I diplomatici musulmani vanno a scuola.
Dai gesuiti
Per tre settimane, alla Pontificia Università Gregoriana di
Roma, rappresentanti degli stati islamici del Mediterraneo e del Medio
Oriente hanno studiato la Chiesa cattolica e la sua politica internazionale.
E l'anno prossimo si replica
di Sandro Magister www.chiesa.espressonline.it
ROMA, 18 giugno 2007 – L'evento è passato quasi inosservato,
ma lo scorso maggio la Santa Sede ha patrocinato un corso di studi senza
precedenti, per diplomatici di paesi del Mediteranneo e del Medio Oriente:
al fine di presentare se stessa ai governi musulmani dell'area.
Il tema del corso era infatti il seguente: "La Chiesa cattolica e
la politica internazionale della Santa Sede".
L'organizzatore effettivo è stato la Fondazione Gregoriana in collaborazione
con l'Istituto Internazionale Jacques Maritain e con queste quattro università:
la Pontificia Università Gregoriana, la Georgetown University di
Washington, la Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma
e la Saint Joseph University di Beirut. Creata nel 2003 e diretta dal gesuita
Franco Imoda, la Fondazione Gregoriana sostiene e sviluppa con iniziative
proprie le attività delle tre storiche università della Compagnia
di Gesù a Roma: la Pontificia Università Gregoriana, di cui
Imoda è stato rettore, il Pontificio Istituto Biblico, di cui è stato
rettore il cardinale Carlo Maria Martini, e il Pontificio Istituto Orientale.
Ma per questo corso il patrocinio della Santa Sede era ben visibile. Le
relazioni inaugurali, il 7 maggio, sono state tenute dai cardinali Tarcisio
Bertone, segretario di stato vaticano, e Renato Raffaele Martino, presidente
del consiglio pontificio della giustizia e della pace.
E il terzo giorno, 9 maggio, un'intera sessione si è svolta addirittura
in Vaticano, nella biblioteca della segreteria di stato, con relazioni
di Gabriele Caccia e Piero Parolin, rispettivamente assessore della segreteria
di stato e sottosegretario per le relazioni con gli stati.
Nelle prime due settimane, dal 7 al 20 maggio, il corso si è tenuto
a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana. Nella terza settimana,
dal 21 al 27 maggio, a Torino, capitale della grande industria, con attenzione
particolare all'"opera sociale della Chiesa in un contesto industriale".
Al corso hanno preso parte 20 diplomatici provenienti da 16 paesi: Albania,
Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania,
Kuwait, Iran, Iraq, Libano, Libia, Marocco, Montenegro, Siria, Turchia,
oltre a un rappresentante della Lega degli Stati Arabi e a due rappresentanti
della Lega delle Università Islamiche.
Tranne il diplomatico del Montenegro, cristiano ortodosso, tutti gli altri
corsisti erano di fede musulmana.
I docenti sono stati in totale 55. Tra essi l'islamologo gesuita Samir
Khalil Samir, lo specialista in ebraismo David-Maria Jaeger, lo studioso
dell'islam e musulmano Khaled Fouad Allam, il cardinale Jean Louis Tauran,
già ministro degli esteri della Santa Sede, il presidente dell'Istituto
per le Opere di Religione, Angelo Caloia, il direttore dell'Aspen Institute
in Italia, Marta Dassù, l'economista Mario Deaglio, il politologo
Luigi Bonanate, lo specialista in Chiese orientali e società islamiche
Andrea Pacini.
Ai diplomatici partecipanti al corso sono state illustrate le istituzioni
della Chiesa cattolica e le finalità principali inerenti alla sua
missione: la promozione della giustizia, il rispetto della persona e dunque
dei diritti umani – in particolare il diritto alla vita e alla libertà religiosa – e
il conseguimento del bene comune universale, cioè una convivenza
pacifica basata sulla reciproca conoscenza e sul reciproco rispetto. Quest’azione – è stato
spiegato – si esplica a livello della Chiesa universale e delle Chiese
particolari, nelle società civili e nei rapporti con gli stati e
con gli organismi internazionali, e costituisce un fattore importante di
stabilità “politica” e di ispirazione etica nel nostro
mondo globale.
Più che a uno scontro di civiltà – è stato detto – si
assiste oggi a uno "scontro delle ignoranze" tra le società cristiane
e quelle musulmane. Ci si combatte anche perché non ci si capisce.
Per superare questa reciproca incomprensione le religioni hanno una missione
insostituibile, di cui le diplomazie devono tenere conto.
A fine corso, i commenti dei partecipanti sono stati molto positivi, a
tratti entusiastici. Ha scritto un diplomatico del Nordafrica:
"La comprensione di un ideale religioso votato intrinsecamente all'amore,
alla pace, alla difesa dei diritti dell'uomo e alla carità mi conforta
nell'idea che la fede nella sua diversità abramitica è indispensabile
per la serenità del mondo".
Del corso saranno pubblicati gli atti. Nel frattempo, un rapporto sul suo
svolgimento è stato inviato alle ambasciate e ai ministeri degli
esteri dei paesi interessati.
La Fondazione Gregoriana ha in programma di ripetere il corso con cadenza
annuale, a Roma o in altri paesi. Una sede futura, simbolicamente molto
significativa, potrebbe essere la nuova Biblioteca di Alessandria di Egitto.
Discorso del Cardinal Bertone all'inaugurazione del
Corso per Diplomatici della Gregoriana
07-05-2007-www.vatican.va
"Il dialogo interreligioso come via della pace"
Reverendissimi Padri,
Illustri Autorità,
Signori e Signore,
desidero rivolgere un deferente saluto agli organizzatori e ai partecipanti al
presente Corso per diplomatici dei Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente
dal titolo "La Chiesa cattolica e la politica internazionale della Santa
Sede". In particolare ringrazio il Rev.do Padre Franco Imoda, Presidente
della Fondazione "La Gregoriana", nella sua qualità di Presidente
del Corso, e il Prof. Roberto Papini, Segretario Generale dell’Istituto
internazionale "Jacques Maritain", quale Direttore esecutivo del Corso
stesso. Un riconoscente pensiero anche al Rev.do Padre Gianfranco Ghirlanda,
Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana che ci ospita.
A tutti voi, infine, rivolgo un cordiale e amichevole saluto. Questa iniziativa,
che vede coinvolte prestigiose istituzioni, appare quanto mai opportuna nell’attuale
contesto storico per far conoscere, in modo adeguato, il pensiero e l’attività della
Chiesa cattolica a esponenti qualificati del mondo musulmano. La conoscenza vicendevole è in
effetti il primo e necessario passo per assicurare uno sviluppo armonico del
dialogo e una collaborazione duratura e proficua.
L’argomento che mi è stato assegnato - "Il dialogo interreligioso
come via della pace" - è stimolante e quanto mai attuale nella
ricerca del dialogo tra le religioni nonché per le future prospettive
mondiali. Per questo, al dialogo la Santa Sede riserva costante e sincero interesse.
Lo ha affermato con chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI nell’incontro
con i rappresentanti di alcune comunità musulmane, a Colonia il 20 agosto
2005. "Il dialogo religioso e interculturale – ha egli detto - fra
cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale. Esso è una
necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro".
Qui consideriamo il dialogo religioso al servizio della pace. Com’è noto,
la ricerca della pace sta molto a cuore alla Santa Sede. Mi limiterò a
menzionare alcuni espliciti riferimenti a questo tema contenuti nei Messaggi
che da oltre 30 anni il Papa, in occasione della Giornata Mondiale della Pace,
invia ai Capi di Stato, ai cattolici e agli uomini di buona volontà.
1. Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo
Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dell’anno 1983 aveva per
tema: "Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo".
In esso il venerato Pontefice Giovanni Paolo II si diceva profondamente convinto
che il dialogo - il vero dialogo - è condizione essenziale per la pace
e notava: "Sì, questo dialogo è necessario; non è solamente
opportuno; è difficile, ma è possibile, nonostante gli ostacoli
che il realismo ci deve far prendere in considerazione. Esso costituisce, dunque,
una vera sfida, che io vi invito a raccogliere" (Insegnamenti G.P.II, 1982/III,
p. 1542). Ed aggiungeva che un vero dialogo "suppone la ricerca di ciò che è vero,
buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società" (Op.
cit., p. 1545). Il dialogo perciò esige una reale apertura ed accoglienza,
nel rispetto e nella comprensione della differenza e della specificità dell'altro.
Il dialogo, nello stesso tempo, è ricerca di ciò che è,
e resta comune agli uomini, anche in mezzo a tensioni, opposizioni e conflitti.
Insomma, il vero dialogo è ricerca del bene con mezzi pacifici; è un
riconoscimento della dignità inalienabile degli uomini e poggia sul rispetto
della vita umana.
2. Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore
e della pace
Nel 2001, il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace aveva invece come
tema il "Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore
e della pace". Proponendo un’analisi condivisa sul dialogo tra
le differenti culture e le tradizioni dei popoli, il Santo Padre indicava nel
dialogo la via necessaria per l’edificazione di un mondo riconciliato,
capace di guardare con serenità al proprio futuro. La cultura – egli
notava - è espressione qualificata dell’uomo e della sua vicenda
storica. Essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura.
Se pertanto è importante, da un lato, riuscire ad apprezzare i valori
della propria cultura, dall'altro occorre avere consapevolezza che ogni cultura,
essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente
anche dei limiti. Perché il senso di appartenenza culturale non si trasformi
in chiusura, un antidoto efficace è la conoscenza serena, non condizionata
da pregiudizi negativi, delle altre culture (cfr n. 7) (Insegnamenti G.P.II,
2000/II, p. 1066-1067<). Possiamo così affermare, come recentemente
ribadito da S. Ecc. Francesco Follo alla 176° Sessione del Consiglio Esecutivo
dell’UNESCO, che se le diverse culture sono segnate da interpretazioni
differenti della realtà, esse stesse si connettono insieme, in profondità,
nell’esperienza fondamentale della condizione umana, intorno a domande
sulla nascita e sulla morte, sul lavoro, la malattia, l’ingiustizia sociale,
la salvaguardia del nostro pianeta.
In questa chiave, il dialogo tra le culture emerge come un’esigenza intrinseca
alla natura stessa dell’uomo e della cultura; esso porta a riconoscere
la ricchezza della diversità disponendo gli animi alla reciproca accettazione,
nella prospettiva di un'autentica collaborazione, rispondente all'originaria
vocazione all'unità dell'intera famiglia umana. Come tale, il dialogo è strumento
eminente per realizzare la civiltà dell'amore e della pace che il Papa
Paolo VI indicava come l'ideale a cui ispirare la vita culturale, sociale, politica
ed economica del nostro tempo.
Di fronte alle crescenti disuguaglianze nel mondo, il primo valore comune di
cui promuovere una consapevolezza sempre maggiore è certamente quello
della solidarietà. Ma al cuore di un'autentica cultura della
solidarietà si pone la promozione della giustizia, strettamente
collegata con il valore della pace, obiettivo primario di ogni società e
patrimonio comune per una reale convivenza nazionale e internazionale. Inoltre,
va notato che un autentico dialogo tra le culture non può non alimentare
anche una viva sensibilità per il valore della vita, mai considerata
come oggetto di cui disporre arbitrariamente, ma come la realtà più sacra
e intangibile. Se viene meno la salvaguardia di così fondamentale bene,
non ci può essere pace; non si può invocare la pace e disprezzare
la vita.
3. Credenti uniti nella costruzione della pace. Il dialogo interreligioso
via della pace
Per quanto concerne il ruolo della religione e del dialogo interreligioso in
favore della pace, mi pare di grande interesse il Messaggio della Giornata Mondiale
della Pace del 1992. In esso più volte Giovanni Paolo II torna a sottolineare
il compito dei credenti che, "proprio in ragione della loro fede, sono chiamati
- individualmente e tutti insieme - ad essere messaggeri e costruttori di pace" (Insegnamenti
G.P.II, 1991/II, p. 1332). Un compito che non è d’elite, di "nicchia",
come si dice oggi, ma "riguarda ogni persona di buona volontà" (op.
cit., p. 1332), anche se tale "dovere si impone con urgenza a quanti professano
la fede in Dio" (op. cit., p. 1332).
Nei libri sacri delle diverse religioni, il riferimento alla pace occupa un posto
rilevante nel quadro della vita dell'uomo e degli stessi suoi rapporti con Dio.
A questo proposito, osserva Papa Wojtyła, "una vita religiosa, se è autenticamente
vissuta, non può non produrre frutti di pace e di fraternità" (op.
cit., n. 2, p. 1333). Si capisce allora facilmente l’importanza della preghiera
per la pace, come fattore di incontro e di unità, "laddove disuguaglianze,
incomprensioni, rancori e ostilità sono superati, cioè davanti
a Dio, Signore e Padre di tutti" (op. cit., n. 4, p. 1335). Insieme alla
preghiera, per promuovere la pace occorre incentivare i contatti interreligiosi
e il dialogo ecumenico. "Grazie a tali forme di confronto e di scambio – nota
Giovanni Paolo II - le religioni hanno potuto prender più chiara coscienza
delle loro non certo lievi responsabilità rispetto al vero bene dell'intera
umanità... Un tale procedere dei credenti può esser determinante
per la pacificazione dei popoli ed il superamento delle divisioni tuttora esistenti
tra «zone» e «mondi»" (op. cit., n. 5, p. 1335-1336).
E conclude: "i contatti inter-religiosi, accanto al dialogo ecumenico, sembrano
ormai strade obbligate, perché tante dolorose lacerazioni, avvenute lungo
il corso dei secoli, più non accadano e quelle residue siano presto risanate" (op.
cit., n. 6, p. 1336).
4. L’incontro interreligioso di Assisi
Evento storico, pietra miliare nel dialogo interreligioso al servizio della pace è risultato
l’incontro svoltosi ad Assisi il 27 ottobre 1986. A 20 anni di distanza,
il Papa Benedetto XVI, in una lettera commemorativa del 2 settembre 2006, ha
affermato che l’invito ai leaders delle religioni mondiali per una corale
testimonianza di pace servì allora a chiarire senza possibilità di
equivoco che la religione non può che essere foriera di pace. Concetto,
questo, fortemente ribadito nella Dichiarazione Nostra aetate del Concilio
Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, laddove
si dice al n. 5, che "non possiamo invocare Dio come Padre di tutti, se
ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni uomini creati ad immagine
di Dio". E prosegue: "Nonostante le differenze che caratterizzano i
vari cammini religiosi, il riconoscimento dell'esistenza di Dio, a cui gli uomini
possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr Rm
1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri
umani come fratelli. A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della
differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso
verso altri esseri umani". E le guerre di religione? "Simili manifestazioni
di violenza - segnala Benedetto XVI - non possono attribuirsi alla religione
in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa
nel tempo".
Ma richiamiamoci per un istante ad Assisi, a quel 27 ottobre 1986, quando il
Servo di Dio Giovanni Paolo II pose l’accento sul valore della preghiera
nella costruzione della pace, perché "in primo luogo la pace va costruita
nei cuori. Il cuore dell'uomo è il luogo degli interventi di Dio".
In un clima di grande interesse chiese a tutti una preghiera autentica, accompagnata
dal digiuno ed espressa nel pellegrinaggio, simbolo del cammino verso l’incontro
con Dio, spiegando che "la preghiera comporta da parte nostra la conversione
del cuore" (Insegnamenti G.P.II, 1986/II, p. 1253).
Per non equivocare, poi, sul senso di quanto, in quello stesso incontro, si voleva
realizzare, per intendere bene ciò che si suole qualificare come "spirito
di Assisi", è importante non dimenticare l’attenzione che fu
posta perché quell’incontro interreligioso di preghiera non si
prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica.
Proprio a fugare questo rischio, fin dalle prime battute Giovanni Paolo II dichiarò: "Il
fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un
consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa
che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto
terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo
nelle credenze religiose" (op. cit.,p. 1252).
5. Il rifiuto del terrorismo
Il sincero dialogo fra le religioni non può non comportare un netto rifiuto
della violenza e del fenomeno del terrorismo. Dopo gli avvenimenti dell’11
settembre 2001, sempre Giovanni Paolo II, il 24 gennaio 2002, convocò un’altra
volta i leaders religiosi ad Assisi per pregare per la pace. In quell’occasione
affermò con chiarezza: "E' doveroso che le persone e le comunità religiose
manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza,
a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo
addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l'uomo. L'offesa
dell'uomo è, in definitiva, offesa di Dio. Non v’è finalità religiosa
che possa giustificare la pratica della violenza dell'uomo sull'uomo" (Insegnamenti
G.P.II, 2002/I, p.1011). E per la Giornata Mondiale della Pace di quello stesso
anno 2002, aveva scelto come tema "Non c'è pace senza giustizia,
non c'è giustizia senza perdono". Nel Messaggio per tale annuale
ricorrenza ebbe a proclamare con forza che "Il terrorismo si fonda sul disprezzo
della vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini
intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come
strategia politica ed economica, un vero crimine contro l'umanità" (Insegnamenti
G.P.II, 2001/II, p. 1083). E rivolgendosi ai capi religiosi aggiungeva: "Nessun
responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza verso il
terrorismo e, ancor meno, lo può predicare" (op. cit., p. 1085).
Al terrorismo si è riferito anche Benedetto XVI nel Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace dello scorso anno 2006: "Al giorno d'oggi – ha
scritto - la verità della pace continua ad essere compromessa e negata,
in modo drammatico, dal terrorismo che, con le sue minacce ed i suoi atti criminali, è in
grado di tenere il mondo in stato di ansia e di insicurezza" (Insegnamenti
B. XVI, 2005/I, p.958). Ed aggiunge: "Nell'analizzare le cause del fenomeno
contemporaneo del terrorismo è auspicabile che, oltre alle ragioni di
carattere politico e sociale, si tengano presenti anche le più profonde
motivazioni culturali, religiose ed ideologiche" (op. cit., p. 959).
6. Promozione e Rispetto dei Diritti Umani
Le ultime considerazioni di questo mio intervento vorrei dedicarle alla promozione
e al rispetto dei diritti umani, un ambito nel quale il dialogo interreligioso è quanto
mai utile per la costruzione della pace. La pace di fatto nasce e si rafforza
proprio quando i diritti umani vengono osservati e rispettati integralmente.
E’ convinzione della Santa Sede che quando la promozione della dignità della
persona costituisce il principio-guida a cui ci si ispira, quando la ricerca
del bene comune rappresenta l'impegno predominante, allora vengono posti solidi
e durevoli fondamenti all'edificazione della pace. Quando invece i diritti umani
sono ignorati o disprezzati, quando il perseguimento di interessi particolari
prevale ingiustamente sul bene comune, allora vengono inevitabilmente seminati
i germi dell'instabilità, della ribellione e della violenza.
La "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" ha come
premessa basilare l'affermazione secondo cui il riconoscimento dell'innata dignità di
tutti i membri della famiglia umana, come pure dell'uguaglianza ed inalienabilità dei
loro diritti, è il fondamento della libertà, della giustizia e
della pace nel mondo. Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace di quest’anno, che ha per tema "La persona umana,
il cuore della pace", ha ribadito che la difesa dell'universalità e
dell'indivisibilità dei diritti umani è essenziale per la costruzione
di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli
e nazioni. Tra questi diritti vorrei far riferimento a due oggi particolarmente
esposti a più o meno aperte violazioni: si tratta cioè del diritto
alla vita e del diritto alla libertà religiosa. La vita umana è sacra
e tale va considerata dal suo concepimento al naturale tramonto. E’ questo
un diritto inviolabile, che comporta il netto rifiuto di ogni forma di violenza.
Accanto al diritto alla vita, la Chiesa ha ugualmente a cuore quello alla libertà religiosa.
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1999 Giovanni Paolo II
scrive che "La libertà religiosa, costituisce il cuore stesso dei
diritti umani. Essa è talmente inviolabile da esigere che alla persona
sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza
lo domanda. Ciascuno, infatti, è tenuto a seguire la propria coscienza
in ogni circostanza e non può essere costretto ad agire in contrasto con
essa. Proprio per questo, nessuno può essere obbligato ad accettare per
forza una determinata religione, quali che siano le circostanze o le motivazioni" (Insegnamenti
G.P.II, 1998/II, p. 1218).
7. Conclusione
Intervenendo in apertura dei vostri lavori, ho voluto richiamare alcuni spunti
di riflessione e dell’attività della Santa Sede, tratti dagli insegnamenti
dei Pontefici su un tema che conserva grande attualità. Come sacerdote,
e ora come Cardinale Segretario di Stato, vado sempre più convincendomi
che alla base di ogni dialogo tra persone ci devono essere l’ascolto e
la conoscenza reciproca; deve esserci la stima che nasce dal riconoscere la buona
volontà dell’altro e dalla chiarezza e dalla sincerità nel
proporre le proprie posizioni. Il dialogo interreligioso al servizio della pace
esige una "purificazione" della fede che apra il cuore all’amore;
esige, in ultima analisi, una "conversione" costante a Dio. Solo Lui,
infatti, può toccare il cuore dell’uomo e far scoccare la scintilla
di quell’amore che si fa accoglienza e perdono, condizione favorevole per
la difesa e la costruzione della pace.
Possa anche quest’incontro contribuire a una reciproca conoscenza e stima
fra tutti i partecipanti, e serva a far meglio conoscere l’attività della
Santa Sede e lo spirito che la anima. Possa soprattutto aiutarci a diventare
tessitori infaticabili di pace in un mondo dove Dio non sia visto come estraneo,
o peggio nemico della felicità dell’uomo, ma vero amico dell’umanità che
raccoglie sotto la sua protezione. Sotto l’abbraccio paterno di Dio la
famiglia degli uomini non può che crescere più libera, più prospera
e più felice.
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