Continua il dibattito sul "dopo 11 settembre"

di Sandro Magister- www.chiesa.espressonline.it

E' stato pubblicato sull’ultimo numero di “Oasis”,[ http://www.cisro.org/] la rivista internazionale del patriarcato di Venezia stampata in italiano, inglese, francese, arabo e urdu e inviata a tutte le diocesi cattoliche dell’Oriente europeo, del Nordafrica e dell’Asia un dossier sul dopo 11 settembre .

Introduce il dossier una nota del cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia. Seguono i contributi di autori di varie nazioni. Il primo contributo è di Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e specialista di politica internazionale.

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Ornaghi scrive che “l’attacco alle Torri Gemelle ha messo a nudo la vulnerabilità culturale dell’Occidente. La nostra cultura si è trovata esposta e facilmente aggredibile proprio al suo cuore, ossia nella sua identità”.

In queste “paure e incertezze si sono ritrovati immersi anche i cristiani”. Nello stesso tempo, però, “in quel vasto e reale campo delle convinzioni e dei comportamenti del popolo, a cui troppo poco si guarda (o, quando vi si presta attenzione, lo si considera attardato e quasi condannato a una posizione di minorità ecclesiale), l’11 settembre ha provocato un risveglio”. Un risveglio che si è espresso “in una inattesa rilevanza pubblica del sentimento religioso”.

A parere di Ornaghi, “questa è davvero la novità da cui dopo l’11 settembre è caratterizzata la presenza dei cristiani in Occidente. Ed è una novità legata all’irrompere della questione della vita e del senso della persona”.
Non solo. Rispondendo in questo modo alla sfida dell’11 settembre, “la cultura cristianamente ispirata sta cercando di fissare i fondamenti ideali e pratici di una convivenza fra popoli”.
Facendo questo, i cristiani potranno anche correggere un limite della democrazia in Occidente, che rende così difficile “esportarla” nei paesi non occidentali. Il limite è quello di una democrazia “interamente secolarizzata, in cui le identità religiose e le professioni di fede sono soltanto appendici marginali rispetto al progredire della società”.

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Il secondo contributo è del filosofo inglese Roger Scruton, già professore al Birkbeck College di Londra e alla Boston University. Roger Scruton prima analizza la logica degli aggressori e poi delinea una risposta.

A convalidare l’odio e il risentimento di tanti musulmani contro il mondo moderno identificato nell’Occidente – scrive – c’è la fede in Allah:
“Il risentimento e l’odio diventano sentimenti nobili quando sono concepiti come comandamenti divini e, anche se la fede non ha avuto un ruolo nel produrre quelle emozioni, essa può giocare un ruolo importante nel renderle rispettabili”.
La fede fa sì che “per i musulmani sia possibile considerare martiri coloro che testimoniano la loro fede portando morte e distruzione a persone innocenti, morendo nel farlo”.

Alla “parte peggiore del male” evidenziato dagli attacchi dell’11 settembre va data una risposta – scrive Scruton – nella quale i cristiani devono essere protagonisti:
“Questa risposta è, molto semplicemente, portare ancora una volta testimonianza delle radici religiose della nostra civiltà.
L’equilibrio esistente tra il cristianesimo e l’islam dipendeva da un condiviso riconoscimento dell’esistenza di Dio e da un faccia a faccia esistenziale radicato nella rivelazione. I musulmani si sentono minacciati dal successo e dalla prosperità occidentali perché vedono queste cose come i prodotti di un credo puramente secolare, perfino ateistico. Questo fa sorgere il risentimento: le prosperità occidentali sono immeritate e possono essere trasformate in punizioni con un semplice gesto [terroristico].

Per fronteggiare questa sfida, i cristiani hanno sicuramente il dovere di mostrare che la loro civiltà è basata sulla fede, che le sue più grandi conquiste non sono i grattacieli, i McDonald’s e il sistema bancario internazionale, ma le opere di grazia spirituale e alta cultura che trasmettono significati eterni. Hanno il dovere di ridare vita al messaggio cristiano che richiama non alla comodità materiale, ma al sacrificio e alla compassione”.

Scruton fa notare che “questa maniera di portare testimonianza è stato il motivo per cui innumerevoli monaci e suore nel Medio Oriente hanno portato aiuto ai loro vicini musulmani in tempi di guerra civile e di collasso politico, guadagnandone un rispetto per la loro religione e per il loro stile di vita che ha assicurato la loro sopravvivenza”.
È una testimonianza cristiana che Scruton vede fiorire anche in ambienti impensati:
“Negli Stati Uniti è già all’opera e sta producendo effetti sui musulmani americani, che si sentono a casa in un paese in cui la gente ha ricominciato a pregare in pubblico e in cui l’abitudine a confessare i propri errori non è andata perduta. Un articolo di Spencer Ackerman apparso su ‘The New Republic’ sottolinea che i musulmani in America si sentono più al sicuro nella cosiddetta ‘Bible Belt’, il cuore delle terre cristiane, più che nelle metropoli secolarizzate e scettiche”.
Al contrario, un modo di non testimoniare la fede è “la nostra indifferenza alla sorte dei cristiani nei paesi islamici e la nostra riluttanza a confrontarci con coloro che li stanno perseguitando. Il risentimento trionfa quando la sua ingannevole visione di sé, come fosse la voce di Dio contro i nemici, è confermata dal non trovare alcuna resistenza. Il risentimento si cura con il rispetto e spesso rispetto significa opposizione. Una difesa dei copti d’Egitto, dei melkiti e maroniti in Libano, delle Chiese assire nella Mesopotamia e così via, contro le forze islamiche che li circondano, potrà portare i musulmani in Occidente a vedere che anch’essi costituiscono una minoranza religiosa, tra persone che non condividono le loro convinzioni ma che nondimeno si trovano in una condizione di dialogo esistenziale con loro. È a partire da questo riconoscimento che si può iniziare il dialogo”.