?
"Fondamentalismo" è una parola che non è nata
per designare un fenomeno specificamente islamico, ma una corrente
protestante che - fra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX -
voleva difendere i "fondamentali" della fede contro l'assalto
del nascente "progressismo" teologico, sostenendo in particolare
che la Bibbia, in quanto parola di Dio, era infallibile, priva di
errori e non bisognosa di interpretazioni sofisticate per essere capita
dal fedele medio. Più tardi, dopo la Seconda guerra mondiale,
"fondamentalista" divenne un'etichetta utilizzata per quei
protestanti conservatori che volevano contare di più in politica,
soprattutto negli Stati Uniti, o più esattamente volevano dedurre
una politica, senza mediazioni, dalla religione.
Queste definizioni di "fondamentalismo" sono difficili da
esportare nel mondo islamico. Se le si prende alla lettera, tutti
i musulmani sono "fondamentalisti": tutti considerano il
Corano un testo letteralmente dettato da Dio e infallibile, tutti
(tranne pochi modernisti) sono eredi di una tradizione che non pensa
di dover distinguere secondo i canoni occidentali tra politica e religione.
Più precisamente, i "fondamentalisti" sono gli eredi
di uno specifico movimento nato fa le due guerre mondiali con la fondazione
dei Fratelli Musulmani in Egitto nel 1928 da parte di Hassan al-Banna
e della Jamaat a-t-i Islami nel subcontinente indiano nel 1941 da
parte di Abul Ala Maududi. Questo movimento - insieme conservatore
e modernizzatore - ritiene che per salvare l'islam dalla decadenza
e dalla subalternità all'Occidente si debba tornare alla legge
islamica, la shari'a, all'unità politico-religiosa del mondo
musulmano nel Califfato, e a un progetto di espansione internazionale
dell'islam.
Tuttavia, a distanza di oltre settant'anni dalla sua fondazione, il
movimento "fondamentalista" islamico comprende, oltre a
decine di milioni di persone, correnti molto diverse, tanto che il
problema se sia opportuno riunirle sotto una sola etichetta deve essere
almeno posto come domanda.
Una parte del movimento "fondamentalista" ha scelto la strada
della partecipazione alla vita politica democratica e ha finito per
concepire la shari'a come un orizzonte ideale piuttosto che come una
serie di precetti fissati nel Medioevo una volta per tutte: è
il caso del partito oggi al governo in Turchia.
Un'altra parte, "neo-tradizionalista", mantiene un'idea
assai più letteralista e ristretta della shari'a, ma la traduce
in un tentativo di islamizzare la società civile "dal
basso" prima del passaggio all'azione direttamente politica:
è il caso dei Tabligh, del tutto apolitici, e di alcune delle
branche nazionali autonome dei Fratelli Musulmani. Infine, una terza
corrente "radicale" considera con riluttanza ogni itinerario
democratico e ammira, quando non organizza, il terrorismo. Terroristi
o no, gli espulsi appartengono senza alcun dubbio a tale corrente
"radicale".
Nell'arcipelago di nomi e sigle non è facile orientarsi: né
per gli specialisti
né per la polizia. Le distinzioni sono importanti. Ma per i
"neo-tradizionalisti" (i cui esponenti italiani legati ai
Fratelli Musulmani dominano la più grande organizzazione islamica
italiana, l'UCOII) e tanto più per l'ala parlamentare e democratica
che si ispira a figure come Erdogan gli avvenimenti degli ultimi anni
sono un test. Come si pongono le altre componenti della galassia "fondamentalista"
rispetto ai "radicali" e ai terroristi (tutti: non basta
condannare bin Laden se si ammira Hamas)? Sono fratelli che sbagliano?
O sono criminali assassini?
Solo se rinunceranno alla retorica dei "fratelli che sbagliano"
- purtroppo così presente in questi giorni - voci islamiche
che prendono a modello la shari'a e la tradizione dell'islam politico,
ma che cercano di pensarla in un un modo relativamente nuovo, e non
violento, potranno essere prese sul serio. E forse non saranno più
chiamate semplicemente "fondamentaliste".