"La famosa
tesi di Samuel Huntington secondo la quale alla guerra fredda sarebbe
seguito uno scontro di civiltà ha più credibilità oggi
di quanta ne avesse nel 1993, quando fu avanzata per la prima volta".
da . www.chiesa.espressonline.it
Roger Scruton, filosofo e saggista
inglese, già professore al Birkbeck College di Londra e alla
Boston University è autore di "The West and
the Rest". La versione italiana, "L’Occidente e gli
altri", è apparsa nella collana di geopolitica dell’Alta
Scuola di Economia e di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica
diretta da Vittorio E. Parsi, che è anche editorialista del
quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire",
ed esperto di fiducia del cardinale Camillo Ruini.
Già le primissime righe del libro vanno contro i canoni del
politicamente corretto:
"La famosa tesi di Samuel Huntington secondo la quale alla guerra
fredda sarebbe seguito uno scontro di civiltà ha più credibilità oggi
di quanta ne avesse nel 1993, quando fu avanzata per la prima volta".
Ma molto più ricco di sorprese è il seguito. Se la libertà di
cui si fa vanto la civiltà occidentale comprende anche il rifiuto
di sé – e Scruton riserva a questa pervasiva cultura del
rifiuto uno dei suoi capitoli più fiammeggianti – allora "si
tratta di una civiltà volta alla sua stessa distruzione".
Viceversa l’islam si definisce non in termini di libertà ma
di sottomissione: e anche questa sottomissione è autodistruttiva. È prigioniera
di un testo sacro, il Corano, che finché continua a esser letto
al di fuori del tempo e della storia fa di ogni musulmano uno sradicato.
Nella prefazione all’edizione italiana del volume, Khaled Fouad
Allam – acuto intellettuale della diaspora musulmana, algerino
con cittadinanza in Italia – convalida in pieno questa condizione
di smarrimento di sé, dell’islam nella modernità.
E non è tutto. A giudizio di Scruton, ciò che rende
ancora più esplosivo lo scontro tra le due civiltà è l’avanzata
della globalizzazione. Essa diffonde nelle nazioni musulmane immagini,
prodotti e figure delle democrazie occidentali secolarizzate, sia in
quanto hanno di attrattivo e vincente, per ricchezza e potere tecnologico,
sia in quanto hanno di vacillante e morente, sul terreno della cultura
e dell’identità collettiva. E così, scrive Scruton:
"lo spettacolo della libertà e della ricchezza occidentali,
che si accompagna al declino dell’Occidente e allo sgretolarsi
delle sue fedi, provoca necessariamente, in chi invidia il primo e
disprezza i secondi, un cocente desiderio di punire".
...
Altri passaggi folgoranti del libro sono quelli che criticano la tendenza
a dar vita a legislazioni transanazionali, a corti penali internazionali,
alla stessa Unione Europea come superstato, in realtà nuova "mano
invisibile dell’imperialismo" ed "espressione politica
della cultura del rifiuto". A giudizio di Scruton solo la giurisdizione
territoriale e le fedeltà nazionali possono fondare una cittadinanza
condivisa e ospitale, anche per il musulmano. In Occidente sono gli
Stati Uniti a tener ferma questa consapevolezza:
"Il trionfo dell’America è stato di persuadere
ondate di immigrati a rinunziare a tutti i legami conflittuali e a
identificarsi con quel paese, quella terra, quel grande esperimento
di insediamento, e a partecipare alla sua difesa comune".
Il cristianesimo è indicato da Scruton come elemento essenziale
di questa cittadinanza capace di dare identità all’Occidente
e di accomunare l’Occidente e gli altri, pur nella diversità delle
fedi. Esso "dice al cristiano di guardare l’altro non come
una minaccia ma come un invito all’accoglienza".
Ma, allo stesso tempo, il cristianesimo impone di difendere chi è aggredito.
Perché la predicazione di Gesù è predicazione
di pace, non però pacifista:
"L’idea di perdono, simboleggiata dalla Croce, distingue
l’eredità cristiana da quella musulmana. Una lettura corretta
del messaggio cristiano fa del perdono dei nemici un elemento centrale
della dottrina. Cristo ci ordina persino, quando siamo aggrediti, di
porgere l’altra guancia. Ma […] egli ci pone di fronte
un ideale personale, non un progetto politico. Se sono aggredito e
porgo l’altra guancia, allora incarno la virtù cristiana
della mansuetudine. Ma se mi è stato dato in custodia un bambino
che viene aggredito, e porgo l’altra guancia del bambino, divengo
complice della violenza. Questo è il modo in cui un cristiano
dovrebbe comprendere il diritto alla difesa, ed è come esso è inteso
dalle teorie medievali della guerra giusta. Il diritto alla difesa
nasce dalle obbligazioni nei confronti degli altri. Sei obbligato a
proteggere coloro il cui destino è sotto la tua custodia. Un
leader politico che porge non la sua guancia ma la nostra, si rende
partecipe della successiva aggressione. Perseguendo l’aggressore,
anche in maniera violenta, il politico serve la causa della pace e
anche quella del perdono, del quale la giustizia è lo strumento".
La città perduta. Da Le Corbusier alle
Twin Towers
di Roger Scruton
Il lettore del Corano è colpito dal radicale cambiamento di
tono delle rivelazioni dopo che il Profeta e i suoi seguaci furono
costretti all’esilio a Medina. [...] Essi erano al-muhajirun,
coloro che emigrano e vivono in hijrah, in esilio, e l’esperienza
dell’esilio è invocata ripetutamente nella rinascita islamica
dei nostri tempi: ad esempio dal gruppo britannico legato ad al-Qaeda
e chiamato, appunto, al-Muhajirun. Il tono delle sure di Medina si
accompagna a un’intensa nostalgia, e non deve sorprendere che
l’idea del pellegrinaggio verso una lontana dimora fosse così radicata
nella mente di Maometto, fino a diventare uno dei cinque pilastri che
costituiscono i doveri principali del musulmano. [...]
Questo aspetto contribuisce a spiegare come la visione coranica della
società sia del tutto aliena da qualunque idea di giurisdizione
territoriale o di fedeltà nazionale. Secondo l’impostazione
del Corano il luogo in cui siamo non è il luogo a cui apparteniamo,
dal momento che il luogo a cui apparteniamo è nelle mani sbagliate:
[...] Questo tipo di approccio favorisce una nozione di diritto inteso
come rapporto tra ciascun uomo e Dio, senza alcun riferimento particolare
al territorio, alla sovranità o all’obbedienza terrena.
[...] I luoghi sacri sono altrove, sono luoghi compresi nell’ordine
divino delle cose. [...] Ciò riveste un grande significato nell’attuale
conflitto su Gerusalemme, che per il musulmano simboleggia un luogo
a parte, proprio come lo è La Mecca, che a malapena appartiene
alla geografia del mondo attuale ma esiste nella regione numinosa degli
imperativi divini. Da cui il nome arabo di Gerusalemme: al-Quds ovvero
la Santa. [...]
Ne consegue che lo stile di vita sotto l’egida della shari’a è essenzialmente
di stampo domestico, senza alcun carattere pubblico o cerimoniale,
eccezion fatta per quanto riguarda la pratica del culto da parte della
comunità. La moschea e la sua scuola, la madrasa, unitamente
al suq o bazar, sono gli unici spazi autenticamente pubblici nelle
tradizionali città musulmane. La strada non è altro
che un sentiero tracciato in mezzo ad abitazioni private, che la costeggiano
e la attraversano in un insieme disordinato di cortili interni. La
città musulmana è una creazione della shari’a:
un alveare di spazi privati costruito cella su cella. Al di sopra dei
suoi tetti i minareti guardano a Dio come mani protese, risuonando
della voce del muezzin che chiama il fedele alla preghiera.
Questa tipologia riveste un’enorme importanza nella psicologia
e nella vita politica del mondo islamico. La città musulmana è,
in maniera chiarissima, una città per musulmani, un luogo di
raccolta in cui gli individui e le loro famiglie vivono fianco a fianco
obbedendo a Dio, e dove chi non è musulmano è semplicemente
tollerato. La moschea rappresenta il legame con Dio, e i credenti affermano
che nessun edificio debba elevarsi al di sopra dei minareti, ovvero
cancellare la loro supremazia nel cielo. La vera città è una
folla di persone sotto la protezione di Dio, e anche il più bello
dei palazzi è una semplice abitazione privata, regolata dai
riti famigliari e santificata dalla preghiera.
L’immagine di questo tipo di città ci è familiare
grazie a "Le Mille e una Notte" e alle incisioni e ai disegni
dei viaggiatori del XIX secolo. [...] Molti musulmani portano questa
immagine nel cuore, e di fronte alla città occidentale, con
i suoi spazi aperti e i suoi edifici pubblici, le sue larghe strade,
i suoi interni visibili, i suoi grattacieli che sovrastano i pochi
edifici religiosi, i suoi grandi palazzi in vetro e leghe metalliche,
sono portati a provare stupore e rabbia nei confronti dell’arroganza
che sfida Dio e che ha completamente cancellato una vita di pietà religiosa
e di preghiera. Non ha un semplice valore aneddotico il fatto che quando
Mohammed Atta lasciò il natio Egitto alla volta di Amburgo per
continuare i suoi studi in architettura, non fu per studiare le costruzioni
moderniste che deturpano le città tedesche, ma per scrivere
una tesi sul restauro dell’antica città di Aleppo. [...]
Quando lanciò l’attacco contro il World Trade Center,
Atta combatteva contro un simbolo di paganesimo economico, estetico
e spirituale.
* * *
Potrebbe apparire stravagante porre tanta attenzione al ruolo dell’architettura
nell’attuale conflitto. Ma dovremmo [...] meditare su cosa è accaduto
al volto del Medio Oriente all’impatto con le regole architettoniche
occidentali, che hanno un significato simbolico almeno pari a quello
della moda e dei costumi. In Occidente, il modernismo architettonico
fu introdotto con le fanfare della propaganda globalista dalla Bauhaus
e da Le Corbusier, che interpretarono il nuovo stile architettonico
sia come simbolo sia come strumento di una rottura radicale con il
passato. Tale architettura fu concepita nello spirito del distacco
dal luogo, dalla storia e dalla propria dimora. Fu lo "stile internazionale",
un gesto contro lo stato-nazione e la patria, un tentativo di ricreare
la superficie della terra come un singolo habitat uniforme dal quale
le differenze e i confini sarebbero finalmente scomparsi.
In Occidente, dove le procedure democratiche e le norme legali danno
potere al cittadino, l’impatto del modernismo internazionale è stato
in parte controllato e limitato. Sebbene il danno sia stato di ingenti
proporzioni, molte città mantengono le proprie caratteristiche
locali, e i villaggi resistono a questa ondata. La grande eccezione è la
Germania, che si è legata al modernismo in architettura come
a un simbolo e strumento del proprio autodisconoscimento culturale.
[...] Ma altrove in Europa – particolarmente in Italia, Francia
e Spagna – si è contrastato lo stile internazionale, le
chiese dominano l’orizzonte e le strade sono ancora fiancheggiate
da facciate a misura d’uomo. Uno sforzo consapevole è stato
fatto per mantenere il carattere sia delle città sia delle regioni,
nella consapevolezza che esse definiscono un’esperienza di patria,
e che la patria è ciò verso cui la fedeltà del
cittadino è in debito. [...]
In Medio Oriente, invece, laddove la terra è distribuita dai
governi e i piani regolatori sono inesistenti o ignorati, il panorama
e la veduta delle città sono stati deturpati fino a diventare
irriconoscibili. È stato Le Corbusier a indicare la strada.
Non essendo riuscito a convincere le autorità francesi ad adottare
il suo piano di demolire la parte di Parigi a nord della Senna e sostituirla
con torri di vetro in stile militare, egli lavorò con i successivi
governi francesi, incluso quello di Vichy, al fine di realizzare il
suo prepotente progetto di radere al suolo l’antica città di
Algeri, capitale dell’Algeria che all’epoca era una colonia
francese. Riuscì nel suo intento, e dopo la guerra i bulldozer
si fecero avanti con risultati catastrofici. Grazie agli ingenti profitti
che produsse l’impatto modernista in campo edilizio, Le Corbusier
divenne un eroe dell’establishment architettonico, e il suo disastroso
piano per questa città, un tempo meravigliosa, è attualmente
descritto e illustrato in tutti i manuali di architettura in uso in
Occidente. Le Corbusier mostrò all’intelligentsia europea
come le popolazioni inferiori del Nord Africa dovessero essere trattate;
tale, certamente, era la percezione che ne aveva Mohammed Atta.
Da Le Corbusier in poi, l’assalto della speculazione edilizia
ha completamente trasformato l’aspetto e il ritmo quotidiano
delle città del Medio Oriente. Qualunque speranza possa esservi
stata che quella gente avrebbe infine ridefinito la propria comunità in
termini di territorio, piuttosto che di fede, è stata cancellata
dall’impatto della tecnologia occidentale, che sembra non credere
né all’una né all’altra. E se desideriamo
comprendere appieno il risentimento dei palestinesi nei confronti delle
colonie israeliane nei Territori, non dovremmo trascurare il danno
visivo che queste colonie hanno causato, introducendo stili e materiali
modernisti, reticoli di strade e un onnipresente inquinamento luminoso
in un paesaggio che aveva mantenuto il suo aspetto biblico per secoli,
con notti luccicanti di stelle su villaggi in pietra e città storiche
come Jenin.
Come mostrano gli esempi di Osama Bin Laden, di
al-Qaeda e dei terroristi dell’11 settembre, l’islamismo non è un urlo di
angoscia dei miserabili della terra. È un’implacabile
proclamazione di guerra lanciata da musulmani della classe media erranti
per il mondo, molti dei quali estremamente ricchi e per la maggior
parte buoni conoscitori della civiltà occidentale e dei suoi
vantaggi. [...] Con al-Qaeda ci troviamo di fronte al vero impatto
della globalizzazione sul risveglio islamico. Appartenere a questa "base" significa
accettare di non avere alcun territorio come dimora e alcuna legge
umana dotata di autorità. Significa votarsi a uno stato di esilio
permanente, decidendo allo stesso tempo di mettere in atto l’azione
punitiva di Dio [...] contro i suoi nemici, ovunque essi si trovino.
__________
Il libro:
Roger Scruton, "L’Occidente e gli altri. La globalizzazione
e la minaccia terroristica", prefazione di Khaled Fouad Allam,
Vita & Pensiero, Milano, 2004, pp. 128, euro 15,00.
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