Una classe per soli islamici

Un liceo di Milano, l’istituto superiore Gaetana Agnesi, ha stabilito di creare, a partire da settembre, una classe per soli studenti islamici, così come richiesto dai genitori di questi alunni per «motivi religiosi». Gli studenti, 17 ragazze e 3 ragazzi, seguiranno i programmi stabiliti per tutti. Ma le femmine porteranno il velo e non faranno ginnastica con gli altri studenti. E il crocifisso sarà tolto dall'aula. «Questo è il primo passo verso l’integrazione», sostiene il preside Giovanni Gaglio. Che cosa ne pensate? E' davvero una decisione utile all'integrazione di questi ragazzi, che altrimenti non sarebbero potuti andare a scuola, oppure è il primo passo verso una separazione «garantita per legge» che porterà frutti non postivi per la nostra società?

Il preside: «Ragazze con il velo, toglieremo il crocifisso» «Appartengon a famiglie radicali. Qui comincia l'integrazione»

Una classe per soli ragazzi islamici. In un liceo milanese. Pubblico, laico, con insegnanti italiani. Niente Corano né Vangelo, ma programmi ministeriali come quelli degli altri studenti. «Al limite toglieremo il crocifisso dall’aula e permetteremo alle ragazze di fare ginnastica di pomeriggio, come chiedono i genitori». Pochi giorni dopo la decisione della Regione Campania di concedere alle scuole la possibilità di festeggiare anche le ricorrenze religiose non cristiane, l’istituto superiore Gaetana Agnesi di Milano, vicino all’università Bocconi, concede a venti ragazzi islamici (17 femmine, 3 maschi) di frequentare la prima classe del liceo di scienze sociali. «Con il velo, certo, e tutti in un’unica sezione - conferma il preside, Giovanni Gaglio - ma questo è il primo passo verso l’integrazione».

LA RICHIESTA - Una piccola rivoluzione, visto che per la prima volta sono stati i genitori a chiedere alle istituzioni di far continuare gli studi ai figli. Passaggio scontato per i ragazzini italiani, negato ai coetanei egiziani che fino alla terza media hanno frequentato la scuola islamica di via Quaranta. Perché per gli studenti del «Fagr Al Islam» - soprattutto per le ragazze - dopo gli esami di idoneità era previsto o il rientro in patria, o la fine degli studi, o un’istruzione da privatisti. Nessuna commistione con gli altri ragazzi. Fino a quando, qualche mese fa, alcuni genitori egiziani si sono rivolti al Cisem, il «Centro innovazione sperimentazione educativa» della Provincia di Milano che organizza corsi di recupero per gli allievi della scuola islamica. Una richiesta di aiuto per far continuare ai figli gli studi. A una condizione: che i ragazzi fossero riuniti in un’unica sezione. Da qui i contatti con l’istituto Agnesi, con la direzione scolastica regionale e il provveditorato. Un infuocato collegio docenti che in cinque ore ha approvato la proposta ed ecco nascere in via sperimentale la prima classe «tutta islamica» in un liceo di scienze sociali.

IL PROGETTO - «Si tratta - spiega il preside Gaglio - di un progetto molto delicato che riguarda minori che appartengono a famiglie integraliste. I responsabili della comunità islamica di via Quaranta si sono detti molto favorevoli al progetto». Nessun venerdì libero e nessuna festa religiosa prevista. «Se ci chiederanno di organizzare lezioni in arabo - precisa il preside - vedremo di assecondare le richieste. Ma solo al pomeriggio, e nell’ambito dell’autonomia scolastica. Si tratta di un dovere di solidarietà previsto dalla carta dei diritti dei fanciulli. È fondamentale superare i pregiudizi, abbattere muri e gettare ponti. Sappiamo che la cosa susciterà qualche polemica, ma ci sembrava doveroso accogliere questi ragazzi».

LE REAZIONI - E le polemiche sono arrivate. Non solo a proposito della classe islamica all’Agnesi. Nel mirino c’è anche la scuola di via Quaranta, che conta 400 allievi e che non è riconosciuta dallo Stato, e il progetto del Provveditorato milanese di creare 4 classi di soli bambini islamici in alcune elementari e medie della città (con programma italiano e senza l’insegnamento del Corano).
Il no alle aule per soli islamici è arrivato secco dai rappresentanti di An e della Lega in Regione Lombardia. Ma il direttore scolastico regionale, Mario Dutto, replica: «Per noi ogni minorenne deve frequentare una scuola riconosciuta dal sistema italiano. Per una corretta integrazione etnica, dobbiamo spingere i genitori di ragazzi musulmani a iscrivere i figli a scuole italiane».

FESTIVITA’ RELIGIOSE - Anche sulle festività religiose i toni si fanno accesi: dopo la delibera della giunta regionale campana che permette di celebrare nelle scuole il Ramadan, la Pasqua ebraica, il Capodanno cinese e le altre feste delle comunità straniere, il dibattito è arrivato in Regione Lombardia. Il presidente lombardo Roberto Formigoni definisce «eccessivo e rigido» il provvedimento della Campania. «In Lombardia - spiega - abbiamo deciso di dare valore all’autonomia delle scuole. Le nostre feste sono quelle della nostra tradizione e fede religiosa cui nessuno di noi intende rinunciare. D’altra parte ci sono nelle nostre scuole bambini portatori di altre tradizioni che vanno rispettate ed è giusto riconoscere il loro diritto a esprimere la propria appartenenza religiosa, ma le modalità è bene che siano decise dalle singole scuole».

Annachiara Sacchi -10 luglio 2004 - Corriere.it

LA RESPONSABILE DEL PROGRAMMA:«Era l'unico modo per tenerli a scuola»
Un percorso lungo, conquistando poco a poco la fiducia della comunità islamica di via Quaranta. Così Lidia Acerboni, consulente del Cisem e responsabile del progetto della classe islamica all’Agnesi, racconta «la storia di una sfida vinta».

Com’è nata l’idea di una classe di soli islamici all’Agnesi?
«L’intenzione è stata espressa dalle famiglie che ci hanno chiesto di trovare un modo per far proseguire gli studi ai figli».

Quali genitori si sono rivolti a voi?
«Quelli che già ci conoscevano: l’anno scorso abbiamo organizzato un "Larsa", un laboratorio di recupero e sviluppo per i ragazzi islamici che non vanno a scuola e per quelli che dovevano affrontare l’esame di terza media».

Ma non potevano seguire un iter tradizionale, iscrivendoli in uno dei tanti istituti superiori milanesi?
«I genitori della comunità di via Quaranta, soprattutto quelli che hanno figlie femmine, non vogliono che i loro ragazzi entrino in contatto con quelli di altre comunità. Per queste minorenni l’alternativa era tornare in Egitto, o smettere di studiare. A quel punto ci siamo detti: questi ragazzi hanno il diritto di continuare gli studi».

Perché proprio l’Agnesi?
«Perché un liceo delle scienze sociali ha nelle sue corde l’idea di integrazione: è nato per capire le diversità e trasformarle in risorse. E sapevamo di poter contare sulla disponibilità del preside».

Vi occupate solo di egiziani?
«Gli egiziani costituiscono la maggior parte degli studenti con cui lavoriamo, ma ci sono anche pakistani e magrebini».

È difficile organizzare corsi per questi ragazzi?
«All’inizio le barriere linguistiche costituiscono un problema, ma solitamente otteniamo buoni risultati».

Come sono sui banchi gli studenti islamici?
«Motivati e attenti».

L’obiezione di molti è che questa non sia vera integrazione, ma che i genitori di questi ragazzi non facciano niente per inserirli davvero nelle nostre scuole.
«Lo capisco. Ma si tratta solo di un primo passo. Se non avessimo accettato le richieste delle famiglie per questi ragazzi non ci sarebbe stato futuro scolastico. L’importante è che vadano a scuola. Diamo tempo al tempo».

E i rappresentanti della comunità islamica come la pensano?
«La comunità di via Quaranta partecipa a pieno titolo al progetto. Compreso il suo responsabile, Alì Sharif».

A. Sac. -10 luglio 2004 - Corriere.it