SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
La medicina e le mani di Dio. Il giudizio della persona è centrale.

card. Carlo Maria Martini- Corriere della Sera -6 settembre 2009

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»: sono, secondo l' evangelista Luca (23,46), le ultime parole che Gesù morente «grida a gran voce».

Sono parole già presenti nella tradizione ebraica, dove figurano nel Salmo 31, una sofferta preghiera nella prova, che inizia con le parole «In te, Signore, mi sono rifugiato; mai sarò deluso». Al verso 6 si trovano le parole fatte proprie da Gesù morente: «Alle tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele». Ma molte altre nella Bibbia sono le espressioni che indicano un abbandono dell' uomo nelle mani di Dio, come ad esempio il Sal 16,7: «Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore Dio fedele».

Nel Vangelo si può notare che Gesù, invece di invocare il «Signore, Dio fedele», si rivolge al «Padre», il che dà all' affidamento una accentuazione di ancora maggiore fiducia e tenerezza. Noi sappiamo bene che questo concetto del «mi affido alle tue mani» è decisivo per ogni esistenza umana, a partire dal buttarsi fiducioso del piccolo nelle braccia della mamma e del papà, fino a tutte quelle realtà a cui affidiamo una buona parte della nostra crescita e della nostra maturazione, come la scuola, il gruppo di amici, le autorità civili e politiche, l' opinione pubblica e così via.

C' è oggi un' altra autorità a cui, più che in passato, noi sentiamo a un certo punto di essere «nelle sue mani». È l' autorità del medico, soprattutto quella che sopravviene quando non siamo più capaci di aiutarci da soli nella nostra vita fisica, quando si sviluppano in noi malattie gravi, che richiedono una cura competente e prolungata. Per questo il titolo dato al suo ultimo libro da Ignazio Marino Nelle tue mani: medicina, fede, etica e diritti corrisponde a questa esperienza di mettere, in certi momenti, il nostro futuro e la nostra sopravvivenza nelle mani di chi ha studiato il corpo umano, le sue malattie e le sorprese che esso può riserbarci: quali sono in questo caso le mie giuste aspettative, quali i miei diritti e doveri, che cosa spetta alle autorità pubbliche, quali i dilemmi che il medico vive in prima persona?

Emerge così chiaramente che quell' espressione «nelle tue mani» non si riferisce soltanto ad altri, ma tocca anche in prima persona ciascuno di noi, che sente di essere «nelle proprie mani». Così vengono a collegarsi i due elementi, cioè la forza della medicina e il sapiente e prudente giudizio della persona. I progressi dell' arte medica potrebbero portare avanti per molto tempo, usufruendo di macchine spesso complicate, anche una esistenza senza più coscienza né contatti con il mondo circostante, ridotta a pura vita vegetativa. Qui interviene il giudizio prudenziale non solo del medico, ma anzitutto della persona interessata o di chi ne ha la responsabilità, per distinguere tra mezzi ordinari e mezzi straordinari e decidere di quali mezzi straordinari vuole ancora servirsi. Il libro esamina tanta di questa casistica e lo fa non tanto con assiomi generali, ma con la memoria di fatti avvenuti, di cui l' autore è stato testimone in prima persona.

Una tale situazione in cui la vita fisica si trova in pericolo è anche l' occasione per descrivere da vicino i problemi e i dilemmi che si pongono al malato come al medico e a tutti coloro che hanno a cuore il malato stesso. Le enormi possibilità della scienza medica pongono non di rado di fronte a situazioni in cui è molto difficile stabilire che cosa sia un «rimedio ordinario», cioè quegli strumenti che ciascuno è tenuto, non per obbligo legale, ma per dovere e impulso interiore, a utilizzare, e che cosa siano invece quei «mezzi straordinari» che il malato o chi lo rappresenta, può decidere per ragionevoli motivi, di utilizzare o di respingere.

Nasce qui quella domanda che vediamo emergere sempre più distintamente nel dibattito pubblico: fino a che punto può e deve spingersi la medicina? Certamente, come afferma l' autore «è dovere del medico non accanirsi, sapersi fermare quando non c' è più nulla da fare anche se questo provoca frustrazioni e sconforto». Ma quando si verificano questi casi, che vorremmo ancora chiamare «estremi», in particolare quando «c' è uno stato che non solo impedisce di esprimersi e di relazionarsi col mondo esterno, ma blocca la coscienza e riduce la persona a un puro vegetare e tale stato si rivela, dopo un attento e prolungato esame, come irreversibile?».

L' autore cerca di informare il lettore di tutte queste realtà e queste possibilità, pubblicando anche i documenti relativi, talora poco noti. Come narratore, egli ci fa partecipare ai suoi dubbi e alle sue certezze, facendoci per così dire vivere come in prima persona gli eventi narrati. Non si tratta solo di eventi riguardanti l' interrogativo dei limiti della medicina, ma anche di fatti riguardanti per esempio le sfide della sperimentazione, in particolare dei trapianti. Dal tutto traspare una umanità e una onestà nel considerare i singoli casi che spinge alla fiducia nel mettersi «nelle mani» di tanti servitori della vita. Ciò però non esclude il rischio e la responsabilità che ciascuno deve saper assumere quando venisse il momento di farlo. È così che chi sente il mistero di Dio incombere sulla propria vita potrà anche esprimere quella fiducia nelle mani del Padre, da cui siamo partiti in questa breve riflessione.

Martini Carlo Maria-Cardinale, arcivescovo emerito di Milano

Biotestamento e medici Martini riapre il confronto

Patti: volontà del paziente decisiva. D' Agostino: troppi rischi Turco Il volere del paziente si integri alla scelta medica Roccella La dualità corpo-mente?La credevo superata .

di Gianna Fregonara-Corriere della Sera-7 settembre 2009

ROMA - «Forse è tempo di fermarsi un po' a pensare, prima di riprendere la discussione sul testamento biologico». Il cardinal Martini che fa la recensione dell' ultimo saggio di Ignazio Marino, deputato pd e autore di una delle proposte di legge sul fine vita più indigeste per la Chiesa, ha un primo effetto collaterale non irrilevante: mette d' accordo in pochi minuti due punti di vista molto lontani, quello del teodem Enzo Carra (Pd) e dell' ideologo del pensiero laico di Gianfranco Fini, Alessandro Campi. Non solo, permette anche ad un radicale come Marco Cappato di intravvedere «nei dubbi di Martini, un' impostazione liberale che indica come non vi possa essere una soluzione unica per ogni situazione».

Il cardinal Martini che mette qualche punto interrogativo tra la vita e la morte, che parla di collegare, nel momento estremo, «la forza della medicina e il sapiente e prudente giudizio della persona», che si interroga sulla «vita vegetativa», su quali sono i mezzi «straordinari» e quelli «ordinari» di cura, sui «casi estremi» e di quando «è dovere del medico non accanirsi e sapersi fermare, se non c' è più nulla da fare, anche se questo provoca frustrazioni e sconforto». Le idee dell' ex arcivescovo di Milano sono note e l' abitudine al dialogo con i laici e con Marino stesso non sono una novità: qualche anno fa fece molto discutere un confronto sulla bioetica, proprio tra loro due.

Ma le sue parole, pubblicate sul Corriere di ieri, bastano a riaprire un confronto, che prima che politico e parlamentare, è etico e filosofico. «Ho trovato le sue parole equilibrate e intelligenti: l' idea che l' espressione della volontà della persona nel testamento biologico limiti la discrezionalità del medico è fondamentale - spiega un esperto come Salvatore Patti, professore di diritto privato all' Università La Sapienza di Roma e membro del comitato scienza e diritto della Fondazione Veronesi -. Come è interessante la riflessione sui mezzi "ordinari" e "straordinari", poiché se nel nostro ordinamento è un diritto per una persona cosciente rifiutare anche le cure ordinarie, con il testamento deve potersi decidere di dire no a interventi che servano solo a mantenere in vita senza prospettive di miglioramento».

Per Patti, che invita a guardare alla legge tedesca sul testamento biologico appena approvata, le parole di Martini e il suo dare un' importanza pari a giudizio medico e volontà del malato indicano una strada che «potrebbe permettere all' Italia di non rimanere isolata nel panorama europeo» e alla Chiesa di trovare una via d' uscita per singoli e particolari casi come quello di Eluana. Non la pensa così Francesco D' Agostino, ex presidente del Comitato nazionale di bioetica e membro della Pontificia accademia per la vita, che non vede «in Martini come in molti altri che se ne occupano, l' adeguata consapevolezza bioetica di chi ha studiato da dentro questi problemi». Teme D' Agostino che l' idea del testamento biologico possa venire manipolata e falsificata. E per questo poche «battute anche se pensose» non servono a semplificare un tema che rischia invece di essere svilito a «burocratizzazione la morte»: «Il malato si rimette al medico, è un soggetto debole che si affida alle parole e alla scienza di chi lo cura. Dire che il medico è il migliore interprete della volontà del malato è un falso di comodo, perché spesso il paziente lo ha appena incontrato.

Solo in pochi casi di malati non in difficoltà si può avallare il testamento biologico che non può essere vincolante per i medici perché è una follia prevedere oggi il proprio domani e legare le mani al medico». A trovare poco convincenti le argomentazioni di Martini è anche Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, impegnata in prima linea sui temi della vita e della famiglia: «Mi colpisce soprattutto questa dualità corpo/mente, che pensavo fosse superata, l' idea che la parola cosciente valga più della vita incosciente. Non è vero che nelle situazioni di incoscienza non vi sia una relazione con gli altri». Per Roccella le parole del cardinale non fanno intravvedere spazi di modifica della legge approvata dal Senato, anzi: «Riconoscere, come fa Martini, che siamo affidati, nella malattia come in altre situazioni, nelle mani degli altri e dei medici, significa che ci deve essere un limite all' autodeterminazione che dunque non può essere vincolante».

Pensa invece che questo dibattito alla fine possa dar spazio ad una «Terza Via» l' ex ministra pd Livia Turco: «Questa idea di affidarsi alle mani del medico ma di avere una parte del proprio destino nelle proprie mani dimostra che la contrapposizione tra i due moloch fatta in Senato tra volontà del paziente e decisione del medico va invece rovesciata: sono le due parti di una relazione, i due principi devono stare insieme». «Purtroppo - allarga le braccia Alessandro Campi - si sa che la discussione su un tema così importante è partita, sbagliando, sull' onda dell' emozione del caso Englaro. Ma non si può non dire che è diventata merce di scambio con la Chiesa e questo soffoca qualsiasi dibattito». Dibattito che sicuramente Martini potrebbe riaprire, «sempre che - continua Campi - essendo intervenuto a favore di uno dei candidati nelle primarie del Pd non lo liquidino come il "solito cattocomunista", un problema serio: e cioè quello di chiedersi se in un campo che richiede rigore medico ad una scienza senza certezze e una pietas che fa di ogni caso un unicum, non si debba interrogarsi se invece di una legge rigida non sia meglio lasciare quella zona grigia che molte circostanze consiglierebbero».

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