SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
    A Lecco, nella clinica che ospita Eluana, la ragazza che deve morire.
Un giorno nel non-mondo di Eluana
fonte : www.repubblica.it - di PIERO COLAPRICO -( 10 settembre 2008 )

LECCO - Eluana Englaro oggi ha i capelli corti. Dire che se ne sta a letto è già un mezzo inganno, perché, quando la si vede, quando la si osserva, si percepisce qualcosa che potrebbe essere anche la forza di gravità: qualcosa che non la lascia semplicemente adagiata tra le lenzuola, ma sembra risucchiarla giù, verso un altro luogo, mentre la ragazza, inerme in tutto, non può opporsi. Gli occhi, che nelle foto pubblicate dai giornali, sono spesso ironici e lucenti, colpiscono.

Sono strabici, perché questa forza oscura e le ferite cerebrali hanno vinto i muscoli, ormai appannati. Anche le giunture sono anchilosate, lo si vede dai polsi che escono dalla camicia da notte candida. Diteci com'è Eluana oggi, perché fate vedere le sue vecchie foto e non mostrate com'è adesso? Sono richieste anche legittime, quelle dei lettori nei blog e nei forum (non tutte, certo, perché in qualcuno si percepisce una curiosità che sconfina in un territorio meno nobile). Ma Eluana non è speciale. Se frequenti gli ospedali, sai che appartiene a una nuova umanità disgraziata, che si sta moltiplicando grazie ai progressi della medicina, quella degli esseri umani in stato vegetativo.

Solo in Italia sono circa tremila persone e in qualche modo si assomigliano tutti: alternano momenti di veglia (stanno con gli occhi aperti) a momenti di sonno (stanno con gli occhi chiusi), emettono suoni, gemiti, sospiri senza alcuna attinenza con quanto accade intorno al loro capezzale. I neurologi sostengono che non esiste alcuna possibilità di entrare in contatto con loro, perché non reagiscono in maniera intelligente. Possono avere un soprassalto se c'è un rumore, o una smorfia se si fa loro del male, si tratta però di riflessi. Respirano da soli. Ma se su quegli occhi aperti si avvicina la punta di una matita, restano aperti: nessuna minaccia li muove o li chiude. Perciò la giornata di Eluana, intesa come giornata, non esiste: esiste il non-mondo di Eluana.

Oggi questa donna di 36 anni sta al secondo piano della clinica, in una stanza da sola, dove siamo entrati anche noi. Non raramente è in penombra, con suor Rosangela quasi sempre accanto a lei. Lo fa dal 7 aprile del 1994. Prima, per quasi due anni, Eluana, finita fuoristrada con l'auto, spedita d'urgenza in rianimazione, a poco più di vent'anni - tanti ne aveva... - era stata ricoverata nel reparto di lungodegenza riabilitativa dell'ospedale di Sondrio. Risultati della rianimazione? Deprimenti. Ma "faremo il possibile", aveva promesso il primario di Sondrio.
Le hanno in effetti tentate tutte. Anche in questo caso, miglioramenti pari allo zero. Un giorno una compagna di scuola di Eluana è andata a trovarla proprio mentre la spostavano dal letto, usando un paranco: "Come se fosse un sacco di patate, lei che non voleva farsi mettere le mani addosso da nessuno...". Lo shock è stato tale da tenere questa ragazza lontana dall'ospedale per un bel po'.

Ogni briciola di quella speranza invocata qualche settimana fa in una lettera fraterna anche dal cardinal Tettamanzi è sparita in fretta. E non da sola. Anche la mamma di Eluana, restando accanto alla figlia, "si è consumata". Non compare mai, nelle interviste o in pubblico, perché si è ammalata di cancro e sta malissimo. Papà Beppino le fa da scudo, come fa da scudo alla figlia. I medici gli avevano suggerito: "Pensa alla tua vita, per Eluana non puoi fare più nulla, ci pensiamo noi". Ma questi Englaro, a dispetto di tutto, erano e sono una famiglia unita: e il papà non ha mai mollato per pensare a sé stesso, perché "Eluana intendeva la vita come libertà di vivere, tra noi c'era come un patto di rispetto reciproco delle nostre volontà". Parlando della figlia, l'ha definita "un cristallo". I pezzi di quel cristallo, i cocci della fragilità di una creatura, forse potranno avere sepoltura grazie a un tribunale, o forse no.

Al momento, accanto alla ragazza in questo stato "da 6082 giorni, 16 anni sette mesi e ventitré giorni", come scandisce il papà, ci sono i peluche, le sue foto al mare e sugli sci, i cassetti sono colmi di quegli abiti, di quella biancheria che la mamma esausta e piangente ha continuato a comprare, perché voleva che la figlia, bella, fosse bellissima. La sua bellezza ancora traspare, una bellezza di porcellana, dove qualcuno scorge il soffio della vita, e qualcuno no: ne intravede solo il diafano ricordo, un fantasma traslucido. Ma d'altra parte, gli stessi medici, al papà che chiedeva lumi, non avevano risposto: "Non abbiamo risposte, non abbiamo soluzioni"? Sua figlia, gli avevano detto, è una "non-morta, con gravi handicap".

Tutti, compresa e forse soprattutto la suora, e anche il professor Carlo Defanti, il neurologo che si è detto disponibile a staccare il sondino di questa sua paziente, hanno spiato la quotidianità di questa "non-morta". Mai un cenno, mai hanno percepito uno sguardo, mai una sensazione che qualche cosa della sua volontà, della sua energia sprizzasse all'esterno del guscio della pelle. E così non restano da fare che alcune cose pratiche. C'è stato chi, nelle polemiche venate di crudeltà che caratterizzano questa vicenda umana, clinica e giuridica, si è spinto sino a dire che Eluana fa anche ginnastica. La situazione è, in sintesi, questa.

Ogni pomeriggio alle 17 una sacca beige, con dentro un "pappone", un composto di nutrimenti e medicine, viene pompato, attraverso il sondino nasogastrico, direttamente nello stomaco di Eluana, che ha perso la capacità di deglutire, non potrebbe cioè essere imboccata. Questo pasto dura dodici ore. Poi viene sostituito dalla sacca dell'acqua, per l'idratazione. Per evitare le piaghe - e non se n'è mai formata una, tanto è efficiente l'amore di suor Rosangela - Eluana viene spostata dal letto.

E qua non c'è il paranco, come nell'ospedale, e non ci sono infermieri che protestano per la fatica: questa religiosa con spalle da artigliere l'abbranca, circonda con le sue forme e la sua forza quel fragile essere dalla testa ciondolante, mette Eluana a sedere sulla carrozzella, per un paio d'ore circa. Quando non ci sono giornalisti e fotografi (sarebbe vietato fotografare e pubblicare chi è incapace di intendere e volere, ma non si sa mai), la trasporta nel piccolo giardino, con panchine di pietra e fiori profumati. Comunque, Eluana va sorvegliata a vista, perché se non è imbracata, può cadere in avanti.

Poi c'è la fisioterapia passiva, cioè "le mani altrui", un concetto che per Eluana equivaleva a una violenza, la toccano, la muovono, danno tono per quel che si può ai muscoli inerti come gomma. Succede anche tre volte al giorno, il tempo deve passare, le cure si devono eseguire. Ed è così che "la mamma si è consumata come una candela accanto alla figlia", lamentandosi perché "non l'hanno lasciata morire". Lo stesso papà Beppino, vincendo il pudore che tante volte lo frena, una volta ha detto al cronista che "Sati è morta dentro quando è morta Eluana, e poi è sopravvissuta a se stessa, distruggendosi".

Eluana, nel letto, senza fame, senza sete, senza riconoscenza, senza affetto (lo affermano i neurologi) resta ignara di questa battaglia e di questi dolori dei suoi amatissimi genitori, e pure dei tanti pensieri e delle emozioni che causa la sua tragedia. Il papà, invece, convinto, forse anche da socialista vecchia maniera, che "la sola libertà è dentro la società" non ha accettato quel concetto di "portatela a casa, la facciamo morire di nascosto". Ancora ieri ripeteva: "Da quello che si è creato clinicamente, solo clinicamente si può uscire".

Una giornata nella stanza di Eluana. Dodici ore con il sondino per nutrirsi, 12 per dissetarsi .

fonte : www.corriere.it-13-Nov.2008

LECCO — Eluana non dorme, ha gli occhi aperti. La tendina rossa che la separa dal corridoio si sposta, papà Beppino entra. Lo fa almeno una volta al giorno. Un bacetto. Il solito saluto, quello degli ultimi 16 anni. Che non cambia la realtà. «Bacio la figlia che ricordo, quella che si vede nelle foto». Casa di cura Lecco. Secondo piano, a destra, poi subito a sinistra. Suor Rosangela aggiusta il copriletto, glielo tira fin sopra la vita. Tapparelle abbassate, penombra. Fa caldo nella stanza, un corridoio, bagnetto, poi lo spazio per il letto, un comodino, sopra un bicchiere con qualche fiore rosso. Due orsacchiotti bianchi sulla testiera, ricordo di cugini gemelli. Foto e poster sulle pareti azzurre: mare e cavalli di un passato lontano, passioni e affetti in decine di immagini sotto vetro, che forse non guarda più nessuno. (La stanza - Guarda)

Eluana spiritosa in hula hop; sorridente al timone di una barca; tenera con le scarpe del padre; bellissima in una recita scolastica. Infanzia felice, adolescenza impetuosa. La maturità, invece, è tutta lì, quello che si vede su un letto d’ospedale. Trentasette anni, la pelle da bambina. Eluana è dimagrita. Le braccia lungo il corpo, rilassate in un pigiama bianco, leggero; il volto è adagiato sulla guancia sinistra; dal naso spunta il sondino che la nutre, quello che, se la Cassazione rigetterà il ricorso della Procura generale, cesserà di funzionare. L’ultimo appiglio a una vita apparente, «che lei non avrebbe mai scelto». Lo ripete papà Englaro, con un ritornello che suona ormai come un disco rotto: «Era un purosangue della libertà, a dieci anni mi disse "che cosa c’entri tu con la mia vita?"». Sono le 16. Eluana sta mangiando. Il «cibo» scorre da una sacca su una piantana alla destra del letto, attraversa il sondino, le riempie lo stomaco. Un pranzo che dura 12 ore: tanto ci vuole per sfamarla.

E quando smette, alle 5 del mattino, arriva l’acqua. Stessa operazione, per altre 12 ore. Giornata intensa per suor Rosangela. Ora c’è da staccare il sondino «per mobilizzarla», un po’ di stretching a gambe e braccia, poi qualche colpo di mano a torace e schiena, per liberarle i bronchi; infine le gira il corpo, di fianco, prima a destra, dopo a sinistra. E ancora il sondino. In attesa della notte, dell’alba, del risveglio. Domani come sempre. Con i ritmi del convento. Alle 5 le pulizie quotidiane, alle 8 la ginnastica, alle 9 in pantaloncini e polo per la passeggiata in carrozzina. In giardino, tra i fiori. Ma non nelle ultime settimane, con le telecamere puntate dappertutto. Allora meglio un giro in corridoio, la sosta nello studio medico, mentre si fa cambiare l’aria alla cameretta. La routine di Eluana. Tra le visite di papà Beppino, e i battibecchi con Rosangela, la suora misericordina che l’accudisce. Un duello, ad armi pari. Ma dopo 14 anni insieme al secondo piano, forse, qualcosa è cambiato. «Nonostante tutto, Englaro non è un mostro. Ma dico che non si può far morire così una persona: è disumano. Io dico di aspettare, Eluana non vivrà altri 14 anni».

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