"Religione civile": impossibile senza fede -La risposta di Ratzinger all'ipotesi di un "cristianesimo non confessionale" avanzata da Pera

Vittorio Messori
Corriere della sera 14 dicembre 2004

Aperto, comprensivo, amichevole: ma, al contempo, non dimentico di essere il prefetto di quello che si chiamò per secoli Sant'Uffizio. Dunque, sempre consapevole di essere chiamato a vegliare sull'ortodossia della dottrina cattolica: e senza sconti, pur nello stile dell'incontro più cordiale. Così, il cardinal Joseph Ratzinger dialoga volentieri con il presidente del Senato, Marcello Pera, pronto a lodarlo per il suo laico elogio del cristianesimo e disposto ad apprezzare le sue lucide analisi. Il porporato ascolta, ma, poi, fissa sorridendo i paletti e chiarisce se e in che modo la Chiesa possa accettare il consiglio e l'aiuto di chi rispetta la fede, ma dichiara di non condividerla, almeno nel suo aspetto sacramentale e misterico. Questa compitissima, ma decisiva, schermaglia, nel dialogo tra il teologo bavarese e il filosofo toscano, sembra essere stata poco colta da molti che, nei media, hanno commentato Senza Radici (Mondadori, pp. 134, 7,70). Il volumetto è l'assemblaggio editoriale di due discorsi romani degli autori, seguiti da una lettera di Pera a Ratzinger e viceversa. Le "radici" cui il titolo allude sono, ovviamente, quelle cristiane, che la nomenklatura dell'Unione Europea non ha voluto riconoscere nel preambolo del suo testo costituzionale. Il laico Pera non solo se ne rammarica, ma sembra considerare quasi suicida, o almeno gravemente masochistico, un simile rifiuto. In effetti, l'Europa, l'intero Occidente sono sotto l'attacco di un fanatismo islamico che esigerebbe da noi non l'abbandono ma, al contrario, un rafforzamento della nostra identità. Un "riarmo morale" che non significa né esclusione né scontro, bensì chiarezza di posizioni, premessa per un dialogo autentico e anche, se necessario, per una legittima difesa. Tutto il pensiero del presidente del Senato è dominato, in queste pagine, da una denuncia esplicita di quel verminaio di ipocrisie, di eufemismi, di autocensure, di irrealismi, di buonismi pelosi che è l'ideologia, ormai vincente in Occidente, del "politicamente corretto". Per chi non rispetta questo nuovo dogmatismo "scattano", dice Pera, "le manette linguistiche" e poi l'espulsione dal consorzio civile e la condanna all'esilio culturale. La melensa dottrina della political correctness è responsabile del relativismo che ispira la vulgata egemone in Europa e per la quale è vietato dire (tra l'altro) che, rispetto all'Islam, la cultura creata dall'Occidente cristiano non è solo "diversa": è "migliore" ed è auspicabile che si estenda sempre più. Per recuperare la nostra identità, per attrezzarci alla sfida epocale ritrovando il nostro sistema di valori, il laico Pera propone una "religione civile", auspica una "religione cristiana non confessionale", in cui possano riconoscersi anche quei non credenti, quei non praticanti che non accettano la resa all'aggressione islamica.

Sono proposte che fanno drizzare le orecchie, malgrado il fair play cordialissimo, al cardinal Ratzinger, cui cose del genere ricordano subito il protestantesimo liberal, padre e figlio dell'Illuminismo razionalista. Si è dunque prossimi alla ideologia della massoneria (anche se il nome non viene fatto), che la Chiesa ha combattuto proprio perché pretende di essere "un cristianesimo senza Cristo", una religione non solo senza dogmi, ma anche senza fede, almeno in quella pienezza che il cattolicesimo intende. Ecco, dunque, il prefetto dell'ex Sant'Uffizio mettere in guardia, pur con il massimo di comprensione e di apertura. Un rinnovato "ethos mondiale", constata, non può nascere a tavolino, stabilito da commissioni, da convegni, da pur nobili auspici di intellettuali. Può sorgere soltanto da "minoranze creative": cristiani convinti, cioè, uomini che abbiano fatto l'incontro decisivo con Gesù come Salvatore, che si nutrano dei sacramenti amministrati da una Chiesa nella quale riconoscano "la forza da cui sgorga la vita spirituale". Credenti espliciti, dunque, che si riconoscano nell'ortodossia cattolica, che siano in grado di convincere con l'esempio della gioia di chi ha scoperto nel Cristo l'evangelica "perla preziosa".

"Simili minoranze cristiane - dice Ratzinger - non hanno nulla di settario": anzi, possono creare luoghi di incontro, di ricerca comune, di solidarietà, aprendosi fraternamente a chi non riesca a comprendere che la prospettiva di fede non è una zavorra, ma un paio di ali, che i dogmi non sono sbarre ma finestre verso l'Infinito. In questo senso, andrebbe superata l'antinomia tra credenti e laici: precisando, però, che nucleo generatore e centrale della civil religion proposta da Pera debbono essere gruppi di cristiani ferventi, anzi di cattolici fedeli. Questa dunque la ricetta cardinalizia per ritrovare (a beneficio di tutti) le radici cristiane, per contrastare quella che chiama "la patologia dell'odio di sé che ha infettato tanta intellighenzia europea" e che si manifesta in un relativismo che porta alla rovina, perché pecca della colpa che il Cristo più duramente ha condannato. L'ipocrisia farisaica, cioè, ispiratrice di quei "politicamente corretti" che definiscono integralista, fanatico, imperialista, chiunque non pratichi la diffamazione della storia e dei valori di un'Europa che - lo riconosca o no - venti secoli di Vangelo hanno forgiato.