SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Perché Darwin sbaglia .

di Piattelli Palmarini Massimo (8 aprile 2010) - Corriere della Sera

Ecco la mia verità.
È il conformismo evoluzionista a frenare la ricerca

I neodarwinisti sono fuori dal dominio della scienza e usano l’evoluzione per attaccare la religione”, dice al Foglio lo studioso cognitivista Massimo Piattelli-Palmarini, già docente al Massachusetts institute of technology al fianco di Stephen Jay Gould all’Università di Harvard e attualmente ordinario all’Università dell’Arizona. L’accademico italiano sapeva bene che con il libro “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli) avrebbe scatenato un putiferio attaccando la “sacra triade” del neodarwinismo, Dawkins-Dennett-Pinker, star dei media e custodi dell’ortodossia evoluzionista. 
Giulio Meotti -Il Foglio

Quando Jerry Fodor ed io stavamo scrivendo il nostro libro, Gli errori di Darwin (pubblicato in America, ora in uscita da Feltrinelli), sapevamo che avrebbe provocato un vespaio. E infatti sosteniamo che il neodarwinismo, cioè una spiegazione dell' evoluzione del vivente centrata sul processo di selezione naturale, è nettamente superato.

Dal momento che questa teoria è ancora considerata dalla maggioranza dei biologi il fulcro di una concezione genuinamente scientifica dell' evoluzione, non ci stupiamo delle stroncature già ricevute, alcune addirittura velenose e talvolta sguaiate, per esempio quella dell' evoluzionista americano Michael Ruse sul «Boston Globe» e quella del genetista italiano Guido Barbujani sul «Sole 24 Ore».

Assai gradite e non attese sono state, invece, le recensioni positive (sul «Guardian», «Sunday Times» e «Scotsman Five Star Reviews») e in Italia (Nicoletta Tiliacos sul «Foglio» e Roberto de Mattei sul «Giornale»). Una civilissima ma anche robusta tirata d' orecchie mi è stata personalmente data da Luigi Luca Cavalli-Sforza («Repubblica»), decano dei genetisti ed evoluzionisti italiani, di cui mi onoro di essere amico da molti anni e che tanti considerano a giusto titolo un maestro.

Voglio subito precisare che Fodor ed io riteniamo Darwin uno dei massimi scienziati di ogni tempo, pochi gli stanno a petto per inventiva teorica, scrupolo sperimentale e onestà intellettuale. Però sono successe tante cose nel frattempo, comprese quelle che Cavalli-Sforza, il genetista e filosofo della New York University Massimo Pigliucci (in una sua stroncatura del libro su «Nature») e i filosofi americani Ned Block e Philip Kitcher (in una stroncatura sulla «Boston Review») giustamente citano.

I Precedenti

L' ornitorinco sconfigge Darwin «Il suo patrimonio genetico mette in crisi l' evoluzionismo»
di Piattelli Palmarini Massimo-11 maggio 2008 - Corriere della Sera

" L' ornitorinco è la dimostrazione che perfino il Padreterno ha un sense of humour. Tra tutte le strane creature che si incontrano in natura, questo mammifero australiano semiacquatico, palmato, potentemente velenoso, con il becco, che depone uova, ma poi allatta i piccoli, e che ha una temperatura corporea piuttosto bassa, è forse la più strana di tutte. È sintomatico che, quando il capitano John Hunter inviò alla Royal Society di Londra, nel 1798, una pelliccia di ornitorinco e un disegno accurato dell' intera bestia, gli scienziati pensarono si trattasse di uno scherzo.

Non a caso, sia il filosofo americano Jerry Fodor che Umberto Eco, in un suo magistrale saggio (Kant e l' Ornitorinco), sostengono che, in un mondo in cui esiste tale creatura, forse tutto è possibile. Adesso, interi laboratori di biologi australiani, tedeschi ed americani ne hanno sequenziato il genoma ed è di questi giorni la pubblicazione congiunta su Nature e su Genome Research di una serie di scoperte microscopiche non meno sbalorditive di quelle macroscopiche, quelle date dalla semplice, superficiale vista dell' animale intero.

I mammiferi normali, come è noto, hanno una coppia di cromosomi sessuali, XX nelle femmine, XY nei maschi. Ebbene l' ornitorinco ha ben 10 cromosomi sessuali, cinque paia di X nelle femmine, cinque X e cinque Y nei maschi. E ha in tutto la bellezza di 52 cromosomi, contro i nostri 46. Anche al livello genetico fine, si identifica un misto di discendenze, da altri mammiferi, certo, ma anche dai rettili e dagli uccelli. I cromosomi sessuali, per esempio, sono derivati evolutivamente dagli uccelli, mentre il feroce veleno dell' ornitorinco, iniettato da due speroni posti dietro ai gomiti posteriori, contro il quale non esistono per ora antidoti, replica l' evoluzione del veleno dei serpenti. Derivati entrambi originariamente da sostanze anti-batteriche, questi veleni offrono un caso esemplare di evoluzione convergente, cioè di come rami divergenti dell' albero evolutivo abbiano trovato, per così dire, una stessa soluzione dopo essersi separati.

Scendendo veramente all' interno dei geni, fino a pescare delle importanti molecole di regolazione fine dell' attività dei geni (chiamate micro-Rna), Gregory Hannon dei laboratori di Cold Spring Harbor (Stato di New York) e Jurgen Schmidtz dell' Università di Münster (Germania) hanno scoperto strette somiglianze con i mammiferi, ma anche con i rettili e con gli uccelli. Inoltre, mentre nei mammiferi una particolare varietà di queste molecole regolatrici resta prigioniera nel nucleo delle cellule, nell' ornitorinco migra e si moltiplica fino a quarantamila volte. Questi scienziati non esitano a parlare di «una biologia diversa» da quella fino ad adesso nota. Sembrerà strano che i pediatri di Stanford si siano interessati da presso all' ornitorinco, ma bisogna pensare che circa un terzo dei bimbi maschi che nascono prematuramente hanno il difetto che i loro testicoli non scendono normalmente nello scroto.

Ebbene, l' ornitorinco ha permesso di individuare due geni responsabili di questa discesa, tipica dei mammiferi, ma assente negli uccelli e nei rettili e, potevate scommetterci, nell' ornitorinco. L' esperto delle malattie del sistema riproduttivo, Sheau Yu Teddy Hsu, di Stanford, autore di uno degli studi appena pubblicati su Genome Research, ha dichiarato che l' ornitorinco è un eccellente «ponte» tra i mammiferi, gli uccelli e i rettili. Le peripezie dei testicoli e i geni che le pilotano non hanno adesso più segreti, perché i geni «rilassinici» responsabili sono stati sequenziati in varie specie. Una considerazione su questo punto ci interessa tutti, però, perché depone contro l' idea darwiniana classica che l' evoluzione biologica proceda sempre e solo per piccoli cambiamenti cumulativi.

Hsu ha, infatti, scoperto, che il gene ancestrale della famiglia dei «rilassinici» si è scisso in due famiglie distinte, una famiglia presiede alla discesa dei testicoli nei maschi, mentre l' altra famiglia presiede alla formazione della placenta, delle mammelle, delle ghiandole lattee e dei capezzoli nelle femmine. Questi tessuti molli, ovviamente, non lasciano testimonianze fossili, ma la ricostruzione dei geni ha rivelato che c' è stato, milioni di anni fa, uno sdoppiamento: una famiglia di geni, d' un tratto, ha prodotto due famiglie di geni che potevano pilotare due tipi di eventi. In sostanza, potevano permettere la comparsa dei mammiferi dotati di placenta. L' ornitorinco, mammifero privo di placenta e di mammelle, ma con la femmina dotata di latte che viene secreto attraverso la pelle, era l' anello mancante, il ponte evolutivo che adesso connette tutti questi remoti e subitanei eventi evolutivi. Hsu dichiara testualmente: «È difficile immaginare che processi fisiologici tanto complessi e tra loro intimamente compenetrati (discesa dei testicoli nei maschi, placenta, mammelle, capezzoli e ghiandole lattee nelle femmine) possano avere avuto un' evoluzione per piccoli passi, attraverso molti cambiamenti scoordinati». Come dire, ma questo Hsu non lo dice in queste parole: ornitorinco uno, Darwin zero.

Ma allarghiamo l' orizzonte oltre l' Australia e l' ornitorinco. Da molti anni ormai i genetisti e gli studiosi dell' evoluzione dei sistemi genetici hanno scoperto svariati casi di moltiplicazione dei geni, cioè si constata che, mentre in un remoto antenato esiste una copia di un gene, o di una famiglia di geni, nelle specie più recenti se ne hanno due copie, poi quattro. Una regoletta generale facile facile, che ha le sue eccezioni, dice uno, due, quattro. Queste moltiplicazioni genetiche sono, sulla lunghissima scala dell' evoluzione, eventi subitanei. Pilotati dai meccanismi microscopici che presiedono alla replicazione dei geni, avvengono per conto loro, prima che i loro effetti sbattano la faccia contro la selezione naturale, e non procedono per piccoli passi. Non si hanno due copie e mezzo, o tre copie e un decimo. Il gradualismo, cioè i piccoli passi fatti a casaccio, uno dopo l' altro, della teoria darwiniana classica vanno a farsi benedire. Il macchinario genetico fa i suoi salti, e poi altri fattori di sviluppo decidono quali di questi salti producono una specie capace di sopravvivere e moltiplicarsi. Tra queste e solo tra queste, la selezione naturale porterà ulteriori cambiamenti. Ma sono dettagli, non il motore della produzione di specie nuove.

L' ornitorinco fa parte di una piccolissima famiglia, quella dei monotremi (un solo canale per escrementi e deposizione delle uova). Il compianto Stephen Jay Gould fece notare, giustamente, che differenti ordini di animali hanno un potenziale interno molto diverso di produrre specie nuove. Ottocentomila specie di scarafaggi, qualche decina di specie di fringuelli, poche specie di ippopotami, elefanti, monotremi e, sì, ammettiamolo, di scimmie antropomorfe come noi. Sono tutti «ottimi» animali, cioè sono tutte ottime riuscite dei processi biologici, ma per alcune soluzioni la porta è aperta a tante varianti, a tante specie, per altri, invece, no. Il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz' altro in proprietà interne, nell' organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale. La selezione naturale della teoria darwiniana classica può agire solo su quello che le complesse interazioni della fisica, la chimica, l' organizzazione interna dei sistemi genetici e le leggi dello sviluppo corporeo possono offrire. Perfino in un mondo in cui esiste l' ornitorinco non proprio tutto è possibile.

Il Presidente della Società italiana di biologia evoluzionistica, Bertorelle Giorgio il 21 maggio 2008 sul Corriere della Sera scriveva :

" Ci mancava l' ornitorinco! Al variegato mondo degli anti-Darwin all' italiana si è aggiunta nei giorni scorsi questa fantastica e velenosa specie australiana, reclutata dalle pagine del Corriere dell' 11 maggio 2008 da Massimo Piattelli Palmarini: «Ornitorinco uno, Darwin zero», scrive in un articolo facendo credere che i recenti dati pubblicati dalla rivista Nature sul genoma dell' ornitorinco contraddicano la teoria dell' evoluzione per selezione naturale. Piattelli Palmarini sembra non conoscere gli studi che hanno integrato negli ultimi decenni la teoria darwiniana, ancora valida nelle sue fondamenta. L' articolo che descrive parla di duplicazioni geniche, di convergenza evolutiva, di evoluzione di cromosomi sessuali e di molti altri processi noti da tempo a tutti e interamente compatibili con la moderna teoria dell' evoluzione. Processi che sono avvenuti a partire dai nostri antenati simili ai rettili e dopo l' antica separazione, più di 150 milioni di anni fa, dei mammiferi monotremi (ornitorinco ed echidna) da tutti gli altri mammiferi.
Curiosamente, a nessuno degli oltre 100 autori di questo studio è venuto in mente che, come dice Piattelli Palmarini, «il patrimonio genetico dell' ornitorinco mette in crisi l' evoluzionismo». Di più, lo stesso Piattelli Palmarini cita a supporto delle sue idee un secondo articolo uscito in questi giorni sempre sull' ornitorinco, senza far riferimento al fatto che gli autori dello studio sostengono invece, testualmente: «L' evoluzione a passi successivi di queste vie indipendenti di segnale attraverso la duplicazione genica e la seguente divergenza è consistente con la teoria darwiniana di selezione e adattamento». È possibile che questa frase, ben in evidenza nell' articolo originale, sia sfuggita a Piattelli Palmarini? La teoria dell' evoluzione, come insegna il metodo scientifico, è quotidianamente esposta al vaglio e alla verifica dei fatti e dei dati sperimentali. Ed è un peccato che a volte non prove e fatti, ma parole in libertà, si trasformino in pericolosa disinformazione sotto un titolo perentorio che recitava «L' ornitorinco sconfigge Darwin». Gli sconfitti, in questo caso, sono la cultura scientifica e la sua diffusione."
Si tratta di processi diversi dalla selezione naturale e da tempo riconosciuti tali, come l' effetto della fluttuazione casuale nelle varianti dei geni, detta «deriva genetica», le mutazioni neutrali, né favorevoli né sfavorevoli, e la selezione naturale limitata dalla densità (quando, cioè, essere in troppi a portare un tratto biologico inizialmente favorevole lo rende sfavorevole). Ma vi è di più, veramente ben di più, come raccontiamo nella prima parte del libro, basata su circa duecento lavori specialistici, tanto che illustri biologi come Eugene Koonin (del National Institute of Health di Bethesda), Carl Woese (Università dell' Illinois), e Lynn Margulis (Università del Massachusetts), ma non solo questi, hanno concluso e detto a chiare lettere che la teoria della selezione naturale è decisamente superata.

Nel nostro libro trattiamo un buon numero di questi processi, che non hanno niente a che fare con la selezione naturale. Perfettamente naturali, assai complessi, ma non dovuti alla selezione naturale. Con tutto il rispetto, mi permetto, quindi, di dissentire dall' affermazione di Cavalli-Sforza: «Non c' è biologia senza selezione naturale e non c' è evoluzione senza selezione naturale». Vorrei essere più preciso. Nessuno si potrebbe sognare di dire che la selezione naturale non esiste e che non ha alcun ruolo nelle trasformazioni nel tempo di alcuni (solo alcuni) tratti biologici nelle popolazioni di viventi. Il punto oggi centrale è che si tratta di un processo assai marginale nella comparsa di specie nuove e nella spiegazione di moltissimi tratti biologici, lungo tutto l' albero dell' evoluzione. Per brevità, cito solo due esempi, spero chiarissimi. Le molte centinaia di specie di scolopendre esistenti hanno tutte, senza eccezioni, un numero dispari di paia di zampe (15, 21, 23, 27, 29, 41, 43, 101, 191). Come ha sottolineato Alessandro Minelli (Università di Padova), massimo studioso italiano di quell' approccio all' evoluzione chiamato Evo-Devo, cioè l' evoluzione considerata inscindibile dal processo di sviluppo dell' embrione, è impensabile che questo dato sia spiegabile mediante la selezione naturale e l' adattamento.

Le scolopendre potrebbero certo vivere e riprodursi con un numero pari di paia di zampe. Si tratta di vincoli strutturali interni, non di selezione naturale. Tanto che alcuni mesi fa Minelli, con dei colleghi brasiliani, ha pubblicato la sbalorditiva scoperta, in Brasile, di una specie piuttosto recente di scolopendra che ha, sì, un numero di paia di zampe doppio rispetto alle specie più prossime in linea di discendenza, ma pur sempre un numero dispari. Duplicata, ma non proprio. La spiegazione sta nella dinamica dei vincoli strutturali interni e non nella selezione naturale.

L' altro esempio è una specie di meduse (Tridpedalia cystophora) trovata nel mare di Santo Domingo, che ha ben quattro gruppi distinti di occhi, per un totale di ben 24 occhi globulari, ciascuno esattamente simile agli occhi dei vertebrati, quindi anche ai nostri, con tanto di bulbo oculare, lente, cornea e retina. Il bello è che non esiste un cervello capace di ricevere quelle immagini, potenzialmente nitidissime, né un nervo ottico per veicolarle. Inoltre, il piano focale della lente di ciascun occhio non si trova sulla retina, bensì oltre la retina. Un' ulteriore sfida, questa, a qualsiasi nozione di funzionalità e di origine evolutiva dovuta all' adattamento. Tutto quello che questo massiccio apparato visivo può fare, quindi, è solo segnalare il livello di luminosità (chiaro o scuro), funzione che nelle altre numerosissime specie di meduse è svolto da banali foto-recettori immensamente più semplici. Il noto studioso di Evo-Devo Gerhard Kirschner (Università di Harvard) ha detto che, nel caso di questa medusa, l' evoluzione è proprio impazzita. Eppure, si è potuto mostrare in dettaglio ed esaurientemente che questi organi complessi, del tutto inutili, provengono dalla duplicazione ripetuta di un preciso gene, l' antenato dei geni che nei vertebrati presiedono alla formazione degli occhi. Le cause interne sono chiare, mentre il ruolo delle pressioni ambientali, cioè della selezione naturale, è nullo.

Assai stranamente, questi geni sono anche presenti, però inattivi, nel riccio di mare, che ovviamente non ha occhi. Quindi, come hanno giustamente sottolineato il biochimico ed evoluzionista Michael Sherman (Università di Boston) e il più noto studioso e divulgatore di Evo-Devo, il premiato Sean B. Carroll (Università del Wisconsin), la comparsa di nuove forme di vita -mi permetto di sottolineare questo - non è dovuta alla comparsa di geni nuovi, ma a una diversa regolazione di geni molto spesso preesistenti. Molti casi come questi giustificano la crescente marginalizzazione della selezione naturale come spiegazione delle forme animali e dei processi evolutivi.

Concludo con gli effetti nefasti del neodarwinismo in un campo di cui mi occupo professionalmente: le basi biologiche e l' evoluzione del linguaggio. Assai giustamente, e molto garbatamente, Cavali-Sforza mi fa presente che di genetica ne sa molto piu di me. Sul linguaggio, però, le posizioni si invertono. I fenomeni linguistici cui allude Cavalli-Sforza (piccoli cambiamenti cumulativi, differenze graduali tra lingue diverse, eliminazioni di parti superflue) sono ben reali, ma non sono centrali. Proprio come abbiamo visto che una biologia ora emergente mette a fuoco le strutture interne di base e i processi di organizzazione interni, la linguistica di stampo generativo mette a fuoco strutture sintattiche interne e profonde similitudini tra lingue storicamente non correlate e geograficamente lontane. Proprio come una stessa banca di geni è rimasta costante lungo centinaia di milioni di anni di evoluzione, dando luogo a specie molto diverse attraverso le diverse regolazioni interne dell' attività di tali geni, e attraverso mutazioni, così le circa seimila lingue diverse oggi esistenti hanno tutte un fondamento comune, una sorta di pannello mentale fisso, con poche scelte possibili. Le differenti strutture sintattiche si riconducono tutte a posizioni diverse su questo pannello con circa venti interruttori (chiamati parametri). Niente, proprio niente rende l' organizzazione sintattica del giapponese più funzionale in quelle isole e la diversa organizzazione dell' inglese più funzionale in quelle altre isole. La Il dibattito sul saggio Il libro di Piattelli Palmarini e Fodor What Darwin Got Wrong, uscito negli Stati Uniti in febbraio, ha suscitato un acceso dibattito nel mondo anglosassone e nel nostro Paese, dove la traduzione sarà in libreria dal 21 aprile per Feltrinelli. Sul «Corriere della Sera» se n' è occupato il 23 marzo Telmo Pievani. Poi Piattelli Palmarini ha esposto la sua posizione in un' intervista su «Repubblica» del 29 marzo. Sullo stesso quotidiano è intervenuto in difesa di Darwin Luigi Luca Cavalli-Sforza, il 6 aprile, mentre contro Darwin si è schierato Roberto de Mattei sul «Giornale» del 3 aprile. Una recensione polemica verso gli autori, a firma di Guido Barbujani, è apparsa il 4 aprile sul «Sole 24 Ore». Da segnalare inoltre un articolo di Andrea Lavazza su «Avvenire» (1°aprile). E gli interventi apparsi sul «Foglio» (30 marzo, 1 e 2 aprile). All' estero importanti recensioni sono uscite su «Nature», «The Guardian», «The Sunday Times», «Boston Review», «Times Literary Supplement».chiave di volta è ovunque un vasto, ma non infinito e non graduale, repertorio fisso di possibilità. Infatti, anche il linguaggio è un tratto con fondamenta biologiche e non stupisce una certa somiglianza tra il meccanismo che genera il repertorio delle lingue e quello che genera il repertorio delle forme viventi. Vi sono linguisti che rifiutano di ammettere questo quadro teorico e sperimentale, pur ampiamente consolidato, proprio in nome di un neo-darwinismo basato sulla incrollabile fiducia che il linguaggio debba essere spiegato attraverso la selezione naturale, per piccoli cambiamenti progressivi, dettati dalla sua utilità per comunicare e dal suo valore adattativo.

Spostare il perno delle spiegazioni sulle strutture interne e sui vincoli interni è la tendenza attuale, sia in biologia sia nel tipo di linguistica cui alludo qui. Tutti siamo impegnati nel lungo sforzo di capire come stanno le cose nel mondo della vita e della mente. I meccanismi genetici ed evolutivi della selezione naturale, sottolineati da Cavalli-Sforza e dai nostri illustri «stroncatori» sono reali e certo pertinenti. Pertinenti ma, si sta scoprendo, non più centrali e dominanti come si pensava ancora ieri.

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