Di chi è la colpa?
Dov’era Dio durante lo "tsunami"?

Tsunami: Le perdite sono irreparabili e lo shock fra i sopravvissuti è profondo . Non c’è più una prospettiva di vita e non riescono a capire come un Dio buono possa punire il suo popolo in modo così crudele, portandosi via tante vite innocenti”. La difficoltà maggiore che il clero deve affrontare è evitare che la massa di gente sconvolta dalla tragedie si lasci prendere dal cinismo: la domanda "Perchè Dio ci ha fatto questo?" è la più comune. Il clero invita le persone a pregare, perché “senza la preghiera si perde il vero significato della vita”.

Thanjavur (AsiaNews)

Tre lezioni per la coscienza, secondo “La Civiltà Cattolica”

ROMA, giovedì, 20 gennaio 2005

«Dalla tragedia provocata dallo tsunami nel sud-est asiatico e in Africa si possono trarre tre lezioni:
1) la precarietà dell’essere umano,
2) il bisogno di solidarietà
3) e la necessità di conversione

Queste tre lezioni sono la conseguenza della domanda che molti si sono rivolti di fronte alla catastrofe:

“E Dio, in tutto questo?

Diciamo subito che vedere sbrigativamente nelle catastrofi naturali una punizione divina per i peccati degli uomini è un errore, che mette in questione Dio quale ci è stato rivelato da Gesú nel Vangelo.

Dio è Padre che ha cura e provvidenza di tutti i suoi figli e perdona i loro peccati: in particolare, ama e ha cura dei poveri e dei piccoli e non abbandona coloro che soffrono. La Sua provvidenza consiste nel fatto che Dio sa ricavare il bene per gli uomini anche dalle più dolorose e tragiche situazioni in cui li pongono gli eventi disastrosi della natura e la loro malvagità e insipienza.Come ciò avvenga resta per noi un grande mistero; ma proprio perché Dio è buono dobbiamo pensare che egli non permetterebbe che avvengano fatti dolorosi e tragici, se non fosse capace e non avesse la volontà di ricavare anche dal male il bene per gli uomini.E proprio perché Dio è giusto, dobbiamo pensare che la provvidenza amorosa di Dio sia più grande per gli umili, i poveri e i bambini innocenti.Dio, nella sua tenerezza paterna, era vicino a ciascuno di quei bambini e li ha salvati nel suo Regno.

Questa considerazione porta la rivista a ricavare tre lezioni per gli uomini e le donne contemporanei.

In primo luogo, questa tragedia “deve richiamarci alla condizione di precarietà in cui si svolge la vita dell'uomo sulla terra. Essa deve bilanciare l'orgoglioso senso di onnipotenza che taluni coltivano nel mondo di oggi, sicuri che l'uomo, con gli strabilianti poteri che il progresso scientifico-tecnico mette in mano, potrà sconfiggere le forze del male, che insidiano il suo benessere la sua salute e la sua vita”.

In secondo luogo, la tragedia del sud-est asiatico “deve essere un richiamo alla solidarietà”, suggerisce la rivista più antica tra quelle che vengono pubblicate in Italia. “Il vero problema dei Paesi colpiti dallo tsunami è quello della ricostruzione”. “Purtroppo non è in questa direzione che si muovono oggi la scienza e la tecnica”, si aggiunge.

“Si pensi alle immense somme di denaro che potrebbero servire per dare cibo e istruzione ai milioni di persone che muoiono di fame, e per curare malattie, come l'AIDS, il quale rischia di distruggere un intero continente come l'Africa, e che invece vengono sperperate per la ricerca e la costruzione di armi sempre più terribili e micidiali, come se non bastassero gli immensi arsenali già esistenti di armi nucleari che potrebbero distruggere molte volte l’intero pianeta”, commenta la rivista dei gesuiti.

Per questo motivo, in terzo luogo, il disastro costituisce un appello alla “conversione, oltre che all'impegno contro il dolore e la sofferenza”. Richiamando gli insegnamenti di Gesù contenuti nel Vangelo secono Luca (episodio della torre di Siloé), queste catastrofi sono “un richiamo a convertirsi”.

Da " Famiglia Cristiana" n° 3-2005

Dov'era Dio?

«Dobbiamo essere consapevoli», dice Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, «che siamo fragili, esposti al grande enigma del male. Non ci sono per l'uomo luoghi sicuri, "paradisi". Coscienti del nostro limite, dobbiamo respingere ogni pretesa di onnipotenza. Non si tratta, per questa catastrofe, di incolpare Dio, ma neanche noi uomini.
Con la fede, possiamo dire che Dio vuole vincere il male con noi, e l'esito finale sarà la trasfigurazione dell'universo».

 


Mario Scialoja, presidente della sezione italiana della Lega musulmana mondiale, afferma invece che «la domanda: "dov'era Dio", viene spontanea. Un musulmano se la pone sempre di fronte alle sofferenze degli uomini, ma anche degli animali. Conciliare la fede in Dio, non solo onnipotente, ma anche benevolente e misericordioso, con le sofferenze che vediamo nel mondo, è una delle sfide maggiori per i credenti. Le cause dei grandi mali sono al di là della nostra capacità di comprensione e di indagine. Come davanti a tutte le catastrofi, anche di fronte a questo maremoto, possiamo solo inchinarci davanti al mistero della imperscrutabile volontà di Dio».



Il monaco buddhista Tae ri Sunim, che tiene incontri di meditazione in provincia di Padova, spiega: «I buddhisti concepiscono il mondo in termini di flusso e mutamento. Anche l'uomo è soggetto al movimento. Perciò il buddhista è preparato ad accogliere ogni evento, apparentemente inspiegabile, con mente aperta e con un certo grado di accettazione, che non vuoI dire passività o rassegnazione, ma serenità emotiva e capacità di sorridere anche quando subisce grandi perdite».

Come passare, di fronte alle tragedie, dallo sgomento alla solidarietà con le vittime e i superstiti?

Afferma Enzo Bianchi: «Occorre affrontare le conseguenze del cataclisma uscendo dal nostro egoismo e vincere il male con il bene. Non possiamo preservare noi stessi senza gli altri o contro gli altri: questa è la grande lezione».

Scialoja osserva che la solidarietà, al di là delle differenze etniche e religiose, è già in atto. «Spero», aggiunge, «che questa catastrofe porti nei Paesi colpiti maggiore amicizia tra le componenti delle diverse società».

Tae ri Sunim: «Se riusciamo a superare la tendenza a sentirci vittime di un destino crudele e diventiamo consapevoli che la sofferenza e la morte sono aspetti inevitabili della vita umana, siamo anche in grado di comprendere gli altri e aiutarli».

RENZO GIACOMELLI E GIULIA CERQUETI

Una lezione contro l'egoismo

Si dice che questa gigantesca tragedia diffonderà il cinismo e il disprezzo per Dio, divenuto l'accusato principale per la morte di tanti innocenti.

In realtà, le discussioni sull'ateismo sono frequenti soprattutto lontano dalla tragedia, in Europa e in Italia. Ma là dove l'onda ha sommerso l'impotenza degli uomini è nata una coscienza maggiore di fede. Lo tsunami ha livellato la presunzione, ha unito in uno stesso destino ricchi e poveri, turisti e pescatori, locali e stranieri. Molti turisti si sono accorti per la prima volta che attorno ai dorati e splendenti alberghi di Phuket e delle Maldive vivevano migliaia di persone analfabete che si abbronzavano non con le creme, ma con il duro lavoro quotidiano. Per i sopravvissuti di entrambi i mondi è la riscoperta della fragilità dell'uomo e la gratitudine a Dio per la vita.

La vita e la morte sono nelle mani di Dio; nella vita e nella morte «Dio non ci abbandona», ha detto Giovanni Paolo II. Le sue parole sono confortate dal fatto che a poche ore dal disastro, i cristiani di tutti i Paesi segnati dal maremoto si sono messi al lavoro in un'opera quasi sovrumana di solidarietà: ricomporre le salme, ricerca di dispersi, cura dei feriti, riparo ai sopravvissuti, conforto ai bambini, senza alcuna distinzione di razza o religione. n loro lavoro è stato apprezzato addirittura dai fondamentalisti indù, che negli anni passati si sono contraddistinti per le loro violenze contro i cristiani: missionari uccisi, scuole cattoliche bruciate, chiese assaltate.
Uniti dalla solidarietà
Un altro frutto dello tsunami è proprio la collaborazione fra persone di diverse religioni. Le testimonianze sono tante: gruppi di medici cattolici inviati dalla diocesi di Medan nel Nord di Sumatra stanno lavorando fianco a fianco con infermieri e infermiere musulmani di Giakarta; cattolici e buddhisti raccolgono famiglie senza tetto nello Sri Lanka; in India, dove avvengono spesso conflitti fra indù e musulmani, le moschee offrono ospitalità a indù e cristiani. Questa carità universale si è dilatata in tutto il mondo. n disastro dello tsunami ha trovato una risposta di solidarietà globalizzata. È stata la carità dei popoli a spingere gli Stati e le grandi potenze a investimento e ricchezza proprio per i Paesi donatori. Ma lo tsunami ha lasciato un segno importante anche per gli Stati: pure con un sistema internazionale di allarme anti-maremoto, la vita dei pescatori e dei turisti nel mondo rimaschee offrono ospitalità a indù e cristiani. Questa carità universale si è dilatata in tutto il mondo. n disastro dello tsunami ha trovato una risposta di solidarietàglobalizzata. È stata la carità dei popoli a spingere gli Stati e le grandi potenze a intervenire con aiuti sempre più massicci.
È probabile che ij summit di Giakarta, dove tutti gli Stati hanno affidato all'Onu la gestione degli aiuti internazionali, si tradurrà in nuove occasioni di investimento e ricchezza proprio per i Paesi donatori. Ma lo tsunami ha lasciato un segno importante anche per gli Stati: pure con un sistema internazionale di allarme anti-maremoto, la vita dei pescatori e dei turisti nel mondo rimane nelle mani di Dio e affidata alla carità di chi stima la vita degli uomini più importante di ricchezza e potere.

BERNARDO CERVELLERA, DIRETTORE DI ASIANEWS

"FAMIGLIA CRISTIANA" LANCIA UN PROGETTO

Famiglia Cristiana promuove un programma a favore delle famiglie colpite dal tremendo maremoto asiatico. Il progetto sarà individuato dai nostri giornalisti inviati sul luogo, in collaborazione con i missionari impegnati sul posto e la Caritas. Chi volesse contribuire al progetto può inviare l'offerta a:

Associazione Don Giuseppe ZiIIi-Onlus
c.c. postale n. 14365209
scrivendo la causale: "Progetto Famiglia Cristiana maremoto".

Riflessione biblica

Consultare : La creazione biblica

Un assassinio efferato , una morte improvvisa, un naufragio , una calamità , una disgrazia interrogano da sempre la ragione umana e pongono inevitabilmente la domanda : Perchè? era destino? E' stata una punizione divina? Chi l'ha subita era più colpevole dei sopravvissuti?
Domande legittime ma sbagliate. La ragione non ha risposte. Solo la Rivelazione puo' gettare luce su questo mistero.

Lu 13,1 In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? 3 No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Lu 13,1 In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.

Flavio, storico Giudeo, non parla in nessun suo scritto di questo fatto riferito a Gesù della crudeltà di Pilato. Flavio riferisce che i Galilei davano sempre un gran da fare a chi li governava, e che quando salivano in Gerusalemme per le feste, accadevano tumulti frequenti; non è impossibile che, nel sedare uno di questi tumulti, occorso nel cortile esterno del tempio, abbiano fatto un massacro, senza che vi fosse da parte di Pilato un particolare odio verso quelli che ne rimasero vittime. La presenza dei soldati romani nel tempio prova che era sorto un tumulto, perché era loro vietato entrarei in circostanze ordinarie, così da non irritare i Giudei. Dalla risposta di Gesù si può comprendere che gli era stato ricordato quel fatto per sapere da lui se quei Galilei fossero stati più peccatori di altri, poiché un destino così crudele gli aveva colpiti.

Nel giudaismo di quel tempo c'era la credenza che le calamità naturali erano da leggersi come punizioni divine per i peccati gravi del popolo. Questa convinzione in realtà era diffusa anticamente sia tra i Giudei ( leggi per esempio il libro Giobbe)che fra i Gentili, i popoli non-ebrei. Il senso di colpa e di peccato li portava a rappresentare Dio o gli dèi come esecutori di una giustizia fondata sulla regola «occhio per occhio, dente per dente» e la legge del contrappasso. Più erano terribili le calamità che colpivano un individuo o un popolo, più grave doveva esser la colpa commessa.
Un esempio : Atti 28, 3 [ naufragato presso l'isola di Malta, popolata da Gentili] Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. 4 Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: «Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere». Se, scampato al naufragio , viene morso da un animale che dà la morte , questo è segno che merita una punizione divina, e dunque , di fronte alla giustizia divina è certamente colpevole di qualcosa di gravissimo, come l'omicidio.

I Giudei interpretano allo stesso modo il massacro operato da Pilato , a tradimento , di alcuni Galilei che erano saliti a Gerusalemme per farvi dei sacrifici.
Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?

Gesù ricorda un altro fatto ,non menzionato dagli storici dell'epoca, che senza dubbio i Giudei interpretavano allo stesso modo, cioè la caduta della torre di Siloè rovinata su molte persone che passavano lì casualmente, uccidendole.

4 O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

La parte meridionale del monte Moria o Sion , al di là dei muri esteriori del tempio, era chiamata l'Ofel, ed era abitata dai Leviti e dai Netenim ossia dai servi ufficiali del tempio. Era circondata da un muro, il quale, partendo dall'angolo S. E. del recinto del tempio, seguiva il contorno del promontorio formato dalla unione delle valli di Josafat e di Hinnom, e si ricongiungeva alla città, dal lato S. O. del tempio, lungo l'orlo della valle del Tiropeo, la quale attraversava Gerusalemme. Questo muro era qua e là fortificato da torri, che Giuseppe dice «grandissime» - A quel che pare una di queste si ergeva vicino alla piscina di Siloe, la dove la valle del Tiropeo si congiunge con quelle di Hinnom e di Josafat. A questo punto le roccie s'innalzano anche oggi all'altezza di 40 o 50 piedi sul livello della piscina. È la caduta inaspettata di questa torre, seppellendo sotto le sue rovine diciotto persone, cui Gesù fa menzione.

Gesù dice che le vittime di quelle due catastrofi non erano maggiori peccatori di quelli che erano stati risparmiati.

3 No, vi dico,
5 No, vi dico,

Le calamità non provano che chi ne è colpito abbia commesso un peccato particolare o particolarmente grave nè che il fatto sia da considerarsi una punizione divina, l'esecuzione di una sentenza particolare di Dio a seguito di un giudizio su quelle persone.

3ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
5 ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Gesù si serve del massacro dei Galilei e della catastrofe di Siloe, per esortare i suoi uditori a riguardare a sé stessi, a considerare il proprio stato innanzi a Dio. La sorte di coloro che erano morti nelle due disgrazie non era che il preludio di quella sorte che minacciava tutti i Giudei. Se essi non si fossero presto pentiti dei loro peccati sarebbe venuta una calamità come conseguenza della rottura dell'alleanza : sarebbero tutti morti per mezzo degli orrori dell'assedio di Gerusalemme. Narra Flavio che, quando i Romani , nel 70 d. C., circuirono la città, tagliandone ogni comunicazione col di fuori, oltre ai suoi abitanti ed a quelli che erano fuggiti dal Nord, per paura dei Romani essa era ripiena di gente accorsa da tutte le parti del mondo per la festa di Pasqua, sicché non meno di due milioni di persone rimasero prigioni nelle sue mura, e di questi ben un milione perì per la fame e la spada durante l'assedio mentre 100,000 o più morirono in cattività.

Parlare della possibilità per essi stessi di morte subitanea o della loro preparazione per il mondo oltre la tomba. È dovere nostro l'osservare quelle calamità, e specialmente le morti subitanee e violenti, non per pronunziare su altri giudizii poco caritatevoli, bensì per farne profitto, affin di non esser colti all'improvviso, se la chiamata del nostro Signore ci giungerà «come un ladro nella notte».
Nessun uomo fu mai perdonato senza esser veramente penitente È naturale che il Battista, il Salvatore, gli Apostoli insistano tanto sulla necessità del pentimento, poiché rintracciato fin nei suoi primi principii esso è essenzialmente uno con quel grande e salutare cambiamento che si chiama rigenerazione o conversione. Davide nel suo gran desiderio di pentimento dopo il suo fallo, risale alla sorgente, confessando di esser stato «formato in iniquità, e conceputo in peccato»; quindi domanda un radicale cambiamento intorno: «O Dio, crea in me un cuor puro, e rinnovella dentro di me uno spirito diritto» Salmi 51:6,11.

Sal 45,2 Dio è per noi rifugio e forza,aiuto sempre vicino nelle angosce.
3 Perciò non temiamo se trema la terra, se crollano i monti nel fondo del mare.
4 Fremano, si gonfino le sue acque,tremino i monti per i suoi flutti
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...9 Venite, vedete le opere del Signore,egli ha fatto portenti sulla terra.
10 Farà cessare le guerre sino ai confini della terra,romperà gli archi e spezzerà le lance,brucerà con il fuoco gli scudi.11 Fermatevi e sappiate che io sono Dio,eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.
12 Il Signore degli eserciti è con noi,nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.

La redazione di www.corsodireligione.it