Un’analisi sociologica di Introvigne,
direttore del Cesnur
di Filippo Salatino ("Il Quotidiano di Calabria e Basilicata",
15 ottobre 2003)
Massimo Introvigne, direttore del Cesnur,
il Centro Studi sulle Nuove Religioni , è fra i più
attenti studiosi dei mutamenti e della rilevanza sociale dei fenomeni
religiosi. Le verifiche “sul campo” in tutto il mondo
degli specialisti del Cesnur, confermano il grande impatto dell’azione
di Karol Wojtyla per la vitalità del Cristianesimo.
Quale ritiene sia l’aspetto più
peculiare di questo pontificato?
“L’aspetto missionario. Lo scenario è cambiato
rispetto ai pontificati di Giovanni XXIII o di Paolo VI. Allora
si pensava che il treno dell’interesse per la religione e
per il sacro fosse fermo, che si fosse fermato per avere trovato
fra le sue ruote l’ateismo, di cui si temeva una grande espansione.
Invece le ideologie sono entrate in crisi, al moderno ha fatto seguito
il post-moderno, la fiducia nella scienza è stata sostituita
dal reincanto del mondo. Il numero di atei e di agnostici è
diminuito drasticamente e quasi ovunque. L’impero social-comunista
è crollato (con una piccola spinta da parte del Papa). La
Santa Sede ha chiuso il Pontificio Consiglio per il Dialogo con
i Non Credenti – per mancanza di non credenti – incorporandolo
nel Pontificio Consiglio per la Cultura. Ma forse dovrebbe aprire
il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Troppo Credenti, o
con i creduloni. Infatti non c’è nulla di trionfalistico
nella fine della modernità. Il treno è ripartito,
ma non si sa dove vada: gira in tondo, o peggio sembra talora avviato
verso destinazioni sinistre, con scenari che ricordano il film “Cassandra
Crossing”: un treno senza guidatore in viaggio verso l’ignoto.
In ogni caso, non si tratta più di sforzarsi di fare ripartire
il treno ma di montarci a bordo avviandosi cautamente verso la vettura
del macchinista vuota cercando di prendere la guida. Fuor di metafora,
è questa la nuova evangelizzazione”
Quali cambiamenti hanno rilevato le analisi
sociologiche nel Cattolicesimo in seguito all’operato del
Papa?
“In verità la nuova Evangelizzazione, anzitutto, è
la risposta della Chiesa a un mondo profondamente cambiato, dove
i “segni dei tempi” non sono più quelli della
stagione di Papa Giovanni e del Concilio. Certamente quando parlava
dei “segni dei tempi” Papa Giovanni non intendeva dire
che tutte le future generazioni avrebbero dovuto continuare a guardare
i segni dei “suoi” tempi, anche quando questi fossero
completamente cambiati. Eppure è proprio così che
li intende un certo progressismo, che nel frattempo è diventato
profondamente reazionario e si arrabbia perché il mondo postmoderno
di Giovanni Paolo II non è più quello moderno di Paolo
VI o Giovanni XXIII. Qualche volta questi sedicenti progressisti
se la prendono con i sociologi quando questi ricordano loro che
il numero degli atei e degli agnostici diminuisce e quello delle
persone che si dicono religiose sale. Gramsci, che dovrebbero conoscere,
ricordava che prendendosela con il barometro non si cura il cattivo
tempo. Io credo che questa resistenza di buona parte di una generazione
di reduci dal progressismo abbia ostacolato la nuova evangelizzazione,
cioè – ancora – il tentativo di trasformare l’innegabile
e maggioritaria domanda di religione in domanda di cristianesimo
e di cattolicesimo. Tuttavia ci sono stati risultati interessanti
in paesi come l’Italia (non a caso il luogo dove il Pontefice
si è per ovvie ragioni più direttamente speso), dove
il numero di cattolici praticanti (almeno una volta al mese) è
lentamente risalito ed è comunque almeno 5 volte superiore
a quello di un paese vicino come la Francia”
Lei ha focalizzato l’attenzione sulla
crescente importanza – anche sociale e culturale ed in prospettiva
forse “politica”– delle “nuove” comunità
cattoliche, numericamente significative, in Africa ma non solo,
è un altro effetto dell’azione dinamica del Papa?
“Per la verità io mi sono limitato a fare conoscere
in Italia analisi date per scontato in altre paesi, per esempio
quelle di Philip Jenkins. Oltre all’Italia i maggiori successi
della nuova evangelizzazione si sono avuti in paesi in via di rapida
modernizzazione (e non ancora post-modernizzazione) come la Corea,
le Filippine, alcuni paesi africani e latino-americani dove –
passata la sbornia della “teologia della liberazione”
– nuovi movimenti cattolici hanno raccolto la sfida di un
protestantesimo dinamico e attivo e stanno cominciando a riguadagnare
terreno. Questo dimostra, ancora una volta, che la domanda religiosa
non viene meno con i processi di modernizzazione e che dove la Chiesa
perde terreno questo si deve non a una sparizione della domanda
ma a una cattiva qualità dell’offerta. Questa cattiva
qualità c’è stata e c’è, ma non
è obbligatoria. Il Papa ci ha mostrato che un’offerta
di tutt’altra qualità è possibile e fruttuosa.
Ma la nuova evangelizzazione, come la prima, è un processo
da misurare sull’arco di decenni se non di secoli. Ultimamente
un solo pontificato non basta e si tratterà di vedere se
la Chiesa, dopo Giovanni Paolo II, saprà consolidarne e istituzionalizzarne
l’eredità in uno sforzo missionario sapiente e organizzato,
o se prevarranno i teorici suicidi di quel “cattolicesimo
fragile”, versione cattolica del “pensiero debole”,
che hanno condotto il cattolicesimo sull’orlo della sparizione
in Francia e in altri paesi”