SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Ancora sulla tradizione e sul tradimento.

di Sandro Magister http://chiesa.espresso.repubblica.it/

Chi tradisce la tradizione. La grande disputa

ROMA, 5 maggio 2011 – Nell'omelia per la beatificazione di Karol Wojtyla, Benedetto XVI ha esaltato "la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo timoniere, il servo di Dio papa Paolo VI". Per subito dopo indicare nel beato Giovanni Paolo II il papa che volle "affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo": Karol Wojtyla beato. "Guarderanno colui che hanno trafitto"

L'immagine del "timoniere" applicata al Concilio è ricorrente, in Joseph Ratzinger. Un anno fa – in una sua memorabile catechesi del mercoledì dedicata a un'analisi della tempesta che ha accompagnato e seguito il Vaticano II – rese "grazie a Dio" per quei "timonieri saggi della barca di Pietro", Paolo VI e Giovanni Paolo II, che "da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di grazia": Come pilotare la Chiesa nella tempesta. Una lezione

Novità e continuità della Chiesa. È questa la chiave di lettura del Concilio su cui Benedetto XVI insiste senza posa: come l'unica che possa dar ragione delle variazioni introdotte dal Vaticano II. È una "ermeneutica della riforma nella continuità" – parole di papa Ratzinger – che è rifiutata in blocco dai lefebvriani, ma che neppure soddisfa alcuni pensatori dell'area tradizionalista, sempre più delusi dall'attuale papa....

Uno dei punti sui quali il Concilio è caduto in errore, a giudizio di questi pensatori, è la libertà di religione affermata dalla dichiarazione "Dignitatis humanae". Il più schietto nel denunciare lo strappo è l'anziano e stimato teologo Brunero Gherardini. In un suo libro di pochi mesi fa dal titolo in latino "Quæcumque dixero vobis", scrive senza mezzi termini che la "Dignitatis humanae" ha "rinnegato" e "ribaltato" l'insegnamento dei precedenti papi. E non in "decisioni storiche" di tipo pratico, ma in materia di fede.

..il filosofo Martin Rhonheimer ... invece dà ragione alla distinzione ratzingeriana tra le "decisioni storiche" che la Chiesa ha modificato, e "la sua intima natura e la sua vera identità" che la Chiesa ha mantenuto: Chi tradisce la tradizione. La grande disputa

La discussione riaccesa dai tradizionalisti procede però a più ampio raggio, non solo sul tema della libertà religiosa, che tra l'altro è stato oggetto tra il 29 aprile e il 4 maggio di una sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, aperta da un messaggio del papa. Ecco qui di seguito tre nuovi interventi, il primo e il terzo scritti espressamente per www.chiesa.

1. Il primo è del professor Roberto de Mattei, storico, fresco autore di "una storia mai scritta" del Concilio Vaticano II che ne ricostruisce e mette in evidenza gli elementi di rottura col precedente magistero della Chiesa. A de Mattei aveva replicato su "L'Osservatore Romano", con una recensione molto critica, l'arcivescovo Agostino Marchetto: > Ma una storia non ideologica si può scrivere
E qui de Mattei reagisce, non solo a "L'Osservatore Romano" ma anche ad altre critiche di parte cattolica. Ed è la prima volta che interviene in difesa del suo libro in forma così ampia e argomentata.


2. Il secondo intervento riportato più sotto è di una rivista americana tradizionalista, "Remnant", firmato il 18 aprile da un suo "columnist", David Werling, in reazione a una nota di Francesco Arzillo che prendeva le difese dell'"ermeneutica della riforma nella continuità" propugnata da Benedetto XVI : I grandi delusi da papa Benedetto

3. Il terzo intervento è in replica a "Remnant" e a sostegno degli argomenti di Arzillo, oltre che, indirettamente, di papa Ratzinger. Il suo autore, Giovanni Cavalcoli, frate domenicano e teologo, insegna alla facoltà teologica di Bologna.

1.

"UN CONCILIO PUÒ ANCHE COMMETTERE DEGLI ERRORI"
di Roberto de Mattei

Il discorso alla curia romana di Benedetto XVI, il 22 dicembre del 2005, ha aperto un dibattito sul Concilio Vaticano II di cui sono recente espressione i libri di mons. Brunero Gherardini e l’importante convegno dei Francescani dell’Immacolata, svoltosi a Roma tra il 16 e il 18 dicembre 2010, oltre al mio studio, "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta" (Lindau, Torino, 2010).

L’invito del papa a interpretare i documenti del Vaticano II secondo una “ermeneutica della continuità” ha offerto infatti un decisivo stimolo a sviluppare il dibattito sul Concilio in maniera diversa da come ha fatto la "scuola di Bologna", che lo ha presentato in termini di frattura e discontinuità con la tradizione bimillenaria della Chiesa.

Avrei sperato che i nostri contributi, mossi solo da un sincero desiderio di rispondere all’appello del Santo Padre, fossero accolti se non con entusiasmo, almeno con interesse, che fossero scientificamente discussi e non aprioristicamente respinti. Per quanto riguarda il mio libro, ad esempio, mi sarei atteso una seria discussione storica su riviste specializzate.

Su giornali legati alle istituzioni cattoliche mi rispondono, invece, Massimo Introvigne, partner dello Studio legale Jacobacci Associati, sociologo delle minoranze religiose, oggi rappresentante del governo italiano presso l’OCSE, e l’arcivescovo Agostino Marchetto, trent'anni di carriera diplomatica alle spalle, e poi, per quasi dieci anni, in prima fila nella difesa di immigrati, zingari, clandestini, come segretario per la pastorale dei migranti.

Né mons. Marchetto, né il dott. Introvigne, malgrado i loro meriti ecclesiastici o professionali, hanno probabilmente avuto tempo di frequentare biblioteche o archivi storici; nessuno dei due è storico di professione. Ed entrambi, nei loro articoli – pubblicati rispettivamente su “Avvenire” dell’1 dicembre 2010 e su “L’Osservatore Romano” del 14 aprile 2011 – rifiutano il mio libro da un punto di vista non storico, ma ideologico.

Introvigne definisce il mio libro “una vera summa delle tesi anticonciliariste”, che “ripropone purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa”. Marchetto lo definisce una storia “ideologica”, “di tendenza estremista”, “polarizzata e di parte” come quella orchestrata dalla scuola di Bologna, anche se di segno contrario.

La critica di Marchetto e Introvigne sembra avere un solo fine: chiudere anticipatamente quel dibattito che Benedetto XVI ha aperto e invitato a sviluppare.

L’etichetta di tradizionalista o anticonciliarista è utilizzata in maniera analoga a quella di “fascista” con cui, negli anni Settanta, si pretendeva tappare la bocca ad ogni anticomunista. Allora il mito dominante negli ambienti politici era quello della Resistenza, oggi, negli ambienti ecclesiastici, è quello del Concilio Vaticano II.

La Resistenza, scriveva allora il filosofo Augusto Del Noce, cessa di essere un elemento da situare nella storia per diventare la misura della valutazione della storia. Oggi si ha l’impressione che il Concilio Vaticano II sia un evento che cessa di essere un elemento da situare nella Tradizione cattolica per diventare la misura stessa della valutazione della Tradizione.

Io credo, al contrario, che si possa discutere sul piano storico del Concilio Vaticano II in maniera non diversa da quanto hanno sempre fatto gli storici della Chiesa.

Rivolgendosi ad essi, nel 1889, Leone XIII scriveva che “coloro che la studiano non debbono mai perdere di vista che essa rinchiude un insieme di fatti dogmatici, che si impongono alla fede, e che nessuno può mettere in dubbio [...]. Nondimeno, poiché la Chiesa, che continua tra gli uomini la vita del Verbo Incarnato, si compone di un elemento divino e di un elemento umano, quest’ultimo deve essere esposto dai maestri e studiato dai discepoli con una grande probità. Come è detto nel libro di Giobbe: ‘Iddio ha forse bisogno delle nostre menzogne?’ (Gb 13, 7)”.

“Lo storico della Chiesa – continua Leone XIII – sarà tanto più efficace nel farne rilevare la sua origine divina, superiore ad ogni concetto di ordine puramente terrestre e naturale, quanto più sarà stato leale nel non dissimulare nulla delle sofferenze che gli errori dei suoi figli, e alle volte anche dei suoi ministri, hanno causato nel corso dei secoli a questa Sposa di Cristo. Studiata così la storia della Chiesa anche da sola costituisce una magnifica e convincente dimostrazione della verità e della discontinuità del cristianesimo”.

La Chiesa è indefettibile e tuttavia, nella sua parte umana, può commettere degli errori e questi errori, queste sofferenze, possono essere provocate, dice Leone XIII, dai suoi figli e anche dai suoi ministri. Ma ciò nulla toglie alla grandezza e alla indefettibilità della Chiesa. La Chiesa, disse Leone XIII, aprendo agli studiosi gli archivi vaticani, non teme la verità.

Una verità che lo storico cerca sul piano dei fatti, mentre il teologo la cerca in quello dei princìpi: ma non esiste una verità storica che si possa contrapporre ad una verità teologica. C’è un’unica verità, che è Cristo stesso, fondatore e capo del Corpo Mistico che è la Chiesa; e la verità sulla Chiesa è la verità su Cristo e di Cristo, nell’incontro con lui, che è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre.

Il mio libro nasce da un profondo amore alla Chiesa, al suo magistero e alle sue istituzioni, "in primis" al papato. E il mio amore per il papato vuol essere tanto grande da non fermarsi al papa attuale, Benedetto XVI, a cui mi sento profondamente legato, ma cerca dietro l’uomo l’istituzione che egli rappresenta. È un amore che vuole abbracciare con questo papa tutti i papi nella loro continuità storica e ideale, perché il papa per un cattolico non è un uomo, è un’istituzione bimillenaria; non è quel singolo papa, ma è il papato, è la serie ininterrotta dei vicari di Cristo, da san Pietro al regnante pontefice.

Ebbene, non c’è miglior modo di esprimere il proprio attaccamento al papa e alla Chiesa che quello di servire, in tutti i campi, la verità, perché non esiste nessuna verità, storica, scientifica, politica, filosofica che possa mai essere impugnata contro la Chiesa. E dunque non dobbiamo temere di dire la verità sul Concilio Vaticano II, ventunesimo della storia della Chiesa...


Il testo integrale di Roberto de Mattei: "Un Concilio può anche commettere degli errori"
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2.
TRADITIONALIST ATTACKED... AGAIN. A RESPONSE TO FRANCESCO ARZILLO'S ESSAY ON CONTINUITY
by David Werling

Sandro Magister recently posted an essay by Franceseco Arzillo on his blog www.chiesa. Arzillo was writing in response to traditionalist concerns over Pope Benedict XVI’s “hermeneutic of continuity”, particularly from traditionalists such as Roberto de Mattei, Brunero Gherardini, and Enrico Maria Radaelli.

Arzillo states that he is primarily concerned “that the question of the hermeneutic of continuity remains the subject of considerable misunderstanding”, and with the polemics that have emerged, an “ecclesial dialectic” that “tends to take on forms and methods that are more political than theological, and end up reproducing within the Church the right-left dialectic proper to modern politics”. Arzillo styles this right-left dialectic as progressives (those who see Vatican II as a break from the past entirely) versus traditionalists (those who question the whole of Vatican II and are not obedient to the present Magisterium).

Put aside for the moment that this is a gross oversimplification, equally insulting to both progressives and traditionalists alike, if Arzillo were really concerned about this unhealthy dialectic, we could expect an equal degree of criticism for both “camps”. However, Arzillo dismisses the progressives with one sentence:

"Much has been said and written – and rightly so – against those who persist in seeing in Vatican Council II the new beginning that is claimed to put an end to the period characterized by the 'Constantinian form' of the Church."

The rest of his piece is directed at traditionalists, which is really what Arzillo is concerned about. Arzillo gets right to it...


Il testo integrale di David Werling: Traditionalist Attacked... Again. A Response to Francesco Arzillo’s Essay On Continuity

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3.

RISPOSTA AI TRADIZIONALISTI DI "REMNANT", IN DIFESA DI ARZILLO
di p. Giovanni Cavalcoli OP 

Cari amici di "Remnant",

sono un frate domenicano docente di teologia sistematica nella facoltà teologica di Bologna, studioso delle dottrine del Concilio Vaticano II da quarant’anni.

Ho letto la vostra critica all’articolo di Francesco Arzillo su www.chiesa e, dopo aver ottenuto il suo consenso, mi piace prendere cavallerescamente le sue difese, in un fraterno dibattito all’interno della nostra comune fede cattolica e volontà di obbedire al magistero della Chiesa e al papa.

Mi fermo solo su tre punti del vostro discorso che mi sembrano centrali. 

Primo punto. Leggo in "Remnant":

"Che cosa intende Arzillo con la mentalità 'cartesiana' come opposta a quella 'aristotelica'? Vuol dire che questo tradizionalismo che deve essere censurato è in qualche modo dualistico? Ciò che scrive non è affatto chiaro. Coloro che intendono i cambiamenti della formulazione come cambiamenti della dottrina davvero a me non sembra, almeno a una considerazione di superficie, che siano dei dualisti cartesiani. Né pare a me dualistico, almeno a una considerazione di superficie, trattare i concetti teologici come se fossero idee chiare e distinte. Non sto dicendo che essi dovrebbero essere trattati così, ma non è specificamente cartesiano farlo in qualsiasi caso".

Confrontando Cartesio con Aristotele, Arzillo non intendeva riferirsi al dualismo di Cartesio, del quale non fa parola, ma al modo cartesiano di pensare, troppo attaccato alla chiarezza ed alla distinzione, cosa che può essere accettabile nel sapere matematico, ma non in quello teologico, che è un pensare basato più sull’analogia che sull’univocità. Ora, appunto il metodo dell’analogia è caratteristico di Aristotele e non di Cartesio.

Il pensare analogico consente di comprendere come un concetto, pur restando identico a se stesso, possa però nel contempo svilupparsi, progredire, esplicitarsi e chiarirsi. Questo è tipico di tutti fenomeni vitali, dal livello biologico a quello spirituale. Per questo giustamente il beato John Henry Newman paragonava il progresso dogmatico o teologico allo sviluppo di una pianta, la quale cresce e si sviluppa pur restando se stessa. Una quercia di due metri è sempre la stessa anche quando ha raggiunto i venti metri.

Così le dottrine del Vaticano II non vanno viste come una smentita o una rottura con quelle del magistero precedente, ma come una loro conferma ed una loro esplicitazione. In altre parole, col Vaticano II noi conosciamo meglio quelle stesse verità di fede che già conoscevamo prima.

Indubbiamente questa tesi dev’essere dimostrata, perché effettivamente essa non è sempre così evidente. Ma come cattolici, supposto che si tratti di materie di fede, possiamo supporre...


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Il testo integrale di p. Giovanni Cavalcoli: Risposta ai tradizionalisti di "Remnant", in difesa di Arzillo

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