SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Cuypers risponde a Nayed: Il Corano è anche opera dell'uomo

di Sandro Magister- http://chiesa.espresso.repubblica.it -ROMA, 30 ottobre 2009

E quindi va letto anche con i metodi della critica letteraria moderna. Ma in campo musulmano chi lo fa rischia grosso. Il caso del professor Shabestari, cacciato dall'università di Teheran 


– Punto sul vivo dal teologo musulmano Aref Ali Nayed, l'islamologo cattolico Michel Cuypers (nella foto) gli replica con la nota pubblicata in questa pagina.

Sia l'uno che l'altro sono personalità molto rappresentative. Cuypers, religioso dei Piccoli Fratelli di Gesù, vive al Cairo ed è uno stimato esegeta del Corano, da lui letto in particolare col metodo dell'analisi retorica. Nayed, libico con sede a Dubai ma con studi e con cattedra anche in Occidente, è teologo dell'islam di impronta classica ed è il principale estensore della celebre "lettera dei 138" indirizzata a Benedetto XVI nel 2007, sulla scia della lezione papale di Ratisbona.

Di Cuypers, www.chiesa ha rilanciato ultimamente due testi: un'ampia intervista a "il Regno" sui metodi di lettura del Corano e una comunicazione sul concetto di Tradizione nell'islam, tenuta a un forum della rivista "Oasis" del patriarcato di Venezia e pubblicata anche da "L'Osservatore Romano".

A questo secondo testo di Cuypers, il professor Nayed ha replicato con una nota affidata a www.chiesa e messa in rete lo scorso 23 ottobre. In essa, egli rivendica che gli esegeti musulmani da sempre utilizzano, per leggere il Corano, tutti i giusti metodi di analisi, sia teologici, sia storici, sia letterari. E quindi essi non hanno niente da imparare dalla Chiesa cattolica, che all'uso dell'analisi storico-letteraria è arrivata solo pochi decenni fa dopo secoli di chiusura.

Ma allora perché gli esegeti musulmani che oggi applicano al Corano le metodologie linguistiche e letterarie moderne sono così osteggiati? Perché sono così pochi e isolati? Nel replicare a Nayed, Cuypers cita il caso recente di un teologo iraniano, il professor Muhammad Mujtahed-e Shabestari, interdetto dall'insegnamento all'Università di Teheran per aver osato sostenere che il Corano, benché d'origine divina, comprende anche l'apporto umano del Profeta che l'ha ricevuto e trasmesso.

Sia Nayed che Cuypers prendono le mosse dalla presentazione che www.chiesa ha dato dei loro testi. Ma i passaggi più interessanti sono quelli in cui essi vanno alla sostanza della questione: come leggere il Corano o la Bibbia da credenti, cioè in quanto parola di Dio e insieme opera umana, e quindi esplorandone anche tutte le componenti storiche, sociologiche, linguistiche, letterarie, con le metodologie più aggiornate?

Ecco qui di seguito il testo di Cuypers.

Risposta alla critica del professor Aref Ali Nayeddi Michel Cuypers

Sebbene la critica del professor Aref Ali Nayed riguardi direttamente la presentazione fatta da Sandro Magister del mio articolo, e non il mio articolo in sé, la sua critica mi dà tuttavia l'occasione di riprendere alcuni punti che non sono affatto senza relazione con questo articolo.

Anzitutto, ho l'impressione che il prof. Nayed sia stato un po' vittima dello stile giornalistico che Magister ha dato al titolo e al sommario della sua presentazione. A ciascuno il suo mestiere: il titolo del mio articolo è più accademico ma meno "graffiante"! Ciò che mi sembra giustifichi questa impressione è il fatto che l'introduzione al mio articolo fatta da Magister mi pare irreprensibile: egli riassume onestamente e chiaramente le idee che io sviluppo nell'articolo, apportando le sfumature e precisazioni necessarie che mancano nel titolo e nel sommario, in particolare nella frase: "E il rifiuto di leggere il Corano con metodi scientifici, oltre che teologici". Nella sua introduzione, Magister precisa che si tratta principalmente delle "correnti fondamentaliste ispirate dai Fratelli Musulmani" e dunque non di tutti gli intellettuali musulmani, nonostante, occorre riconoscerlo, vi sia una reale diffidenza da parte dei "grandi centri della teologia islamica, come l’università al-Azhar [...] nei confronti delle metodologie moderne di analisi del testo sacro". Tornerò su questo punto più avanti.

Ma vediamo per prima cosa il titolo: "Anche l'Islam ha i suoi Lutero". Nayed ironizza sul fatto che sia un cattolico a farsi avanti a "consigliare ai musulmani di produrre dei 'Lutero' e degli approcci di 'stile luterano' al Corano". Il titolo di Magister riprende in effetti un inciso tra parentesi del mio articolo, nel quale, a proposito di alcuni pensatori modernisti, noto che, per essi, "il Corano diventa dunque la sola fonte realmente normativa dell'islam. Una 'sola Scriptura' che non è priva d'influssi da parte del modello protestante (alcuni modernisti sono volentieri chiamati i 'Lutero dell'islam')". Questa frase si ispira direttamente a un passaggio di un libro di un rispettato studioso musulmano, il professor Ali Merad ("La Tradition musulmane", coll. Que sais-je? PUF, Paris, 2001, p, 116). Dal momento che il mio articolo era in origine una breve comunicazione nel quadro di un convegno, io non l'ho corredato di note. Ma mi preme dire qui che, avendo voluto esporre la questione della Tradizione musulmana dal punto di vista stesso dei musulmani, mi sono largamente ispirato al libro del prof. Ali Merad. Lui propriamente non utilizza il termine di "Lutero dell'islam". Ma l'espressione si ritrova molte volte sotto la penna di autori musulmani, come, ad esempio, nell'introduzione del libro di Rashid Benzine, "Les Nouveaux Penseurs de l'Islam" (Albin Michel, Paris, 2004, p. 13): "Alcuni hanno creduto di poter parlare a loro proposito dei 'Lutero dell'islam", ma questa espressione, è giusto sapere, era stata già impiegata più volte nel 1925 dal giornale egiziano "Al-Muqtataf", per designare il dotto religioso Ali Abderraziq". È evidente: il dibattito si situa all'interno dell'islam, e non nelle relazioni interreligiose cattolicesimo-islam.

La titolazione di Magister prosegue poi: "Al cuore della crisi attuale del mondo musulmano vi sono le differenti concezioni della tradizione. E il rifiuto di leggere il Corano con metodi scientifici, oltre che teologici". Quest'ultima frase sembra aver particolarmente colpito il prof. Nayed, poiché egli richiama lungamente la storia scientifica dell'esegesi musulmana del Corano e invita i cattolici alla modestia, ricordando che è solo dal 1943 che l'esegesi cattolica si è ufficialmente aperta ai metodi critici moderni, adottati da molto tempo dai protestanti liberali.

Sulla questione dell'attitudine della Chiesa cattolica riguardo all'esegesi critica moderna, la storia, ricordata dal prof. Nayed, è del tutto chiara. Sì, la Chiesa cattolica è stata a lungo molto reticente nell'adottare i metodi dell'esegesi scientifica moderna, temendo che questa mettesse in pericolo la fede nell'origine divina della Scrittura, Parola di Dio. La Chiesa non ha dunque nessuna lezione da dare. Tuttavia, essa può mettere a disposizione la sua esperienza degli ultimi cinquanta o sessant'anni, durante i quali l'adozione ufficiale (sebbene tardiva!) della critica moderna negli studi esegetici della Bibbia (comunque preceduta dal lavoro di di pionieri come il padre Lagrange, fondatore della Scuola Biblica di Gerusalemme) è stata la fonte di un arricchimento considerevole della comprensione dei testi sacri e, di conseguenza, di uno sviluppo importante della teologia cattolica su molti punti di dottrina. La frase finale della critica del prof. Nayed sembra sfortunatamente lasciare poca speranza che tale esperienza possa essere condivisa, dato che chiede esplicitamente di "smetterla di fare prediche all'islam circa la saggezza nell'uso del metodo storico-critico per studiare il Corano".

Le argomentazioni del prof. Nayed sull'approccio scientifico nell'esegesi coranica classica mi sembrano richiedere alcune notazioni.

Da una parte, è ben noto che dai primi secoli dell'egira si è sviluppata, nel mondo musulmano, un'attività scientifica e intellettuale intensa, in tutti i campi del sapere. Il risultato costituisce un patrimonio culturale di prima grandezza della civilizzazione mondiale. Detto questo, le metodologie messe in opera in quell'epoca nelle "scienze coraniche" (ulûm al-Qur’ân), evocate dal prof. Nayed come "metodologie storico-critico-linguistiche", anche se possono e devono ancora insegnarci molto (specialmente in materia grammaticale e lessicologica), restano forzatamente limitate alle conoscenze scientifiche dell'epoca. Il prof. Nayed scrive ancora: "Gli studiosi musulmani sono stati sempre consapevoli del fatto che l'interpretazione, la comprensione e l'esegesi dell'eterno parlare di Dio sono forme dell'umano strenuo sforzo (ijtihâd) che deve essere obbligatoriamente rinnovato in ogni generazione credente". Se è così, si ha difficoltà a comprendere le resistenze dell'esegesi coranica attuale nei confronti delle metodologie uscite specialmente dalla linguistica e dalla critica letteraria moderne. Certo, un Khalafallah e un Nasr Abu Zayd, in Egitto, testimoniano, assieme a molti altri intellettuali musulmani nel mondo, che è possibile e benefico adottare questi metodi, sempre restando musulmani credenti. Ma questo non avviene senza reazioni da parte delle istituzioni ufficiali. Qui ancora, mi appoggio su una constatazione del prof. Ali Merad, che cito nel mio articolo (la frase riguarda direttamente gli studi della Tradizione, ma essa vale altrettanto bene per lo studio del Corano): "In molte università islamiche il ruolo del corpo insegnante pare limitarsi ad assicurare la continuità d'un sapere convalidato da una sorta di consenso comunitario. Per quanto riguarda la Tradizione (e anche la biografia del Profeta) la quasi sacralizzazione delle autorità antiche in materia è la regola. Discutere queste autorità, aprire nuove piste di ricerca, significa rompere con un modello culturale che ha funzionato per più di un millennio e che rimanda alla comunità l'immagine della sua identità, del suo equilibrio socio-culturale, nella continuità con le sue fonti prime" ("La Tradition musulmane", p. 83).

Dall'altro lato, noto che il prof. Nayed utilizza più volte l'espressione di "critica storica" o "metodo storico-critico", sia per affermare che gli studiosi musulmani l'hanno sempre praticata, sia per chiedere agli occidentali di smettere di voler applicare questo metodo al Corano (nel senso in cui essi l'intendono, evidentemente). Ora, né Magister né il mio articolo non utilizzano questo termine neppure una volta. Io l'ho fatto intenzionalmente, preferendo parlare di "critica", di "metodo critico" o "scientifico", in un senso più largo. Il metodo storico-critico (che personalmente rispetto, sebbene non lo pratichi) non è infatti il solo metodo "critico" o "scientifico" di approccio ai testi. Magister fa allusione al fatto che il metodo che personalmente io pratico per l'analisi del testo coranico è quello della "analisi retorica". All'opposto del metodo storico-critico che decompone (a torto o a ragione) il testo in frammenti di datazione differente, l'analisi retorica permette di mostrare la coerenza del testo, la sua "composizione": un metodo che, in forza di regole rigorose, merita ugualmente la qualifica di "critico". In vari studi ho mostrato la continuità di questo metodo con le osservazioni di molti studiosi musulmani classici: ‘Abd al-Qahir al-Jurjânî, Zarkashî, Suyûtî, Al-Biqâ’î e molti altri.

Un aspetto più delicato della questione è evocato dal prof. Nayed in questi termini: "Ciò che è ancor più ironico è il fatto che alcuni cattolici non solo inventano una simile chiusura musulmana, ma arrivano ad attribuirla alla fede musulmana nella divina autorità del Corano, cioè al fatto che il Corano è l'autentica Parola di Dio. Ciò è davvero strano, perché induce a pensare che chi crede nella divina autorità di un testo sacro non può essere un interlocutore di dialogo in materie teologiche!".

Va da sé che la fede nel testo sacro come Parola di Dio è il fondamento stesso di ogni religione che si consideri come "rivelata". La difficoltà viene piuttosto da una questione teologica che concerne il modo di trasmissione di questa Parola divina. Alla fine della mia comunicazione, faccio capire che una concezione troppo stretta di questo modo di trasmissione, come un puro e semplice dettato disceso direttamente da Dio, rende più difficile il fatto di ammettere che il testo coranico, pur considerato come Parola di Dio, raccoglie anche una vasta tradizione culturale e scritturale anteriore. Un eminente teologo iraniano, il professor Muhammad Mujtahed-e Shabestari, è stato recentemente interdetto dall'insegnamento all'Università di Teheran, per aver osato dire che la rivelazione coranica, benché d'origine divina, comportava un'inevitabile parte umana dovuta al trasmettitore di questa Parola, cioé al Profeta dell'islam.

La posizione di questo intellettuale musulmano, se l'ho ben compresa, mi sembra molto vicina alla posizione cattolica attuale. Il prof. Nayed, per provare il fatto che i cattolici, così come i musulmani, considerano anch'essi le loro Scritture come Parola di Dio, cita l'inizio del capitolo 3 della costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II "Dei Verbum", sulla Rivelazione: "essi [i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento] hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa". Ma omette di citare il seguito: "Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte". Più avanti, il testo assegna così il loro compito agli esegeti e ai commentatori: "L'interprete delle Sacre Scritture [...] deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole".

C'è qui, incontestabilmente, una grande questione teologica che fa problema tra l'islam e il cattolicesimo. Una questione che comincia anche a produrre un dibattito dentro l'islam, come mostra il caso di Shabestari.

Vengo ora all'ultima frase della titolazione di Magister: "La lezione di un grande islamologo, Michel Cuypers". Non sono evidentemente io responsabile dell'espressione di Magister. Personalmente, penso di non avere lezioni da dare a nessuno. Accettando di parlare al convegno di Oasis, ho voluto fare una piccola sintesi sulla Tradizione musulmana, come un musulmano avrebbe potuto farla. È per questo che mi sono ispirato molto da vicino al libro del prof. Ali Merad, come ho già detto. Se dunque ho dato una lezione, è nel senso accademico della parola: un corso, un'esposizione, rivolto a un uditorio principalmente cristiano. Ma è vero che mi sono permesso, alla fine, di fare due osservazioni che sono delle conclusioni alle quali sono giunte le mie ricerche sul Corano; non certo per "dare una lezione", ma per segnalare delle questioni che, in quanto ricercatore, mi sembrano importanti, e che stimavo utile consegnare al forum intellettuale di Oasis.

Infine, devo dire che non mi considero in alcun modo un "grande islamologo"! Avevo già chiesto a Magister, in un'altra occasione, di sopprimere questa qualifica, ma lui non ne ha tenuto conto. Cerco di essere un ricercatore onesto che, nei limiti della disciplina nella quale ha acquisito delle competenze, sia il più rigoroso possibile. Penso di poter presumere che lo sguardo molto (troppo?) positivo di Magister sulla mia ricerca implichi che lui ne condivida lo spirito. Questo mi offre l'occasione di esplicitarla un poco.

Sono trentacinque anni che vivo in Medio Oriente, in stretto rapporto di amicizia e di vita con dei musulmani. Mi sono sempre considerato come loro ospite e loro amico. Un ospite che cerca di comprenderli, di conoscere la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione. Un ospite che crede nella fraternità umana, nel rispetto delle credenze di ciascuno, che crede nel lavoro di Dio nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà, quale che sia la loro religione o la loro assenza di religione. Se mi sono consacrato da una quindicina d'anni allo studio del Corano, è prima di tutto per meglio conoscere il Libro fondatore della fede dei musulmani in mezzo ai quali io vivo. E se mi sono specializzato nella questione della composizione (nazm) del testo coranico, è perché essa ha sempre stimolato gli studiosi, tanto nell'islam che fuori. Sono arrivato alla conclusione che questo testo, di apparenza ritenuta composita, è in realtà molto sottilmente e solidamente costruito, ma sulla base di una retorica "semitica" ancora troppo poco conosciuta. Questo lungo e paziente lavoro mi ha immerso da anni nel cuore di ciò che fa il centro di tutta la cultura islamica: il suo Libro santo.

Ed è precisamente per questo che posso comprendere l'irritazione del prof. Nayed nel paragrafo finale della sua critica: "Sfortunatamente, alcune posizioni cattoliche riguardo agli approcci musulmani al Corano sembrano basate sull'infondata tavola dei contrasti 'islam contro cristianesimo' sviluppata e sostenuta da taluni 'esperti dell'islam'".

È vero che attualmente alcuni autori cattolici di saggi sull'islam e anche degli islamologi cattolici di fama cadono nella trappola di un faccia a faccia contrappositivo islam-cristianesimo. Ne ho già pagato qualche prezzo: la mia ricerca in effetti è stata criticata da qualche islamologo cattolico, perché potrebbe portare degli argomenti a sostegno della dottrina islamica della inimitabilità (i'jâz) del Corano! Personalmente, solo il rigore scientifico della ricerca conta, anche se essa dovesse portare a risultati che dispiacciono a qualche mio correligionario! All'opposto, diversi intellettuali musulmani mi hanno già detto il loro interesse per la mia ricerca. E sono stato molto onorato di ricevere il premio del World Prize for the Book of the Year, assegnato per il mio libro "Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida" (Lethielleux, Paris, 2007; tradotto in inglese: "The Banquet. A Reading of the fifth Sura of the Qur’an", Convivium Press, Miami, 2009) da parte del ministero iraniano della cultura.

Da parte mia, non vedo che, nella sua presentazione del mio articolo, Magister sia caduto nella trappola di questo faccia a faccia sterile. Temo piuttosto che si sia trattato di una proiezione sulla sua persona di un atteggiamento che esiste effettivamente in certi ambienti cattolici, e di cui il titolo giornalistico della sua presentazione ha potuto lasciare intendere che la condividesse, mentre di ciò non si tratta. È almeno ciò che io auspico.


Il Cairo, 26 ottobre 2009

 

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