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I musulmani a scuola di democrazia. La tv fa da maestra.

di Sandro Magister -http://chiesa.espresso.repubblica.it -ROMA, 27 luglio 2009

Mentre in Vaticano si discute se la democrazia sia o no compatibile con l'islam, sui canali televisivi arabi trionfano i reality show e le soap opera. Una grande inchiesta ne analizza i messaggi. E le ambiguità 

Proprio mentre la Gran Bretagna dà via libera sul proprio territorio, in nome del multiculturalismo, a un'ottantina di tribunali islamici alternativi che come regola adottano non la Common Law britannica ma la sharia – con tutto ciò che essa comporta in materia di poligamia, di ripudio, di sottomissione della donna e di illibertà religiosa – in Vaticano si discute se la democrazia sia o no compatibile con l'islam.

La notizia che viene dalla Gran Bretagna darebbe ragione ai pessimisti. Ma in Vaticano prevale una visione positiva circa la possibilità che gli Stati musulmani evolvano in democrazie liberali compiute, con il riconoscimento delle libertà fondamentali e della parità dei diritti tra uomo e donna.

È ciò che si desume dall'articolo che apre l'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma che è stampata con il previo controllo della segreteria di Stato vaticana. L'articolo ha per autore il gesuita Giovanni Sale, storico, e per titolo: "Islam e democrazia".  Dopo aver premesso che oggi gli Stati islamici nei quali si intravedano elementi di democrazia sono soltanto due, il Libano e la Turchia, padre Sale passa ordinatamente in rassegna le tesi che in Occidente si contendono il campo:
"Su questa delicata materia gli analisti occidentali si dividono in tre categorie: i cosiddetti ottimisti, i quali al loro interno si differenziano in 'gradualisti' e 'realisti' (ovvero assertori delle esigenze della Realpolitik sul piano internazionale), i pessimisti e gli scettico-possibilisti".

A giudizio di padre Sale, gli ottimisti gradualisti hanno il loro esponente di punta in Bernard Lewis, storico a Princeton.
Gli ottimisti realisti sono i neoconservatori venuti alla ribalta con la presidenza Bush, decisi a impiantare la democrazia nei paesi musulmani ma pronti anche ad allearsi con regimi dispotici amici. I pessimisti hanno il loro vate in Samuel Hungtington, secondo il quale tra il mondo musulmano e la democrazia c'è un'antinomia irriducibile, che produce scontro di civiltà.
Gli scettico-possibilisti, infine, sostengono che la democrazia non deve essere impiantata nei paesi arabi dall'esterno ma solo può nascere e crescere dentro di essi. A questa evoluzione si oppongono però molti ostacoli, uno dei quali è proprio il fattore religioso. Nel tirare le conclusioni, l'articolo de "La Civiltà Cattolica" respinge sia la tesi dello scontro di civiltà, sia quella neoconservatrice dell'esportazione della democrazia anche con le armi.

Mostra invece di condividere sia la tesi ottimista gradualista di Bernard Lewis, sia l'avvertenza degli scettico-possibilisti sugli ostacoli che esigono di essere superati, in primo luogo quello religioso:
"Islam e democrazia possono diventare compatibili a condizione che l'elemento religioso, con tutta la sua ricchezza di contenuti e di esperienze, funga da semplice punto di riferimento etico e morale all'azione dell'interprete della scienza sociale, senza pretendere di dettare le norme allo Stato e alla politica".

Nell'articolo, padre Sale dà rilievo all'analisi che Daniel Pipes, consulente della Casa Bianca negli anni di Bush, fa del mondo islamico. In esso Pipes vede presenti, accanto a un esteso bacino di fondamentalisti radicali, una fascia ancora più larga di musulmani avversi all'America e all'Occidente più per effetto dell'ambiente sociale in cui vivono che per convinzione radicata, e un'ulteriore fascia di musulmani "moderati" non ostili ai valori occidentali. Pipes – che pure è considerato un "falco" – sottolinea l'importanza di "un impegno culturale e civile che incoraggi gli islamici moderati a lavorare per un profondo mutamento democratico e civile delle società islamiche".

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Ma mentre in Occidente e ai vertici della Chiesa cattolica si discetta sulla possibile evoluzione democratica dell'islam, che cosa accade dentro il mondo musulmano? Quale immagine hanno gli islamici dell'Occidente? Come lo guardano?
Una risposta di grande interesse a questa domanda è data da una ricerca condotta recentemente sui programmi trasmessi dalle reti tv dei paesi arabi.

La ricerca, molto approfondita, è stata coordinata da Donatella Della Ratta con la collaborazione di Roberta Nunnari e Naman Tarcha. I risultati sono in un volume pubblicato in Italia da Gangemi Editore, col titolo: "Media arabi e cultura nel Mediterraneo". Le sorprese sono parecchie e un'indagine del 2002 della Gallup le aveva già fatte presagire. In quell'inchiesta gli spettatori di Al Jazeera – nonostante l'orientamento antiamericano di questa celebre emittente – si rivelavano i più favorevoli agli stili di vita occidentali, mentre i più avversi risultavano essere gli spettatori delle tv di intrattenimento, cioè proprio quelle con programmi e reality show di stampo occidentale.

Dei circa cinquecento canali televisivi arabi ora indagati da Donatella Della Ratta e collaboratori, i più liberi da controlli statali sono quelli libanesi, captati in molti altri paesi. In essi c'è di tutto: dai programmi ferocemente avversi a Stati Uniti e Israele di Al Manar, l'emittente di Hezbollah, ai reality show di LBC, la prima rete araba a mandare in onda programmi tipo "Star Academy", "Survivor" e "La Fattoria". Il prototipo mondiale dei reality show, il "Grande Fratello", messo in onda qualche anno fa su un canale del Bahrein, è stato cancellato dopo la prima puntata, travolto dalle proteste. Ma gli altri reality hanno incontrato un crescente successo. Con inaspettati riflessi politici. 

Quando ad esempio il semifinalista libanese di "Star Academy" fu eliminato a vantaggio dell'avversario siriano, Beirut fu invasa da manifestazioni di protesta contro la Siria. E quando la finale di "Superstar" vide l'uno contro l'altro i concorrenti della Siria e della Giordania, le compagnie telefoniche statali di questi due paesi gareggiarono nell'elargire sconti e bonus ai rispettivi abbonati, perché telefonassero a sostegno del proprio "eroe nazionale".

Secondo alcuni analisti arabi, il voto via cellulare nei reality show "rappresenta la prima forma reale di democrazia partecipativa nel mondo arabo, una prova di libere elezioni". Ma c'è dell'altro. Il reality "Star Academy" ha generato un duplicato satirico dal titolo "Irhab Academy", accademia del terrorismo. Qui a sfidarsi sono attori che rappresentano in forma grottesca diversi profili di terrorista, ciascuno con la sua diabolica specialità. L'autore è Abdallah Bijiad Al Otibi, un ex estremista dedicatosi alla battaglia televisiva contro il terrorismo.

Altri programmi televisivi di grande successo nei paesi arabi sono i musalsalat, le fiction seriali. La discussione sui problemi più scottanti, che è totalmente bandita dai telegiornali ufficiali, trova spazio nelle trame delle fiction: dalla poligamia al divorzio, dalla violenza sulle donne all'omosessualità, dal terrorismo al rapporto con l'Occidente.

La Siria primeggia nella loro produzione. Uno degli autori più importanti è Najdat Ismael Anzour, figlio del primo regista di cinema muto siriano. Una sua fiction seriale trasmessa durante il mese di Ramadan del 2007 – il mese con il maggior numero di spettatori – ha toccato la questione delle vignette satiriche su Maometto. A un certo punto uno dei protagonisti dice a un suo interlocutore, fortemente scandalizzato dalle vignette:
"Ti prego, dimmi cosa offende di più la nostra religione: uno straniero che disegna caricature banali come queste? O un musulmano che si fa saltare con una cintura esplosiva in mezzo a gente innocente?".

Naturalmente non va trascurato che vi sono fiction ferocemente ostili all'Occidente e a Israele. Così come non va dimenticato che anche gli spot pubblicitari fanno la loro parte per immettere modelli occidentali. Ha fatto colpo quello della Coca Cola, molto sexy, molto ammiccante, con protagonista Nancy Ajram, la pop star araba più pagata e più discussa del momento.

A giudizio di alcuni analisti, tutto ciò evidenzia che un processo di secolarizzazione sta investendo il mondo musulmano. Cadono i tabù, circolano le idee, si differenziano gli stili di vita, si emulano i modelli occidentali. Tuttavia a ciò non corrisponde un reale rinnovamento della società civile, un suo sviluppo in direzione pluralista, una sua democratizzazione.
Una "via islamica alla democrazia" è possibile: così conclude l'articolo de "La Civiltà Cattolica". Ma "una via tutta da studiare e da realizzare".

Il libro:- "Media arabi e cultura nel Mediterrraneo", a cura di Ornella Milella e Domenico Nunnari, Gangemi Editore, Roma, 2009.
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