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Bendetto 16° : come i cattolici dialogano con le altre religioni

Chiesa di Santa Giustina Martire, Auronzo di Cadore
Martedì, 24 luglio 2007

D. – Mi chiamo don Daniele. Santità, il Veneto è terra di forte immigrazione, con la presenza consistente di persone non cristiane. Tale situazione pone le nostre diocesi di fronte ad un nuovo compito di evangelizzazione al loro interno. Permane, però, una certa fatica, perché dobbiamo conciliare le esigenze dell’annuncio del Vangelo, con quelle di un dialogo rispettoso delle altre religioni. Quali indicazioni pastorali potrebbe offrire? Grazie.

R. – Naturalmente voi siete più vicini a questa situazione. E in questo senso forse non posso dare molti consigli pratici, ma posso dire che in tutte le visite ad Limina, sia dei vescovi asiatici, africani, latino-americani, sia da tutta l’Italia, sono sempre a confronto con queste situazioni. Non esiste più un mondo uniforme. Soprattutto nel nostro Occidente sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni, gli altri modi di vivere la vita umana. Viviamo un incontro permanente, che forse ci assomiglia alla Chiesa antica, dove si viveva la stessa situazione. I cristiani erano una piccolissima minoranza, un grano di senape che cominciava a crescere, circondato da diversissime religioni e condizioni di vita. Quindi, dobbiamo reimparare quanto hanno vissuto i cristiani delle prime generazioni. San Pietro nella sua prima Lettera, al terzo capitolo, ha detto: “Dovete essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi”. Così lui ha formulato per l’uomo normale di quel tempo, per il cristiano normale, la necessità di combinare annuncio e dialogo. Non ha detto formalmente: “Annunciate ad ognuno il Vangelo”. Ha detto: “Dovete essere capaci, pronti a dare ragione della speranza che è in voi”. Mi sembra che questa sia la sintesi necessaria tra dialogo e annuncio. Il primo punto è che in noi stessi debba essere sempre presente la ragione della nostra speranza. Dobbiamo essere persone che vivono la fede e che pensano la fede, la conoscono interiormente. Così in noi stessi la fede diventa ragione, diventa ragionevole. La meditazione del Vangelo e qui l’annuncio, l’omelia, la catechesi, per rendere capaci le persone di pensare la fede, sono già elementi fondamentali in questo intreccio tra dialogo e annuncio. Noi stessi dobbiamo pensare la fede, vivere la fede e come sacerdoti trovare modi diversi per renderla presente, così che i nostri cattolici cristiani possano trovare la convinzione, la prontezza e la capacità di dare ragione della loro fede. Questo annuncio che trasmette la fede nella coscienza di oggi deve avere molteplici forme. Senza dubbio, omelia e catechesi sono due forme principali, ma poi ci sono tanti modi per incontrarsi - seminari della fede, movimenti laicali, ecc. - dove si parla della fede e si impara la fede. Tutto questo ci rende capaci, innanzitutto, di vivere realmente da prossimi dei non cristiani - in prevalenza qui sono cristiani ortodossi, protestanti e poi anche esponenti di altre religioni, i musulmani ed altri. Il primo aspetto è vivere con loro, riconoscendo con loro il prossimo, il nostro prossimo. Vivere, quindi, in prima linea l’amore del prossimo come espressione della nostra fede. Io penso che questa sia già una testimonianza fortissima e anche una forma di annuncio: vivere realmente con questi altri l’amore del prossimo, riconoscere in questi, in loro, il nostro prossimo, così che loro possano vedere: questo “amore del prossimo” è per me. Se succede questo, più facilmente potremo presentare la fonte di questo nostro comportamento, che cioè l’amore del prossimo è espressione della nostra fede. Così nel dialogo non si può subito passare ai grandi misteri della fede, benché i musulmani abbiano una certa conoscenza di Cristo, che nega la sua divinità, ma riconosce in Lui almeno un grande profeta. Hanno amore per la Madonna. Quindi, ci sono elementi comuni anche nella fede, che sono punti di partenza per il dialogo. Una cosa pratica e realizzabile, necessaria, è soprattutto cercare l’intesa fondamentale sui valori da vivere. Anche qui abbiamo un tesoro comune, perché vengono dalla religione abramitica, reinterpretata, rivissuta in modi che sono da studiare, ai quali dobbiamo infine rispondere. Ma la grande esperienza sostanziale, quella dei Dieci Comandamenti, è presente e questo mi sembra il punto da approfondire. Passare ai grandi misteri mi sembra un livello non facile, che non si realizza nei grandi incontri. Il seme deve forse entrare nel cuore, così che la risposta della fede in dialoghi più specifici possa maturare qua e là. Ma ciò che possiamo e dobbiamo fare è cercare il consenso sui valori fondamentali, espressi nei Dieci comandamenti, riassunti nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio, e così interpretabili nei diversi settori della vita. Siamo almeno in un cammino comune verso il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è finalmente il Dio dal volto umano, il Dio presente in Gesù Cristo. Ma se quest’ultimo passo è da fare piuttosto in incontri intimi, personali o di piccoli gruppi, il cammino verso questo Dio, dal quale vengono questi valori che rendono possibile la vita comune, questo mi sembra sia fattibile anche in incontri più grandi. Quindi, mi sembra che qui si realizzi una forma di annuncio umile, paziente, che aspetta, ma che anche rende già concreto il nostro vivere secondo la coscienza illuminata da Dio.

INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
CON IL CLERO DELLE DIOCESI DI BELLUNO-FELTRE E TREVISO

fonte:  vaticano

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