SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
A proposito del battesimo di Magdi Allam 
Storia di un convertito dall'islam.
Battezzato dal papa in San Pietro

Si chiama Magdi Cristiano Allam. Da cinque anni vive sotto scorta, minacciato di morte.
Ma il suo battesimo ha sollevato aspre critiche contro di lui e contro Benedetto XVI.

di Sandro Magister www.chiesa.espressonline.it




ROMA, 28 marzo 2008 – Tre giorni prima, in un messaggio audio diffuso via web, Osama bin Laden aveva accusato "il papa del Vaticano" d'avere "un ruolo rilevante" nel combattere contro l'slam una "nuova crociata".
Ma niente intimidisce Benedetto XVI. Nella veglia di Pasqua, sabato 22 marzo, il papa ha battezzato nella basilica di San Pietro, assieme ad altri sei uomini e donne di quattro continenti, un convertito dall'islam, Magdi Allam, 56 anni, egiziano di nascita, scrittore e giornalista di fama, vicedirettore del principale quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", autore di libri importanti, l'ultimo dei quali intitolato: "Viva Israele".
Col battesimo – e subito dopo con la cresima e la comunione – Allam ha assunto come secondo nome quello di Cristiano. E in una lettera pubblicata sul suo giornale la domenica di Pasqua ha raccontato e spiegato la sua conversione. La notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo. I commenti sui media musulmani sono stati per la gran parte polemici, contro Allam e contro Benedetto XVI. Anche in campo ecclesiastico sono trapelate delle critiche alla pubblicità data alla conversione, che in realtà è rimasta segreta fino all'ultimo.

Da parte vaticana, un commento è apparso su "L'Osservatore Romano", in una breve nota del direttore Giovanni Maria Vian: "Il gesto di Benedetto XVI afferma, in modo mite e chiaro, la libertà religiosa. Che è anche libertà di cambiare religione, come nel 1948 fu sottolineato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (anche se in seguito, purtroppo, la dichiarazione è stata proprio su questo punto ridimensionata). Così chiunque chieda senza costrizione il battesimo ha il diritto di riceverlo. E come non vi è stata enfatizzazione, così non vi è alcuna intenzione ostile nei confronti di una grande religione come quella islamica".
Per coincidenza, nello stesso numero del giornale del papa, un ampio servizio dedicato alla liturgia di Pasqua e all'antichissima tradizione di celebrarvi i sacramenti dell'iniziazione cristiana aveva come titolo: "L'intimo legame tra il battesimo e il martirio". Un legame evidenziato da Benedetto XVI il lunedì di Pasqua, quando – al "Regina Coeli" di mezzogiorno – ha invitato i fedeli a pregare per i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i laici uccisi nel 2007 mentre svolgevano il loro servizio nei paesi di missione:
"Nella luce di Cristo risorto acquista particolare valore l’annuale giornata di preghiera per i missionari martiri, che ricorre proprio oggi".

Da musulmano, per le sue vigorose critiche a "un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale", Allam è stato fatto oggetto in passato di minacce di morte. Da cinque anni vive protetto da una scorta armata e abita in una località segreta a nord di Roma, con la moglie Valentina e il figlioletto Davide.
Come giornalista, fecero colpo due suoi servizi pubblicati nel 2003. Nel primo Allam riportò il sermone pronunciato il 6 giugno di quell'anno, venerdì, nella Grande Moschea di Roma dall'imam egiziano Abdel-Samie Mahmoud Ibrahim Moussa. Nel secondo tradusse dall'arabo i sermoni degli imam di altre sei moschee italiane. Quasi tutti esaltanti il terrorismo suicida e incitanti all'odio verso l'Occidente e Israele.
A seguito del primo servizio, il governo egiziano richiamò in patria l'imam autore del sermone.
Allam si distinse anche per i suoi commenti alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, di totale consenso alle tesi del papa.
Le sue critiche non si appuntano solo contro l'islamismo. In varie occasioni egli ha denunciato "la resa morale, l'obnubilamento intellettuale, la collusione ideologica e la fattiva collaborazione dell'Occidente con gli estremismi islamici".

Per queste sue posizioni, Allam ha registrato forti ostilità da parte non solo di musulmani, ma anche di intellettuali d'Italia e d'Europa. Nell'estate del 2007 circa duecento professori di varie università, compresa la Cattolica di Milano, firmarono una lettera contro di lui, accusandolo d'intolleranza.
Anche in campo ecclesiastico molti diffidano. Dopo il suo articolo di denuncia del sermone dell'imam di Roma, l'allora presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, l'arcivescovo Michael L. Fitzgerald, lamentò che "così facendo si corre il rischio di compromettere il dialogo".

Ma Allam ha più volte denunciato anche un'altra paura diffusa nella Chiesa: quella per cui nei paesi musulmani – dove l'apostasia è talora punita con la morte – si rinuncia a battezzare e nei paesi cristiani si tengono nascosti i convertiti dall'islam.
Col battesimo a lui amministrato pubblicamente dal papa nella notte di Pasqua, Allam confida che si esca da queste "catacombe".
Ma non sarà facile. Tra le reazioni critiche da parte musulmana al suo battesimo, colpiscono quelle di due importanti firmatari della lettera dei 138, cioè la lettera simbolo del dialogo tra la Chiesa di Roma e l'islam: l'imam italiano Yahya Pallavicini e il teologo libico Aref Ali Nayed, direttore del Royal Islamic Strategic Studies Center di Amman, in Giordania.

I due hanno fatto parte della delegazione di cinque rappresentanti musulmani che hanno concordato il 4 e 5 marzo con le autorità vaticane le prossime tappe del dialogo, che comprenderà un'udienza con Benedetto XVI.
Entrambi, però, nel criticare il battesimo di Allam, eludono la questione capitale della libertà di religione, che pure è stata posta al centro dell'agenda di dialogo tra la Chiesa di Roma e i firmatari della lettera dei 138.
Yayha Pallavicini si è detto "imbarazzato per la mancanza di sensibilità" dimostrata da chi ha voluto battezzzare Allam in San Pietro, "un gesto compiuto all'indomani dell'anniversario della nascita del Profeta, il Natale musulmano, che rischia di generare messaggi negativi e indica l'intenzione politica del Vaticano di far prevalere la supremazia della Chiesa cattolica sulle altre religioni".

Ma ancor più duro è stato il commento di Nayed, che è la vera mente della lettera dei 138, di cui è il sostanziale autore. Duro nei confronti di Allam ma più ancora di Benedetto XVI, al quale lancia l'accusa di aver voluto riaffermare, col gesto del battesimo, la "famigerata" ("infamous" nell'originale inglese) lezione di Ratisbona.
Nayed arriva a giudicare "totalitaria" e "quasi manichea" la simbologia di tenebre e luce sviluppata dal papa nell'omelia della veglia pasquale.
Senza una presa di distanza vaticana – dice ancora Nayed – il battesimo amministrato da Benedetto XVI induce a concludere che il papa sottoscrive e appoggia i "discorsi di odio" di Allam contro l'islam.
Più sotto è riportato per intero il commento di Nayed. Seguito da una replica fatta alla Radio Vaticana il 27 marzo dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.

Lettera di M.Allam al direttore del Corriere della Sera

Ecco la versione integrale della lettera al direttore del "Corriere della Sera" con cui Allam ha raccontato la sua conversione, lettera pubblicata dal giornale solo in parte:

"Benedetto XVI ci dice che bisogna vincere la paura"
di Magdi Cristiano Allam

Caro direttore,

ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il "Corriere della Sera" di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vicedirettore "ad personam". Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino.

Ieri sera, vigilia di Pasqua, mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica.

Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione.

Sono particolarmente grato a Sua Santità il papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: “Cristiano”. Da ieri sera dunque mi chiamo Magdi Cristiano Allam.

Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile.

A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del “diverso”, condannato acriticamente quale “nemico”, primeggiano sull’amore e il rispetto del “prossimo” che è sempre e comunque “persona”; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.

La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero.

Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come “nemico dell’islam”, “ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare all’islam”, “bugiardo e diffamatore dell’islam”, legittimando in tal modo la mia condanna a morte.

Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un “islam moderato”, assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica.

Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale.

Parallelamente, la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; da religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; dalla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza culminata in una rinnovata amicizia con il rettore maggiore don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, i monsignori Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella, che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana.

Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso, da musulmano, per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato.

Il mio è un percorso che inizia da quando, all’età di quattro anni, mia madre Safeya, musulmana credente e praticante – per il primo della serie di “casi” che si riveleranno essere tutt’altro che fortuiti bensì parte integrante di un destino divino a cui tutti noi siamo assegnati –, mi affidò alle cure amorevoli di suor Lavinia dell’ordine dei Comboniani, convinta della bontà dell’educazione che mi avrebbero impartito delle religiose italiane e cattoliche trapiantate al Cairo, la mia città natale, per testimoniare la loro fede cristiana tramite un’opera volta a realizzare il bene comune.

Ho così iniziato un’esperienza di vita in collegio, proseguita con i salesiani dell’Istituto Don Bosco alle scuole medie e al liceo, che mi ha complessivamente trasmesso non solo la scienza del sapere ma soprattutto la coscienza dei valori. È grazie ai religiosi cattolici che io ho acquisito una concezione profondamente e essenzialmente etica della vita, dove la persona creata a immagine e somiglianza di Dio è chiamata a svolgere una missione che s’inserisce nel quadro di un disegno universale ed eterno volto alla risurrezione interiore dei singoli su questa terra e dell’insieme dell’umanità nel Giorno del Giudizio, che si fonda nella fede in Dio e nel primato dei valori, che si basa sul senso della responsabilità individuale e sul senso del dovere nei confronti della collettività. È in virtù dell’educazione cristiana e della condivisione dell’esperienza della vita con dei religiosi cattolici che io ho sempre coltivato una profonda fede nella dimensione trascendente, così come ho sempre ricercato la certezza della verità nei valori assoluti e universali.

Ho avuto una stagione in cui la presenza amorevole e lo zelo religioso di mia madre mi hanno avvicinato all’islam, che ho periodicamente praticato sul piano cultuale e a cui ho creduto sul piano spirituale secondo un’interpretazione che all’epoca, erano gli anni Sessanta, corrispondeva sommariamente a una fede rispettosa della persona e tollerante nei confronti del prossimo, in un contesto – quello del regime di Nasser – dove prevaleva il principio laico della separazione della sfera religiosa da quella secolare.

Del tutto laico era mio padre Mahmoud, al pari di una maggioranza di egiziani che avevano l’Occidente come modello sul piano della libertà individuale, del costume sociale e delle mode culturali ed artistiche, anche se purtroppo il totalitarismo politico di Nasser e l’ideologia bellicosa del panarabismo che mirò all’eliminazione fisica di Israele portarono alla catastrofe l’Egitto e spianarono la strada alla riesumazione del panislamismo, all’ascesa al potere degli estremisti islamici e all’esplosione del terrorismo islamico globalizzato.

I lunghi anni in collegio mi hanno anche consentito di conoscere bene e da vicino la realtà del cattolicesimo e delle donne e degli uomini che hanno dedicato la loro vita per servire Dio in seno alla Chiesa. Già da allora leggevo la Bibbia e i Vangeli ed ero particolarmente affascinato dalla figura umana e divina di Gesù. Ho avuto modo di assistere alla santa messa ed è anche capitato che, una sola volta, mi avvicinai all’altare e ricevetti la comunione. Fu un gesto che evidentemente segnalava la mia attrazione per il cristianesimo e la mia voglia di sentirmi parte della comunità religiosa cattolica.

Successivamente, al mio arrivo in Italia all’inizio degli anni Settanta tra i fumi delle rivolte studentesche e le difficoltà all’integrazione, ho vissuto la stagione dell’ateismo sventolato come fede, che tuttavia si fondava anch’esso sul primato dei valori assoluti e universali. Non sono mai stato indifferente alla presenza di Dio anche se solo ora sento che il Dio dell’Amore, della Fede e della Ragione si concilia pienamente con il patrimonio di valori che si radicano in me.

Caro direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia.

Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro, ma affronterò la mia sorte a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del papa che – sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio – ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo.

Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei paesi islamici.

Ebbene, oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani.

Dal canto mio, dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa.

In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei “casi” che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul "Corriere della Sera" il 3 settembre 2003 si intitolava: “Le nuove catacombe degli islamici convertiti”. Era un’inchiesta su alcuni neo-cristiani in Italia che denunciano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa.

Ebbene, mi auguro che dal gesto storico del papa e dalla mia testimonianza essi traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre delle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi.

Se non saremo in grado qui in Italia, culla del cattolicesimo, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà in altri paesi del mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura. Buona Pasqua a tutti.

23 marzo 2008

COME E PERCHE’ IL CORRIERE DELLA SERA HA “CENSURATO” MAGDI ALLAM

di Antonio Socci - Da “Libero” 27 marzo 2008

Perché il Corriere della sera ha “censurato” Magdi Allam? Dico “censurato” con le virgolette perché si tratta “solo” di un taglio (circa un terzo) del suo articolo. Tuttavia stupisce scoprire che quella “lettera aperta al Direttore” sul suo battesimo amministrato dal Papa (un fatto che sta facendo il giro del mondo e sta suscitando un vespaio di polemiche), domenica scorsa non è stata pubblicata “nella sua versione integrale”, ma “solo parzialmente”, come lo stesso Allam segnala nel suo sito.

Francamente sembra una gaffe storica, un incidente memorabile. Oltretutto la parte “omessa” è molto significativa (come vedremo) e avrebbe colorato diversamente l’evento. Cosa ha motivato la scelta del Corriere? Diranno che è stata solo una decisione tecnica, per la lunghezza dell’articolo. Ma è poco credibile perché normalmente sul Corriere escono articoli – assai meno importanti – di maggiore lunghezza. Faccio un esempio. L’articolo di Allam è lungo 7.800 battute. Se fosse stato pubblicato integrale sarebbe arrivato a 11.697.

Troppo? No. Proprio il 23 marzo, lo stesso giorno in cui non si è trovato lo spazio per pubblicare integralmente le 11 mila battute dell’eccezionale documento di Allam, il Corriere dedicava due intere pagine a un articolo di Alessandro Perissinotto su un delitto del 1958 per complessive 13.117 battute. Sinceramente non sembra che quel delitto (un uomo accoltellato nella bottega di un calzolaio) sia di grande attualità (è successo 50 anni fa) e sia oggi sulla bocca di tutti. Il caso non sta facendo il giro del mondo. Eppure ha avuto due pagine.

Nel filone delitti e misteri d’altronde il Corriere dedica abitualmente questo spazio a ciascun giallo (e sarebbe da studiare il motivo di questo dilagare della cronaca nera, anche in tv). Ricordo ancora due intere pagine riempite, il 22 dicembre scorso, da un articolo di Alessandro Piperno sul delitto di Perugia (in tutto 13.374 battute). Il pezzo non era precisamente di quelli che finiranno in un’antologia letteraria (per non dire delle ripetute paginate dedicate dal Corriere al volumetto di Sergio Luzzatto contro padre Pio).

Insomma, evocare l’eccessiva lunghezza per motivare il taglio dell’articolo del vicedirettore obiettivamente non è credibile. Anche perché la parte “omessa” è significativa e senza di essa la vicenda del giornalista assume un taglio diverso, che si presta a letture troppo politiche. Peraltro è curioso che il Corriere abbia chiamato due suoi editorialisti, Claudio Magris e Vittorio Messori (entrambi un po’ critici su quell’articolo di Allam), a commentare un testo uscito “parzialmente scremato”.

Ma cosa dice dunque la parte “censurata” dell’articolo reperibile sul sito del giornalista? E’ quella più personale e religiosa: senza di essa l’articolo ha accentuato l’aspetto politico e polemico. In quel brano oltretutto l’autore fa capire che la sua conversione non è avvenuta tanto (o soltanto) dall’islam al cattolicesimo, ma anche (e forse soprattutto) dall’ateismo occidentalizzante al cristianesimo.

Magdi racconta che la madre Safeya, musulmana praticante, “per il primo della serie di ‘casi’ che si riveleranno essere tutt’altro che fortuiti bensì parte integrante di un destino divino a cui tutti noi siamo assegnati – mi affidò (a quattro anni) alle cure amorevoli di suor Lavinia dell’Ordine dei Comboniani” (le religiose italiane erano presenti al Cairo con la loro opera).

Più avanti Magdi frequenta il collegio dei salesiani “che mi ha complessivamente trasmesso non solo la scienza del sapere ma soprattutto la coscienza dei valori”. Lì respira una mentalità per cui “la persona creata a immagine e somiglianza di Dio è chiamata a svolgere una missione che s’inserisce nel quadro di un disegno universale ed eterno volto alla risurrezione interiore dei singoli su questa terra e dell’insieme dell’umanità nel Giorno del Giudizio, che si fonda nella fede in Dio e nel primato dei valori, che si basa sul senso della responsabilità individuale e sul senso del dovere nei confronti della collettività”.

E’ grazie a questa “educazione cristiana” e a questa amicizia con dei religiosi cattolici “che io ho sempre ricercato la certezza della verità nei valori assoluti e universali”. Negli anni Sessanta sua madre lo avvicina all’Islam “che ho periodicamente praticato sul piano cultuale e a cui ho creduto sul piano spirituale secondo un’interpretazione che all’epoca corrispondeva sommariamente a una fede rispettosa della persona e tollerante nei confronti del prossimo”. Era l’Egitto di Nasser “dove prevaleva il principio laico della separazione della sfera religiosa da quella secolare”.

Infatti “del tutto laico era mio padre Mahmoud al pari di una maggioranza di egiziani che avevano l’Occidente come modello sul piano della libertà individuale, del costume sociale e delle mode culturali ed artistiche, anche se purtroppo il totalitarismo politico di Nasser e l’ideologia bellicosa del panarabismo che mirò all’eliminazione fisica di Israele portarono alla catastrofe l’Egitto e spianarono la strada alla riesumazione del panislamismo, all’ascesa al potere degli estremisti islamici e all’esplosione del terrorismo islamico globalizzato”.

Ma Magdi ricorda che gli anni passati fra i religiosi cattolici gli avevano fatto conoscere da vicino la Chiesa e sentire il fascino di Cristo: “Già da allora leggevo la Bibbia e i Vangeli ed ero particolarmente affascinato dalla figura umana e divina di Gesù. Ho avuto modo di assistere alla santa messa ed è anche capitato che, una sola volta, mi avvicinai all’altare e ricevetti la comunione. Fu un gesto che evidentemente segnalava la mia attrazione per il cristianesimo e la mia voglia di sentirmi parte della comunità religiosa cattolica”.

Ed ecco l’ultima confessione: “Successivamente, al mio arrivo in Italia all’inizio degli anni Settanta tra i fumi delle rivolte studentesche e le difficoltà all’integrazione, ho vissuto la stagione dell’ateismo sventolato come fede, che tuttavia si fondava anch’esso sul primato dei valori assoluti e universali. Non sono mai stato indifferente alla presenza di Dio anche se solo ora sento che il Dio dell’Amore, della Fede e della Ragione si concilia pienamente con il patrimonio di valori che si radicano in me”.

Questa pagina fa capire assai meglio il cammino di Magdi, che non è quello di un musulmano praticante, d’improvviso folgorato, che rinnega la precedente fede. E’ piuttosto la storia di un uomo del nostro tempo, che nella sua giovinezza ha vissuto forse più dentro le ideologie laiche occidentali, che non dentro l’arcaico mondo islamico. E poi ha scoperto Gesù.

Perché questo racconto è stato tagliato? E chi può “tagliare” in un giornale l’articolo di un vicedirettore? Forse questa pagina è stata ritenuta meno interessante perché non è politica, mentre resiste tuttora la mentalità sessantottina per cui “tutto è politica” e in fondo “la politica è tutto”. La religione interessa solo in quanto ha risvolti o ricadute politiche. Ma forse la vera notizia – più e prima dello scontro con l’Islam – è proprio questa capacità di attrazione di Gesù Cristo che anche oggi si manifesta pure con episodi clamorosi. Qualche mese fa c’è stata la conversione di Tony Blair. Nei giorni scorsi si è saputo che Mikhail Gorbacev è stato “sorpreso” mentre, nella Basilica di San Fracesco, ad Assisi, stava pregando intensamente con la figlia.

Certo se l’ultimo segretario del Pcus si fosse convertito quando era ancora al potere la notizia sarebbe stata esplosiva, ma il fatto in sé non resta stupefacente? E’ solo la punta dell’iceberg. Nonostante i limiti del mondo cattolico e un ceto ecclesiastico spesso scalcagnato, Cristo continua ad attrarre. Forse questo suo potere presente è più interessante da indagare – anche per i giornalisti laici – di quello dei politici. Forse è Lui la vera notizia?

Il commento di Nayed

"Un infelice episodio che riafferma la famigerata lezione di Ratisbona"

di Aref Ali Nayed

In quanto fede, l'islam è un dono divino. In quanto dono, è dato da Dio per grazia. Come una persona risponde a questo dono è materia profondamente intima tra questa persona e Dio.

L'anima di Magdi Allam è conosciuta nel massimo grado, e giudicata, dal suo Creatore. È Dio che lo giudicherà su come ha risposto al dono della fede. Egli è responsabile davanti al suo Creatore nei limiti della sua libertà e capacità. Il fatto che Allam abbia ricevuto la comunione cattolica in giovane età sotto l'influenza dei suoi primi maestri cattolici sembra indicare che egli fu cristianizzato da quando era bambino. Per effetto di questa sua iniziale educazione cattolica, risulta che egli non ha mai sostenuto o praticato le dottrine dell'islam.

Il caso di Allam ci richiama, una volta di più, la legittima preoccupazione di molti esperti musulmani circa l'abuso di fiducia che talvolta si ha quando dei genitori musulmani, a motivo di fattori economici o d'altro genere, mandano i loro figli in scuole cattoliche. Ciò che accade ai bambini, inclusi i musulmani, nelle scuole cattoliche è una materia che deve essere discussa ogni volta che si affronta la "dignità umana" nelle discussioni che verranno. L'uso delle scuole per far proselitismo è una delle questioni importanti da discutere.

Quanto alla deliberata e provocatoria decisione del Vaticano di battezzare Allam in un'occasione tanto speciale e in un modo così spettacolare, è sufficiente dire quanto segue:

1. È triste che l'atto intimo e personale di una conversione religiosa sia trasformato in un mezzo trionfalistico per marcare punti di vantaggio. Una simile strumentalizzazione di una persona e della sua conversione è contraria ai principi base di affermazione della dignità umana. In più, arriva nel momento più infelice. quando onesti esponenti musulmani e cattolici stanno lavorando con molto impegno per sanare le fratture tra le due comunità.

2. È triste che la particolare persona scelta per tale gesto altamente pubblico abbia una storia che ha generato, e continua a generare, discorsi di odio. Il messaggio base dell'ultimo articolo di Allam è identico al messaggio dell'imperatore bizantino citato dal papa nella sua famigerata lezione di Ratisbona. Non si va lontano dal vero nel vedere ciò come un altro modo di riaffermare il messaggio di Ratisbona (che il Vaticano insiste a dire che non fu capito). È ora importante per il Vaticano prendere le distanze dalle posizioni di Allam. O forse i musulmani devono assumere il battesimo di alta visibilità amministrato dal papa come un appoggio papale alle posizioni di Allam riguardo la natura dell'islam (che non a caso coincidono con il messaggio di Ratisbona)?

3. È triste che Benedetto XVI scelga di porre come messaggio fondamentale del suo discorso religioso durante la speciale celebrazione della Pasqua una contrapposizione quasi manichea tra i simboli delle "tenebre" e della "luce", dove le "tenebre" sono assegnate agli "altri" e la luce a "sé". Ed è pure triste che l'idea di "pace" espressa in tale discorso si riduca a portare gli "altri" nell'ovile attraverso il battesimo. Da parte di Roma, un discorso così totalitario è tutto tranne che d'aiuto.

L'intero spettacolo con la sua coreografia, il personaggio e i messaggi provoca sinceri interrogativi circa i motivi, le intenzioni e i piani di qualcuno dei consulenti del papa sull'islam. Ciò nondimeno, non lasceremo che questo infelice episodio ci distolga dal nostro sforzo di perseguire "Una Parola Comune" per il bene dell'umanità e della pace mondiale. La nostra base di dialogo non è una logica di reciprocità "occhio per occhio". È piuttosto una teologia compassionevole per "riparare i ponti tra noi", per favorire l’amore di Dio e del prossimo.

24 marzo 2008


Risposta a Nayed di Radio Vaticana.
"Ci sia permesso di manifestare a nostra volta dispiacere..."

di Federico Lombardi S.J.

Anzitutto, l’affermazione più significativa è senza dubbio la conferma della volontà del professor Aref Ali Nayed di continuare il dialogo di approfondimento e conoscenza reciproca fra musulmani e cristiani, e non mettere assolutamente in questione il cammino iniziato con la corrispondenza e i contatti stabiliti nell’ultimo anno e mezzo fra i saggi musulmani firmatari delle note lettere e il Vaticano, in particolare tramite il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Questo itinerario deve continuare, è di estrema importanza, non va interrotto, ed è prioritario rispetto ad episodi che possono essere oggetto di malintesi.

In secondo luogo, amministrare il battesimo ad una persona implica riconoscere che ha accolto la fede cristiana liberamente e sinceramente, nei suoi articoli fondamentali, espressi nella “professione di fede”. Questa viene pubblicamente proclamata in occasione del battesimo. Naturalmente ogni credente è libero di conservare le proprie idee su una vastissima gamma di questioni e di problemi in cui vi è fra i cristiani un legittimo pluralismo. Accogliere nella Chiesa un nuovo credente non significa evidentemente sposarne tutte le idee e le posizioni, in particolare su temi politici o sociali.

Il battesimo di Magdi Cristiano Allam è una buona occasione per ribadire espressamente questo principio fondamentale. Egli ha diritto di esprimere le proprie idee, che rimangono idee personali, senza evidentemente diventare in alcun modo espressione ufficiale delle posizioni del papa o della Santa Sede.

Quanto al dibattito sulla lezione del papa a Ratisbona, le spiegazioni sulla sua corretta interpretazione nelle intenzioni del papa sono state date da tempo e non vi è motivo di rimetterle in questione. Allo stesso tempo alcuni dei temi allora toccati, come il rapporto fra fede e ragione, fra religione e violenza, rimangono naturalmente oggetto di riflessione e dibattito e di posizioni diverse, dato che si riferiscono a problemi che non possono venire risolti una volta per tutte.

In terzo luogo, la liturgia della Veglia Pasquale è stata celebrata come ogni anno, e la simbologia della luce e dell’oscurità ne fa parte da sempre. Certamente è una liturgia solenne e la celebrazione in San Pietro da parte del papa è una occasione molto particolare. Ma accusare di “manicheismo” la spiegazione dei simboli liturgici da parte del papa – che egli compie ogni volta e in cui è maestro – manifesta forse piuttosto una non comprensione della liturgia cattolica che una critica pertinente al discorso di Benedetto XVI.

Infine, ci sia permesso di manifestare a nostra volta dispiacere per quanto il prof. Nayed dice circa l’educazione nelle scuole cristiane nei paesi a maggioranza musulmana, obiettando sul rischio di proselitismo. Ci sembra che la grandissima tradizione di impegno educativo della Chiesa cattolica anche nei paesi a maggioranza non cristiana (non solo in Egitto, ma anche in India, in Giappone, ecc.), dove da moltissimo tempo la gran maggioranza degli studenti delle scuole e università cattoliche sono non cristiani e lo sono tranquillamente rimasti, pur con vera stima per la educazione ricevuta, meriti ben altro apprezzamento. Non pensiamo che l’accusa di mancanza di rispetto per la dignità e la libertà della persona umana sia meritata oggi da parte della Chiesa. Ben altre sono le violazioni di essa a cui dare attenzione prioritaria. E forse anche per questo il papa si è assunto il rischio di questo battesimo: affermare la libertà di scelta religiosa conseguente alla dignità della persona umana.

In ogni caso, il professor Aref Ali Nayed è un interlocutore per il quale conserviamo altissima stima e con cui vale sempre la pena di confrontarsi lealmente. Ciò permette di aver fiducia nella prosecuzione del dialogo.

Radio Vaticana, 27 marzo 2008

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