SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
«Arabi in stallo, al bivio tra il confronto con l’altro e le seduzioni della violenza»  
Libertà di fede, questione globale
www-avvenire.it  24-6-2008  di CAMILLE EID

Libertà religiosa: come si intende questa espressione a Oriente e Occidente?
In che senso tale libertà è un bene per ogni società?
Come incide la difesa di questo diritto nella realtà delle relazioni tra minoranze e tradizione maggioritaria di un popolo? Quale il rapporto tra libertà e verità?

A questi interrogativi la prima giornata del comitato scientifico di Oasis, che quest’anno ha scelto come sede la capitale giordana Amman, ha voluto offrire delle risposte. «Nella nostra società globalizzata – ha rilevato nella sua presentazione il cardinale Angelo Scola – la tensione tra libertà religiosa e identità tradizionale di un popolo sta diventando scottante. Non che prima la questione non si ponesse», ha precisato il patriarca di Venezia davanti agli ottanta ospiti provenienti da venti Paesi diversi.
«Certamente si poneva, ma su scala molto più ridotta. Il punto critico è: che cosa succede a un’identità di popolo se un numero consistente di persone inizia a metterla in discussione o perché proviene da un’altra religione o addirittura vi si converte? In alcuni Paesi a maggioranza musulmana –
ha osservato Scola –, mentre si può tollerare un certo grado di diversità per chi già nasce in un’altra religione, l’identità di popolo risulterebbe minacciata se si concedesse la possibilità di convertirsi a chi è già musulmano.
  Il passo che ora dobbiamo compiere –
ha concluso il Patriarca – in Occidente ed in Oriente, sta nel mettere meglio a fuoco come il rapporto tra libertà religiosa e identità di popolo incida sulla vita sociale. In quest’ottica i cristiani non intendono mettere a rischio le basi della convivenza sociale dei Paesi a maggioranza musulmana ma, per essere chiari, chiedono lo stesso rispetto per la propria tradizione a chi arriva qui da noi.
  Ma il rispetto verso l’identità comunitaria non può spingere nessuno, nemmeno i musulmani, a violare la libertà umana del singolo, compresa la libertà di conversione. E in fondo, quale bene può venire alla verità dal trattenere in una religione persone convinte di non credervi più? Davvero è più deleterio l’abbandono esplicito che una professione di facciata?».

Molto apprezzato l’articolato contributo di Khaled Abdel-Rauf al-Jaber, professore all’Università di Petra (Amman) che, trattando il tema del rapporto tra libertà e verità ha esordito affermando che il dialogo svoltosi nel XX secolo tra fedeli cristiani e musulmani non ha conseguito risultati concreti.
  «Muovere nel dialogo dal punto di partenza lo rende un po’ – ha detto Jaber – un dialogo tra sordi: nei casi di massima apertura, esso rimane limitato alla ricerca di punti di convergenza e incontro tra le due religioni; nei casi di massimo estremismo, si concentra sui punti di divergenza e di contrapposizione. In tal modo il dialogo assume due funzioni: abbellire o imbruttire. Ma questo come può essere un dialogo che dia frutti e serva a cambiare il corso della storia? Se dunque la fonte di queste religioni è una, cioè Dio, e il loro scopo è uno, cioè realizzare la felicità dell’uomo sulla terra, in previsione della sua felicità nell’aldilà, allora l’incontro tra le religioni deve concentrarsi su questi due aspetti: il punto di origine e il punto di ritorno», ha aggiunto Jaber da un punto di vista musulmano. «Il dialogo – ha precisato – deve liberarsi dalle lordure proprie del movimento dell’uomo nella regione temporale di mezzo, per concentrarsi sui punti di origine e di ritorno esenti da tutte le colorazioni».
  Illustrando poi il concetto libertà­verità e il rapporto che deve stare alla base del rapporto tra musulmani e non, Jaber ha ricordato la raccomandazione fatta dall’imam Alì, quarto califfo musulmano, al futuro governatore d’Egitto: «Sappi, si legge nel testo dell’investitura, che gli uomini sono o fratelli per te nella fede o simili a te nel fatto di essere creati: Entrambi hanno diritti e doveri».  Per il docente giordano tutto o quasi va puntato sul senso di giustizia. «Le religioni ammettono l’uguaglianza di tutti gli uomini dinanzi al Creatore – ha affermato –. Dio incarna l’amore nel cristianesimo e la misericordia nell’islam», perciò ogni rapporto di sottomissione sarebbe ingiusto.
  «Ingiusto il colonialismo, ingiusta la divisione dell’umanità in classi, ingiusta anche la discriminazione tra etnie, religioni e sessi. Se vogliamo andare dietro alla verità della libertà – ha proseguito Jaber – dovremo rivolgere il nostro sforzo a rimuovere l’ingiustizia dal cuore dell’uomo, senza guardare alla sua origine, religione, colore, sesso, orientamento, partito o età». Citando poi il noto versetto coranico «Non vi sia costrizione nella fede: la retta via ben si distingue dall’errore», Jaber fa notare che il versetto distingue due categorie nell’umanità: quelli che sono ben guidati e sulla retta via e quelli che errano. Con una precisazione: «Dio ha lasciato a Se stesso il compito di operare questa classificazione nell’aldilà, e sarà Lui ad arbitrare tra la gente nel Giorno della risurrezione per quel che riguarda le loro divergenze».
Un’amara constatazione che è nello stesso tempo un’esortazione ha concluso l’intervento di Jaber.
«Le religioni – ha detto – si sono tirate indietro dal loro compito e si sono limitate agli aspetti spirituali del rapporto tra uomo e Dio, lasciando ad altri – ignoranti e interessati nella maggior parte dei casi – l’organizzazione dei rapporti dell’uomo con l’uomo. Esse non ritorneranno davvero alla vita dell’uomo, così da compiere la verità della libertà, se non quando riprenderanno a svolgere il ruolo cui hanno rinunciato».

 Il patriarca Scola: «Molti popoli, specie nei Paesi musulmani, avvertono immigrati o convertiti come un pericolo».
  L’arabista al-Jaber: «Il dialogo si concentri sui punti di unione»
Selim Sayegh, vicario patriarcale latino ad Amman :«Qui i cristiani non stanno chiusi in un ghetto ma partecipano alla vita politico-culturale»

«Ma un limite è anche la globalizzazione uniculturale»
«Arabi in stallo, al bivio tra il confronto con l’altro e le seduzioni della violenza»  

www.avvenire.it   25-6-2008
Intervista di Camille Eid ad Hassan Abu Nimah, studioso e diplomatico.

 « La società giordana, fatta di musulmani e cristiani, è una società unica e armoniosa, i cui membri vivono insieme senza avvertire la minima differenza. Pertanto non possiamo parlare di dialogo interreligioso in Giordania, poiché non ve n’è bisogno nell’eccellente clima di concittadinanza e con i rapporti improntati all’amore, al rispetto e al sostegno reciproco » . Lo ha affermato ieri al convegno di Oasis ad Amman Hassan Abu Nimah, direttore del Reale istituto per gli Studi interreligiosi, nato nel 1994 sotto il patrocinio del principe Hassan, lo zio del re. « Molto è stato detto – aggiunge Abu Nimah – nei decenni passati sul dialogo interreligioso e interculturale, sul rispetto dell’altro e la capacità di accoglierlo, su come entrare in rapporto con la sua tradizione e il suo pensiero, e quale mentalità si richieda per questo. Ma d’altro canto, miliardi di dollari sono stati spesi nel mondo per attivare strumenti di guerra, morte, violenza e terrorismo » .
 Dove si situa l’uomo arabo tra queste due strade?

 « Si ferma vinto e abbandonato al bivio tra esse, senza sapere dove lo condurrà il suo destino. Gli è chiarissimo però, in ogni momento, che non vi è sicurezza per lui nell’era della globalizzazione, della tecnologia moderna e delle guerre contemporanee.   Eravamo entrati nel nuovo secolo con attese di un futuro razionale e sereno, ma i primi frutti sono state le immagini di violenza che si ripetono senza sosta nella regione araba. Mi chiedo quali altri frutti si celino sotto i rami di questo secolo nervoso iniziato con gli attentati dell’ 11 settembre e che non sembra intenzionato a cambiare strada, a giudicare da quanto avviene in Iraq, Palestina e Libano » .
 Eppure non si può negare che da molte parti si alzino anche appelli al dialogo delle civiltà...

 « Personalmente ritengo che, prima di parlare della necessità del ' dialogo delle civiltà' occorra esaminare le cause che hanno condotto a questo stato di cose, al fine di assicurare continuità al dialogo. Altrimenti esso non supererà lo stadio di un semplice quadro teorico senza risultati apprezzabili.
  Il dialogo nella sua definizione astratta è infatti l’interazione di due parti mosse da ragioni profonde per assicurare una comunicazione positiva.
  Quanti oggi invocano il dialogo delle civiltà devono quindi considerare i moventi che li animano e gli strumenti che intendono adottare: vi è davvero un legame reale tra le parti per arrivare a rapporti reciproci? O tutta la questione non va oltre la logica di una globalizzazione uniculturale? »

 E cosa pensa lei a questo proposito?

 « Sono convinto che ci debba essere un movente razionale per la cultura del dialogo in un’epoca difficile e complessa come la nostra.   Tra gli elementi che hanno una relazione decisiva nel procedere di qualsiasi sforzo volto a rendere efficace il dialogo tra gli uomini, la religione costituisce uno snodo fondamentale e necessario per promuovere tali sforzi. Non parlo qui della religione in quanto strutture teologica o dogmatica, ma in quanto struttura sociale che insieme ad altre partecipa ai meccanismi di interazione sociale dell’umanità, sia nella vita quotidiana che nelle aspirazioni per il progresso delle condizioni di vita in avvenire».
           SOMMARIO RASSEGNA STAMPA