SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
«Divorziati e risposati perché no e quando sì alla Comunione»
Separati e divorziati possono fare la Comunione? E se no, perché?
fonte: www.avvenire.it di Mimmo Muolo

Sono le domande che molti si fanno di fronte a una norma della Chiesa cattolica che spesso ha suscitato, anche tra i credenti, non pochi dubbi e dolorose lacerazioni di coscienza. Quando poi alcuni casi di cronaca ripropongono il problema a dimensione mediatica, la questione torna di grande attualità.

Avvenire ha girato le domande più diffuse a monsignor Eugenio Zanetti, patrono stabile presso il Tribunale ecclesiastico regionale lombardo e responsabile del gruppo «La Casa», che nella diocesi di Bergamo fa accompagnamento spirituale e consulenza canonica per persone separate, divorziate o risposate.

Monsignor Zanetti, qual è esattamente la posizione dei separati e dei divorziati di fronte all’accesso ai sacramenti?

È quella descritta molto bene nel Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia e in altri documenti. Occorre distinguere fra coloro che si trovano in una situazione di «separazione», di «divorzio», di «nuova unione». Per i separati (che non hanno in corso una convivenza), soprattutto per chi ha subito la separazione, di per sé non ci sono impedimenti oggettivi ad accedere a Confessione e Comunione. Tuttavia, se un separato ha avuto grosse responsabilità e magari ha fatto del male all’altro coniuge o ai figli, questi per accedere fruttuosamente ai sacramenti dovrà fare un cammino di pentimento e, per quanto possibile, di riparazione del male fatto. Inoltre non vengono meno i suoi doveri nei confronti dei figli. Non bisogna dimenticare che i sacramenti non sono degli atti magici, ma comportano degli autentici cammini di conversione e di fede. Se una persona separata, pur non convivendo, vivesse dissolutamente, non sarebbe nelle condizioni di poter ricevere i sacramenti.

E per chi, dopo la separazione, si trova ora divorziato, che cosa succede?

Parliamo per ora dei divorziati che non hanno avviato una nuova convivenza o un matrimonio civile. Per la Chiesa il matrimonio, una volta celebrato in modo valido, è per sempre, cioè non può esser cancellato da nessuna potestà umana. Per questo, se in certe occasioni e a certe condizioni la Chiesa può riconoscere la legittimità della separazione per evitare mali maggiori, ritiene invece negativo il ricorso al divorzio. Quindi, se una persona è ricorsa al divorzio volendo cancellare definitivamente il suo matrimonio e magari, così facendo, ha causato ulteriore male e dolore all’altro coniuge o ai figli, per accedere ai sacramenti essa dovrà attestare un sincero pentimento e, per quanto possibile, attuare qualche gesto riparatore. Per chi, invece, ha subito il divorzio o ha dovuto accedervi per tutelare legittimi interessi propri o dei figli (senza tuttavia disprezzo verso il matrimonio, ritenuto comunque ancora in essere davanti a Dio e alla Chiesa), non vi sono impedimenti oggettivi per accedere ai sacramenti.

Dunque qual è l’impedimento effettivo: il divorzio in sé o la convivenza con altra persona successiva al divorzio?

Per separati o divorziati ciò che impedisce l’accesso ai sacramenti, oltre a eventuali condizioni morali soggettive non adeguate, è il fatto oggettivo di aver avviato una nuova convivenza o un matrimonio civile. È questa scelta, ulteriore rispetto alla separazione o al divorzio, che pone in una condizione in grave contrasto con il Vangelo del Signore riguardante l’amore fra un uomo e una donna sigillato con il matrimonio. L’insegnamento cristiano che la Chiesa cattolica continua a trasmettere propone agli uomini una scelta matrimoniale unica e indissolubile, fedele e aperta alla vita, per il bene dei coniugi e quello dei figli: un amore che riflette e testimonia la stessa qualità di amore che Dio ha verso gli uomini e che trova nel rapporto di Gesù con la Chiesa il suo riferimento e la sua mediazione ecclesiale. Il matrimonio religioso è una realtà incancellabile, proprio come incancellabile ed eterno è l’amore divino per l’umanità. Chi avvia una nuova unione contraddice con la sua scelta quanto indicato dal Signore e quindi si pone in una condizione oggettiva cosiddetta irregolare. Ed è proprio questa condizione irregolare che non pone i presupposti sufficienti per accedere ai sacramenti. Ciò però non significa emettere un giudizio sulle coscienze, dove solo Dio vede. Inoltre, il fatto di non poter accedere ai sacramenti non è assolutamente un indice di esclusione dalla vita della Chiesa; anche i divorziati risposati possono continuare a fare cammini di fede che li rendano partecipi e attivi nella comunità ecclesiale.

Qualcuno si chiede: perché non può comunicarsi neanche il coniuge che, pur non avendo alle spalle un matrimonio religioso, ha sposato civilmente una persona divorziata?

L’impedimento per accedere ai sacramenti è, come già detto, la scelta di avviare un’unione di tipo coniugale non fondata sul matrimonio religioso. Quindi le persone non sposate che decidono di avviare una convivenza o un matrimonio civile con persona separata o divorziata sanno che il loro partner è già legato ad un matrimonio e che quindi non potranno realizzare con esso un matrimonio cristiano; e tuttavia decidono di avviare un’unione con lui. La Chiesa, posta davanti a questa decisione, pur rispettando le persone, deve tuttavia esercitare un servizio di verità, che è anche un atto di carità, nel richiamare queste persone alle conseguenze della loro scelta. Ma anche queste persone possono continuare a fare un cammino nella Chiesa.

Ma perché l’omicida pentito e regolarmente confessato può comunicarsi e il divorziato risposato che eventualmente si riveli ottimo marito e buon genitore non può farlo?

Il giudizio sul fatto che una persona sia nelle condizioni oggettive di accedere o meno ai sacramenti non è da intendersi come un giudizio sulla sua coscienza: giudizio questo che spetta solo a Dio. Perciò, soffermarsi a fare confronti con gli altri non giova; al contrario dovremmo sempre avere a cuore, oltre alla nostra salvezza, anche quella degli altri, come Gesù ci insegna.

Non dobbiamo allora scandalizzarci se un nostro fratello, che ha commesso anche gravi delitti come per esempio l’omicidio, compiendo un autentico cammino di pentimento, revisione e riparazione, riceve il perdono di Dio anche attraverso la Confessione. Anche a chi vive in una situazione matrimoniale irregolare Gesù propone un cammino di conversione; e certamente in questo cammino ha il suo valore un serio impegno nel voler bene alle persone vicine, nell’educare bene i figli, nel partecipare alla vita della comunità, nell’essere attivo nella carità e nell’impegno sociale.

Quanto poi ai mezzi spirituali che la Chiesa è chiamata ad amministrare, coloro che vivono in queste situazioni matrimoniali potranno usufruirne nella misura in cui le loro scelte di vita lo permettono. Se essi decidono di non modificare il loro stile di vita di indole coniugale, contrario quindi all’insegnamento cristiano, non potranno accedere ai sacramenti, poiché i sacramenti per essere ricevuti con frutto esigono appunto il proposito di vivere secondo tale insegnamento. Per loro però ci saranno altri mezzi e cammini penitenziali e di comunione che, sia pur non arrivando attualmente alla pienezza sacramentale, comunque tendono all’incontro con la misericordia e l’amore di Dio.

Che cosa succede se il divorziato risposato cessa la convivenza con la persona sposata in seconde nozze civili? Inoltre può accostarsi alla comunione una persona che pur trovandosi nelle condizioni della domanda precedente abbia notoriamente relazioni extraconiugali o si trovi in una situazione di notorietà personale tale da suscitare scandalo nella comunità ecclesiale?

Non dovremmo mai porci di fronte ai nostri fratelli con un atteggiamento giudicante o condannante; questo, anche perché dall’esterno non sempre è possibile conoscere e valutare la complessità della vita di una persona. Ciò non significa però lasciare tutto al giudizio e alle decisioni private o individualistiche; al contrario tutti devono confrontasi con l’insegnamento della Chiesa ed anche affidarsi all’accompagnamento di sapienti guide spirituali. Se quindi, a un certo punto chi vive una situazione matrimoniale irregolare decide di continuare a vivere insieme, ma astenendosi dai rapporti sessuali; o se cessa la convivenza, c’è separazione o divorzio dal matrimonio civile, o morte di uno dei partner, viene meno un impedimento oggettivo per accedere ai sacramenti.

Tuttavia, occorrerà valutare la globalità della vita morale e religiosa della persona, l’effettivo cammino di conversione in atto, così che l’essere riammessi ai sacramenti si inserisca in un autentico cammino di fede e in una rispettosa vita ecclesiale. In tutto ciò la Chiesa ha a cuore sia il singolo, sia l’attenzione ad evitare che il cammino di questi sia di scandalo per gli altri fedeli. Questo vale per tutti, anche (e forse con maggiore attenzione) per coloro che ricoprono un particolare ruolo pubblico.

Un confessore può dare l'assoluzione a un penitente che, essendo sposato religiosamente, ha contratto una seconda unione dopo il divorzio?

di Lorenzo Bertocchi 14-11-2014 lanuovabq.it

Sul blog della rivista cattolica francese L'Homme Nouveau  viene pubblicata la risposta che la Congregazione della Dottrina della Fede   ha inviato, lo scorso 22 ottobre 2014, a un prete francese. Firmata dal Segretario della congregazione, monsignor Luis Ladaria, sj, questa risposta riguarda un tema di grande attualità: un confessore può dare l'assoluzione a un penitente che, essendo sposato religiosamente, ha contratto una seconda unione dopo il divorzio?

La domanda posta dal sacerdote francese è cruciale, basti pensare alla discussione che ha animato il recente Sinodo sull'accesso al sacramento dell'eucaristia da parte dei divorziati risposati. L'abbé Claude Barthe, commentando il fatto, fa giustamente notare che questa domanda ha il pregio di spostare la questione a monte. Perché, ovviamente, il sacramento della penitenza precede quello dell'eucaristia, a meno che non si voglia derubricare il peccato dalla dottrina cattolica. Di seguito riportiamo interamente una nostra traduzione della risposta della congregazione della Dottrina della Fede (clicca qui). 

«Non possiamo escludere a priori i fedeli divorziati risposati da un cammino penitenziale che porti alla riconciliazione sacramentale con Dio e quindi alla comunione eucaristica. Il Papa Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (n°84) ha considerato questa possibilità e ne ha precisato le condizioni: “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, “assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”.  (cfr. anche Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n°29).

Il cammino penitenziale da intraprendere deve considerare i seguenti elementi: 1) verificare la validità del matrimonio religioso nel rispetto della verità, evitando di dare l'impressione di una forma di “divorzio cattolico”; 2) vedere eventualmente se le persone, con l'aiuto della grazia, possono separarsi dai loro nuovi partner e riconciliarsi con quelli da cui si sono separati; 3) invitare le persone divorziate risposate, che per gravi motivi (per esempio i bambini) non possono separarsi dai loro congiunti, a vivere come “fratello e sorella”.

In ogni caso l'assoluzione può essere concessa solo se c'è la certezza di una vera contrizione, vale a dire “il dolore interiore e la riprovazione del peccato che è stato commesso, con la risoluzione di non peccare più” (cfr. Concilio di Trento, Dottrina sul sacramento della Penitenza, c.4). In questa linea non si può assolvere validamente un divorziato risposato che non prenda la ferma risoluzione di “non peccare più” e quindi si astenga dagli atti proprio dei coniugi, e facendo in questo senso tutto quello che è in suo potere.”»

Ogni commento appare superfluo, la risposta è ineccepibile. Con il pregio della chiarezza. Troppo dura? Non sembra, anche perché, ricordiamolo, è la risposta a una domanda precisa di un sacerdote che chiede come deve comportarsi in una certa situazione. Nel contesto della discussione sinodale sull'ammissione all'eucaristia dei divorziati risposati qui si piantano paletti ben fermi e inamovibili: attraverso un cammino penitenziale che prevede passaggi precisi (vedi i punti 1, 2 e 3 della risposta firmata da monsignor Ladaria), il penitente può essere assolto, e quindi accedere alla comunione eucaristica, solo dopo aver accertato il dolore e la riprovazione per la situazione peccaminosa di divorziato-risposato, con il proposito di “non peccare più”.

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