Il jihad [= guerra santa islamica] trova uno strano avvocato: “La Civiltà Cattolica” .
“Quale lotta al terrorismo? Cinque anni dopo l’11 settembre 2001”.
L’autorevole rivista pubblica un editoriale choc, nel quale il rapporto con l’islam assomiglia molto a una resa.

di Sandro Magister: www.chiesa.espressonline.it

ROMA, 8 novembre 2006 – L’ultimo numero di ottobre della “Civiltà Cattolica” – l’autorevole rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo e l’autorizzazione delle autorità vaticane – apre con un editoriale sull’islam che lascia allibiti.
L’editoriale fornisce una descrizione molto dettagliata e allarmante dell’islam fondamentalista e terrorista, dietro il quale “ci sono grandi e potenti stati islamici” : un islam proiettato alla conquista del mondo e nutrito di violenza “per la causa di Allah”.
Ma lo fa senza un solo cenno di critica a questo nesso tra la violenza e la fede.
E come se questo nesso fosse un dato ineluttabile, contro il quale l’Occidente e la Chiesa poco o niente dovrebbero fare: poco sul terreno pratico – basti vedere la pochezza delle misure antiterroristiche suggerite – e niente su quello teorico.
Soprattutto, è come se Benedetto XVI non avesse neppure pronunciato, il 12 settembre scorso, la sua lezione di Ratisbona.
In essa papa Joseph Ratzinger mirava proprio a liberare la fede – ogni fede – dal legame con la violenza e a unirla invece indissolubilmente alla ragione: ai fini di un dialogo positivo e costruttivo tra il cristianesimo e le altre culture e religioni, islam compreso. L’editoriale della “Civiltà Cattolica” appare invece come un manifesto delle teorie multiculturali: l’islam è fatto così e va accettato per quello che è.
Ma vediamo più in dettaglio che cosa scrive “La Civiltà Cattolica” nel suo editoriale non firmato dal titolo :
“Quale lotta al terrorismo? Cinque anni dopo l’11 settembre 2001”.

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L’editoriale registra che dopo l’11 settembre 2001 “gli atti di terrorismo si sono moltiplicati”.
Questa “recrudescenza” del terrorismo islamista – a giudizio della “Civiltà Cattolica” – è principalmente una “conseguenza” della guerra mossa dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq.
Che la guerra in Iraq fosse considerata sbagliata dalla Santa Sede è risaputo. Ma l’editoriale della “Civiltà Cattolica” arriva a fissare una regola generale. Scrive che ogni guerra a “paesi che ospitano gruppi terroristi, li finanziano e li addestrano” è sempre un “grave errore politico”.
E così spiega il suo assunto:

“Il motivo è semplice: l’invasione militare di un paese islamico, come l’Afghanistan o l’Iraq, è considerata da tutta l’umma islamica come un’offesa grave ad Allah, perché è una negazione dei suoi diritti e un’usurpazione della sua autorità, la quale si esprime nella sharia. "
“Di qui la necessità, per l’islam fondamentalista, della ‘lotta armata’ (al-jihad bi-l-saif) contro coloro che aggrediscono uno stato islamico col pretesto di farne uno stato ‘democratico’: lo stato islamico, secondo l’interpretazione radicale, è per sua natura ‘teocratico’, cioè retto soltanto dal Corano e dalla Sunna, e quindi, secondo gli estremisti, non può essere ‘democratico’ e tanto meno ‘laico’, né può non dichiarare l’islam ‘religione dello stato’.
È detto nella Dichiarazione Islamica universale, approvata nel 1980 dal Consiglio Islamico d’Europa:
‘L’assoggettamento dei popoli musulmani e l’occupazione delle loro terre in alcune parti del mondo è per noi materia di grave preoccupazione. La più penosa di queste è l’usurpazione e l’occupazione della santa città di Gerusalemme (al-Quds). È sacro dovere della umma mobilitare tutte le sue forze e combattere senza sosta per liberare Gerusalemme e tutte le altre terre musulmane. I paesi musulmani considerano l’aggressione contro uno di essi come un’aggressione contro l’intero mondo musulmano’. "
“Si comprende perciò come l’’aggressione’ di due paesi musulmani – Afghanistan e Iraq – abbia mobilitato i movimenti radicali islamici spingendoli a intraprendere ‘la militanza armata per la causa di Allah’ (jihad fi sabil Allah), che gli occidentali ‘crociati’ chiamano ‘terrorismo’, ma che, per i musulmani radicali, è un’azione doverosa di difesa dei diritti di Dio e della ‘Casa dell’islam’ (Dar al-islam). Tale difesa è un ‘dovere’ individuale, di cui ogni musulmano deve farsi carico, fino al sacrificio della vita, quando un paese islamico è aggredito dagli ebrei e dai ‘crociati’; può esigere anche la propria morte, che, subita per la ‘causa di Allah’ e per la difesa dei suoi diritti, è propriamente un ‘martirio’, che apre le porte del paradiso (sure 3, 140 e 191; 9, 111; 61, 12-13).

“Bisogna infine rendersi conto che, per i movimenti radicali islamici, l’Occidente con i suoi stili di vita libertari e edonistici esercita un fortissimo richiamo sulle masse islamiche e, in particolare, sui giovani. Perciò, il loro timore è che l’Occidente contamini l’islam e lo renda ‘miscredente’ e ‘corrotto’. L’Occidente rappresenta per i movimenti islamici radicali un pericolo gravissimo, mortale, per la stessa sopravvivenza dell’islam. Di qui lo sforzo sia per ‘re-islamizzare’ i musulmani emigrati nei paesi occidentali e impedire che essi si integrino nelle società occidentali, assorbendone l’ideologia contraria alla lettera e allo spirito dell’islam, sia per combattere i paesi islamici ‘amici’ degli Stati Uniti e dell’Europa”.

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Più avanti l’editoriale della “Civiltà Cattolica” precisa che l’ideologia sopra descritta “non è di tutti i musulmani e neppure della grande maggioranza di essi”. Ma ne sottolinea comunque la grande influenza:

“Da una parte, dietro le ideologie terroriste, che si ispirano ai Fratelli Musulmani di al-Banna e di al-Qutb, alla Jama’at-i-Islami di Mawdudi e alla Salafiyya, ci sono grandi e potenti stati islamici, che hanno interesse a combattere l’Occidente e, dall’altra, c’è una forte avversione contro l’Occidente.

“Non va dimenticato che, secondo il pensiero dei musulmani, l’Occidente, nei secoli XIX e XX, si è impadronito dei territori musulmani, sfruttandone le ricchezze; soprattutto ha cercato di diffondere tra i popoli islamici la propria religione, le proprie istituzioni politiche e i propri stili di vita a scapito della religione islamica e della sua istituzione politica, il califfato. Ciò ha costituito per i popoli dell’islam una fitna (una tentazione, una prova) per la loro fede, che dev’essere cancellata, secondo i fondamentalisti, con la lotta con tro l’Occidente e con la sua sottomissione all’islam”.


Forti di questa loro ideologia religiosa – nota ancora “La Civiltà cattolica” – le organizzazioni terroristiche islamiche “riescono a reclutare molti giovani di condizione culturalmente e socialmente elevata e di profonda fede religiosa e ad avviarli alla ‘militanza armata per la causa di Dio’ e a farne ‘combattenti per Dio’ (mujahidin) fino al sacrificio della vita”.

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In conclusione, l’editoriale della “Civiltà Cattolica” fissa in cinque punti il “che fare per combattere efficacemente il terrorismo”, una volta esclusa la guerra.

Primo: “intessere [con l’islam] legami di amicizia e di collaborazione per la soluzione dei grandi problemi di oggi e instaurare un dialogo interculturale sereno e leale”.

Secondo: “evitare gesti politici e militari che possano apparire come azioni dirette a combattere, umiliare e irridere i popoli islamici. In particolare, bisogna cercare di trovare una soluzione equa alla questione conflittuale israelo-palestinese, che, secondo il pensiero comune a tutto il mondo islamico, è una grave ferita, perché l’Occidente ha sottratto un territorio islamico, e quindi ‘sacro’ ad Allah e di proprietà islamica ‘per diritto divino’ fino alla fine dei tempi, per darlo agli ebrei. È vero che una parte dell’autorità e del popolo palestinese sono disposti ad accettare l’esistenza dello stato di Israele, ma si può ricordare che lo statuto di Hamas, del 18 agosto 1988, dice all’articolo 15: ‘Quando i nemici usurpano un pezzo di terra islamica, il jihad diventa un obbligo individuale (cioè personale, a cui non è possibile sottrarsi) per ogni musulmano. Di fronte all’usurpazione della Palestina da parte degli ebrei dobbiamo in nalzare la bandiera del jihad’. Questo può esigere non il suicidio – che è proibito dall’islam – ma il ‘martirio’ che, a differenza del suicidio, ritenuto un gesto egoistico, è un gesto altruistico, compiuto per difendere l’onore di Allah e i diritti, conculcati, dell’islam: è un gesto ‘religioso’ che Allah compensa col paradiso”.

Terzo: “abbandonare l’idea d’imporre ai popoli islamici la democrazia, intesa in senso occidentale, perché, in quanto è fondata sul suffragio popolare, come fonte dell’autorità, nega, secondo i fondamentalisti, l’autorità assoluta di Allah sui ‘credenti’ e fa del consenso popolare la forza delle leggi: per l’islam Allah è la fonte delle leggi, che sono leggi divine, rivelate a Maometto e codificate nella sharia. Si può certo auspicare che nei paesi islamici si diffonda il sistema democratico, ma ciò deve avvenire con il consenso e per iniziativa degli stessi popoli islamici, nel rispetto della loro cultura e dei loro valori”.

Quarto: “privilegiare le misure di polizia e soprattutto di intelligence”.

Quinto: privare il terrorismo “dei grandi finanziamenti di cui gode attualmente: finanziamenti che provengono sia da grandi banche islamiche, sia dall’elemosina rituale (zakat) raccolta nelle moschee, sia da alcune compagnie petrolifere, sia da ONG islamiche”.

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Fin qui l’editoriale della “Civiltà Cattolica” su come contrastare l’offensiva islamica.
Se per sconfiggere un nemico occorre innanzi tutto conoscerlo, l’editoriale è perfetto: descrive la logica di violenza presente nell’islam – sia quello terrorista e fondamentalista, sia quello della intera umma – con una precisione scientifica.
Ma descrive così bene tale logica di violenza da darle praticamente ragione su tutto. Fino a sconfessare chi, tra i musulmani, si discosti dalla dottrina ortodossa. I paragrafi su Israele sono esemplari: quei palestinesi che ne accettano l’esistenza sappiano che “il pensiero comune a tutto il mondo islamico” è opposto e che Hamas e i suoi “martiri” lo rappresentano molto più coerentemente; Israele va estirpato da una terra che è “di proprietà islamica ‘per diritto divino’ fino alla fine dei tempi”.

I passaggi sulla democrazia sono anch’essi indicativi. “La Civiltà Cattolica” rifiuta che la si imponga ai popoli islamici, ma “auspica” che essi se la diano di loro iniziativa. In un altro passaggio lo stesso editoriale sostiene però che la democrazia è incompatibile con l’islam. Un precedente editoriale del 2 febbraio 2004 la definiva addirittura “offensiva per la comunità islamica”.

Contraddittorio appare anche l’auspicio di tagliare i finanziamenti alle formazioni terroristiche. Dopo aver argomentato, per pagine e pagine, che il mondo musulmano è un tutto inviolabile e non va toccato, non si capisce come nelle ultime righe “La Civiltà Cattolica” proponga di intervenire con la forza nelle moschee e nelle associazioni caritative della mezzaluna, da cui proverrebbero i finanziamenti.

Ma la contraddizione più lampante è nel primo dei cinque punti finali: là dove “La Civiltà Cattolica” invoca “un dialogo interculturale sereno e leale” con l’islam.
Se un esempio di dialogo è dato da questo editoriale, in realtà esso ne è la negazione.
In nove pagine non una sola riga, non una sola parola sottopongono a critica “secondo ragione” l’impressionante plesso tra fede e violenza descritto come presente nell’islam d’oggi.
A Ratisbona Benedetto XVI questo ha fatto, con raro coraggio.
“La Civiltà Cattolica” – che per statuto dovrebbe riflettere il pensiero del papa e farne l’apologia – non l’ha nemmeno citato.
Né poteva farlo, in un editoriale che nel mondo islamico può esser letto solo come un atto di resa.