SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
 Perché il testamento biologico contiene un grave rischio.

Il Foglio 09-09-2008

Il dibattito sulle direttive anticipate è viziato da un uso improprio del riferimento all'accanimento terapeutico

Al direttore

Stando alle letture estive dei giornali non esiste più alcun problema affinché si giunga a una legge condivisa sulle direttive anticipate, finora chiamato "tetestamento biologico".

Sembra che intorno a una legge che regolerà il nesso tra libertà individuali, diritti, scelte personali e società non ci sia spazio per dissensi o alternative. Tutto ciò capita anche perché non si manifesta chiaramente una linea teorica che, fino a poco tempo fa, era esplicita. Infatti, chi vuole, ma non lo dice esplicitamente, che le direttive anticipate servano per favorire l'eutanasia e il suicidio assistito, secondo la logica che va dall'"utero è mio e lo gestisco io" (anche quando è abitato da altri), tino al diritto di "morire la propria morte", oggi si appella al rifiuto dell'accanimento terapeutico, trovando, intorno a questa nozione, un ampio consenso.

Anche chi non vuole l'eutanasia, chi si appella alle categorie costituzionali del rispetto della persona (le stesse categorie che nel 1999 ha usato il tribunale di Lecco per respingere la richiesta del padre di Eluana di sospendere i trattamenti), e si ispira sia alla Convenzione di Oviedo sia al codice deontologico dei medici sia alle dichiarazioni del Comitato nazionale per la bioetica, rifiuta ogni forma di accanimento terapeutico. Il problema è intendersi su che cosa sia accanimento terapeutico. Una definizione non è arbitraria in quanto sa fissare il significato delle azioni che prende in esame e pone le condizioni affinché queste azioni siano distinguibili da altre azioni analoghe.

L'accanimento terapeutico o clinico indica quell'insieme di trattamenti medici che risultano sproporzionati rispetto alla condizione clinica del paziente, futili quanto ai risultati, in grado di produrre più danni che benefici alla salute del paziente.

Se si applicano questi criteri, non c'è accanimento nel nutrire e idratare una persona che sia in stato vegetativo che, per quanto priva di coscienza relazionale, non sta morendo, non ha malattie in corso: non si nuoce alla sua salute, non si provocano danni e le si assicura un'assistenza di base. Di fatto ci si limita ad accudirla come sì farebbe per una persona affetta da demenza senile, come spesso si fa con persone coscienti, ma con gravi disabilità. In base allo stesso criterio si dovrebbe invece sospendere l'alimentazionee l'idratazione qualora prolungassero, per esempio, l'agonia di un malato oncologico nella sua fase terminale di vita, come si fa, correttamente, negli Hospice.

Tutto ciò indica che la valutazione deve tenere conto delle varie situazioni e che non si può decidere in anticipo, fuori dall'esperienza e dalla cognizione della malattia. Criteri che permettono di rivalutare il concetto che sembra scomparso dall'orizzonte della riflessione di perseveranza terapeutica e che impediscono forme di abbandono assistenziale che si configurano di fatto come le nuove dimensioni dell'eutanasia passiva. Stante queste osservazioni, risulta chiaro che il rifiuto dell'accanimento terapèutico non può essere oggetto di scelta per il semplice motivo che esso è illegittimo, sia sul piano clinico sia sul piano etico. Non avrebbe perciò senso invitare i cittadini a firmare una dichiarazione per ottenere, in termini di scelta, ciò che deve essere loro garantito dallo stesso sistema sanitario na zionale e dalla buona prassi clinica (e che è vietato dallo stesso codice deontologico e può essere perseguito penalmente).

Ma il dibattito sulle direttive anticipate è viziato da un uso improprio del riferimento all'accanimento terapeutico.

Ne deriva una situazione paradossale, ingovernabile e ca pace di creare discriminazioni. Così tutti quei mezzi artificiali che.di fatto hanno li berato l'uomo dagli effetti della malattia vengono genericamente rappresentati come strumenti di tortura (il caso Englaro è costruito in questo modo). Il respiratore, l'alimentazione artificiale e la sedia a rotelle permettono a molti malati non soltanto di non morire, ma di continuare ad avere relazioni, e a volte anche di guarire. Una persona paraplegica non è inchiodata su una sedia a rotelle, perché ciò che la inchioda è la malattia e la sedia a rotelle le permette di muoversi, di avere relazioni.
Il dott. Mario Melazzini, malato di SLA ( sclerosi multipla n.d.r.), usa di notte il respiratore, è su una sedia a rotelle ed è alimentato artificialmente: possiamo dire che è sottoposto ad accanimento terapeutico? A una tortura? Tutto questo viene letteralmente stravolto se pretendo di rendere normativa o la percezione soggettiva dei trattamenti o il personale giudizio che uno può dare del valore o della dignità della vita.

Questo è il punto decisivo: la pura volontà del paziente non può determinare se un trattamento è sproporzionato o no, così come la volontà di una persona non determina se un fungo è velenoso o no.

Il fatto che a me possano non piacere i funghi non fa sì che allora i funghi siano velenosi. Posso anche rifiutarmi di mangiar funghi commestibili perché non mi piacciono, ma è falso dire che poiché non mi piacciono sono velenosi. Lo stato non impone a una persona di curarsi, ma non può imporre che un istituto dedito, per sua definizione, alla cura, e cioè il servizio sanitario, contraddica il proprio compito e il proprio ruolo. Dentro il rapporto medico-paziente si colloca perciò la possibilità di programmare i trattamenti e anche il diritto, garantito al cittadino, di rifiutare qualsiasi trattamento: un diritto, però, che non può essere interpretato come un diritto di morire, come una sorta di indifferenza della società verso il suicidio più o meno assistito perché la vita umana è un bene indisponibile alla volontà propria e altrui perché coincide con la stessa persona umana e non c'è possibilità di vita civile e di riconoscimento dell'uguaglianza tra gli uomini senza il divieto di uccidere (e perciò di uccidere se stessi).

Lo stato, se vuole garantire democratica mente l'uguaglianza tra gli uomini, non può accettare la tesi che ci siano vite più o meno degne di essere vissute, che il non avere ancora o il non avere più, o il perde re per sempre, la coscienza di sé renda gli uomini meno degni di tutela: la nuda appartenenza alla condizione umana, per pa rafrasare la Arendt, è ciò che permette di garantire l'uguaglianza tra gli uomini e la democrazia. Di fatto ci si può anche suicidare, ma an che di fronte alla volontà esplicita di chi vuole farla finita e si butta da un balcone c'è il dovere del pronto soccorso, dell'assistenza. Un dovere che segna il significato stesso della vita sociale come relazione co stitutiva di un popolo che non è semplice mente l'insieme dì individui. Questa è una prospettiva che interpreta il liberalismo secondo quel modello classico che contempla sempre la limitazione di alcune forme della libertà individuale: liberalismo che oggi conosce forme più radicali, praticate a destra e sinistra, che accentuano le scelte individuali trasformandole in diritto (si pensi, per esempio, al tentativo di trasformare l'aborto volontario in un diritto riconosciuto dallo stato).

Chi si ispira alle indicazioni del Comita to Nazionale di Bioetica, e vuole fare una legge che vieta ciò che è già vietato e permette ciò che è già permesso, sembra ignorare che si troverà a condividere un percorso con chi invece non vuole porre alcun limite alla volontà del cittadino (prima ancora che sia un paziente) e userà questa legge per trasformare nella sua radice non soltanto il rapporto di cura e di assistenza, ma lo stesso modo di intendere il dovere dello stato di garantire l'assistenza a tutti. Le direttive anticipate renderanno oggetto di scelta ciò che è oggi un diritto per tutti i cittadini, e cioè di avere un'assistenza adeguata e proporzionata: il legislatore dovrà interrogarsi su quali saranno, a lungo termine, gli esiti di una campagna cultura le tesa a valorizzare pratiche astensionisti che più che a favorire una proporzionata e attenta perseveranza terapeutica e assi stenziale per i cittadini maggiormente bisognosi di tutela dei loro diritti e della loro concreta condizione fisica.

Migliaia di Eluana In Italia ci sono migliaia di persone che sono nelle condizioni analoghe a Eluana, spesso faticosamente accudite a casa: dovremo sottrarre loro anche quelle poche risorse di cui dispongono perché alcuni usano in modo irresponsabile la nozione di accanimento terapeutico? Chi domani, non avrà esplicitamente chiesto di essere assistito non potrà più contare sull'assistenza pubblica? Gli anziani affetti da demenza senile, le persone prive di autonomia o che non potranno più aumentarsi autonomamente, godranno ancora dell'assistenza se non lo avranno chiesto in anticipo e per tempo, o dovremo far pagare loro questo impegno economico maggiore a carico dello stato, visto che costa sicuramente meno liberarsi di chi non è in grado di provvedere a sé che assisterlo, quando cessa di essere produttivo?

Siamo certi che dietro alla valorizzazione delle libertà individuali non si nasconda l'idea che ci sono persone che sarebbe meglio che morissero, che ci sono persone che non sono degne di vivere e che noi non siamo pm m graao ai lare i conti con i tempi della malattìa? Può darsi che tutte queste osservazioni siano sbagliate, può darsi che questi timori siano infondati, può darsi che si farà una legge equilibrata e condivisa, rispettosa dei principi costituzionali, che impedirà le discriminazioni, vieterà l'eutanasia e favorirà l'alleanza terapeutica, riconcilierà destra e sinistra, atei e credenti, laici e agnostica reazionari e progressisti. Può darsi.

Adriano Pessina
-ordinario di Filosofia morale, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica, Università Cattolica del Sacro Cuore.

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