SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Una ricerca esplorativa sulle pratiche religiose dei figli di immigrati.

di Marzio Barbagli (Università di Bologna) Camille Schmoll (Istituto Universitario Europeo, Firenze)
http://www.cestim.it/

“Sarà religiosa la seconda generazione? "

1. La religione come spazio elettivo di costruzione dell’alterità

Il passaggio a una migrazione permanente e di popolamento, con l’insediamento e la stabilizzazione di famiglie che accompagnano tale processo, è all’origine di mutamenti profondi e strutturali nella società italiana. Un aspetto cruciale di tali mutamenti è quello che riguarda l’emergenza di nuove pratiche, credenze e valori religiosi. È questo un punto fondamentale di partenza per le riflessioni sulla condizione delle seconde generazioni in Italia, anche se a questo proposito si deve notare come i migranti non siano oggi gli unici attori protagonisti dei fenomeni di crescita del pluralismo culturale, in una società come quella italiana che evidenzia un duplice processo di individualizzazione delle scelte spirituali, da un lato, e di diversificazione dell’offerta religiosa all’interno e all’esterno della chiesa cattolica, dall’altro (Garelli et al. 2003; Rassegna Italiana di Sociologia 2005).

Quella della religiosità è senz’altro una delle questioni più delicate da trattare in riferimento al tema dell’integrazione delle popolazioni di origine straniera, e viene spesso affrontata con diffidenza e superficialità. Tali atteggiamenti sono particolarmente evidenti nel caso dei gruppi di tradizione o di fede musulmana, la cui alterità è spesso enfatizzata. La diffidenza, e persino l’ostilità negli confronti di queste popolazioni, ha conosciuto negli anni scorsi una forte reviviscenza in tutti i paesi europei, come si apprende ad esempio da un recente rapporto che l’Osservatorio Europeo dei Fenomeni Razzisti e Xenofobi ha dedicato al problema dell’islamofobia (EUMC 2006).

In Italia, tali atteggiamenti di ostilità hanno cominciato a manifestarsi soltanto di recente, in particolare nel periodo successivo al consolidarsi della presenza di persone di religione islamica durante gli anni Novanta e hanno acquistato un rinnovato vigore all’indomani degli attentati dell’11 settembre del 2001. I sentimenti di più o meno aperta islamofobia che hanno iniziato a diffondersi in forme sempre più visibili nella società italiana hanno trovato riscontro e sostegno ideologico in una variegata e ormai anche estesa letteratura saggistica e di stampo giornalistico, destinata per lo più al grande pubblico. I principali tratti distintivi di questa letteratura sono due: in primo luogo, quello di offrire una rappresentazione della presenza delle popolazioni musulmane in Italia come problema sociale; in secondo luogo, quello di affermare un’immagine e una percezione dell’Islam come religione monolitica, che in quanto tale entra in contraddizione con i principi costitutivi del vivere comune come quelli di democrazia e di libertà.

Tra gli opinion-makers che negli anni scorsi sono stati i maggiori fautori dell’“islamofobia all’italiana”, i più noti - pur adottando registri di scrittura e stili di argomentazione molto diversi tra loro - sono senz’altro il politologo Giovanni Sartori e la giornalista Oriana Fallaci, recentemente scomparsa (Sartori 2000; Fallaci 2001, 2004; per un approfondimento critico, si veda Sciortino 2002).
Gli interventi pubblicati a più riprese da questi due autori condividono l’idea secondo cui esiste un’incompatibilità di fondo tra l’Islam inteso come entità culturale omogenea e la società italiana e, più in generale, tra l’Islam e il mondo occidentale. Iscrivendosi nella tradizione argomentativa del pensiero differenzialista, i contributi di Sartori e di Fallaci richiamano da vicino le note tesi di Samuel Huntington sullo “scontro delle civiltà” (Huntington 1993), per la distinzione e la gerarchizzazione che entrambi operano tra l’idea di Occidente e quella di “altre culture”.

Un altro punto in comune tra i lavori di Fallaci, di Sartori e alcuni scritti di Huntington è di insistere, seppur con accenti diversi, sul rischio rappresentato dalla presenza nei paesi occidentali dei figli di immigrati stranieri. Per questi autori, e in particolare per Fallaci e Huntington, la riproduzione biologica degli stranieri costituisce una delle sfide principali con le quali l’Occidente oggi deve confrontarsi. Il processo di ibridizzazione culturale che consegue da tale fenomeno rappresenta, infatti, ai loro occhi, una minaccia per la preservazione dell’identità e della sicurezza nazionali (Huntington 2004; Bialasiewicz 2006) . Questi autori hanno dunque come punto in comune quello di collocare le maggiori linee di frattura delle nostre società sul piano culturale, in particolare su quello gravitante intorno alla questione religiosa, e di considerare i migranti e i loro discendenti come fonti di tensione e di conflitto. Vedono i figli di immigrati come semplici vettori e riproduttori di culture omogenee, senza interrogarsi sui cambiamenti socio-culturali che investono le seconde generazioni presenti in Italia. Inoltre, non si sforzano di attingere le proprie riflessioni alle conoscenze sull’argomento derivanti dai lavori empirici che sono stati condotti in anni recenti (Sciortino 2002).

2. Presentazione della ricerca

In questo testo ci interroghiamo sul modo in cui la religiosità dei figli di migranti residenti in Italia costituisca realmente, come sostengono gli autori appena presentati, una questione problematica per la società, a partire da un’indagine realizzata nel corso del 2006 sull’integrazione delle seconde generazioni di stranieri nelle scuole medie dell’Emilia- Romagna. La ricerca (che è stata realizzata con questionario autocompilato nelle classi durante le ore di scuola) è stata condotta su un campione di 3801 allievi della scuola media inferiore, equamente distribuiti tra classi prime, seconde e terze. Di questi allievi, 1086 avevano genitori italiani, mentre tutti gli altri erano figli di immigrati. Il questionario prevedeva tre domande sulla religione, ma per vari motivi abbiamo finito per utilizzare nell’analisi dei dati solo un indicatore: se, e con che frequenza, prega Dio.

In Italia, le ricerche sulla religiosità delle seconde generazioni sono ancora poco numerose. Tale scarsità di studi e di ricerche è anche legata al carattere relativamente recente di un’immigrazione di tipo familiare e anche stabile dal punto di vista della permanenza nel luogo di arrivo. Inoltre, come accade negli altri paesi europei, la maggioranza delle ricerche effettuate sul tema puntano la propria attenzione pressoché esclusivamente sulla condizione delle popolazioni musulmane (si deva, ad esempio, Saint-Blancat, 1999, 2004; Frisina 2005; Césari, Pacini, 2005). Pertanto, abbiamo ritenuto cruciale prendere in considerazione l’insieme delle pratiche religiose dei ragazzi, al di là delle loro diversità etniche e nazionali. L’adozione di questo particolare angolo di visuale ci permette sia di comprendere in quale misura esista davvero un problema legato alla specificità di alcune religioni, sia di interrogarci su questioni più generali che chiamano in causa il rapporto tra religiosità e integrazione dei cittadini di origine straniera. Tuttavia, prima di procedere alla discussione dei risultati ottenuti nella ricerca, è necessario soffermarsi sul modo in cui queste questioni sono state trattate nella letteratura specialistica internazionale

3. Le principali tesi su religiosità e assimilazione delle seconde generazioni.

Il rapporto tra religiosità e assimilazione è stato ampiamente discusso e dibattuto negli Stati Uniti (Hirschman, 2004; Cage e Ecklund, 2007). Le ricerche europee, e in particolare quelle continentali, invece, hanno evidenziato un interesse minore nell’analisi del ruolo svolto dalla religione nei processi di assimilazione. Quest’atteggiamento di riluttanza trae origine da un duplice e ambivalente legame: quello che può essere ricollegato al forte laicismo che oggi caratterizza le società europee, che sono molto più secolarizzate di quella americana, e quello che invece si può ricollegare al processo di lungo periodo di costruzione di un’identità monoreligiosa in Europa a livello nazionale in primo luogo, ma anche a livello continentale (Zoldberg e Long 1999; Ambrosini 2005).

A tale proposito, alcuni studi hanno mostrato come in Europa la religione rivesta la stessa importanza che riveste la questione linguistica negli Stati Uniti, vale a dire quella di ambito prioritario di determinazione della frontiera tra “noi” e “loro” (Zoldberg e Long 1999; Alba 2005; Modood 2005). La conseguenza più evidente di tale visione è che tutt’ora non sono molti gli studiosi che si sforzano di offrire una spiegazione approfondita del rapporto tra religiosità e altri indicatori di inserimento socio-culturale ed economico (Ambrosini 2005). Per quanto riguarda la religiosità delle seconde generazioni, è possibile identificare, schematizzando al massimo, due principali tesi nella letteratura specialistica: la tesi dell’assimilazione religiosa e quella della radicalizzazione dell’identità religiosa.

La tesi dell’assimilazione religiosa

I fautori della tesi dell’assimilazione religiosa osservano, con il passaggio alla seconda generazione, una diminuzione della pratica. Di solito, ritengono, inoltre, che esista un rapporto positivo tra la diminuzione della religiosità e il processo generale di assimilazione nella società di accoglienza. Michèle Tribalat, ad esempio, osserva l’esistenza tra i giovani di origine algerina di un adattamento graduale alle pratiche religiose francesi, che andrebbe di pari passo con la loro integrazione socio-economica (Tribalat 1995; si veda anche Lacoste- Dujardin 1994). Alla stessa stregua, alcuni studiosi americani hanno dimostrato, sulla base dei dati del American Religious Identification Survey come, per gli Ispanici della seconda generazione, il processo di assimilazione nella società americana sia accompagnato da un calo della religiosità (Kosmin, Mayer, Keysar, 2001).

Alcuni autori osservano come nel processo di assimilazione, non tutti gli aspetti della religiosità sono destinati a scomparire: Alec Hargreaves parla, a questo proposito, di “identificazione affettiva (con la religione) accompagnata da un distacco dottrinale” tra le seconde generazioni (Hargreaves 1995; si veda anche, sul processo di secolarizzazione dei giovani musulmani in Europa, Zubaida 2003). Allo stesso modo, Michèle Tribalat ritiene che sia necessario distinguere, in riferimento alle pratiche religiose dei giovani di origine straniera, l’aspetto culturale, che è in genere ancora presente (la celebrazione della festa del Ramadan, ad esempio), da quello religioso, che invece appare più debole (la frequenza della preghiera).

La tesi della religiosità reattiva.

Vi è, sia in Europa sia negli Stati Uniti, un altro filone di ricerca che ha messo in evidenza un incremento della religiosità dei figli di immigrati. Di solito, questo filone di ricerca ha concentrato la propria attenzione sulle manifestazioni più radicali e sulla dimensione reattiva della religiosità delle seconde generazioni. L’etnicità reattiva viene definita da Portes e Rumbaut come “il prodotto del confronto con l’avversità della società di accoglienza e lo sviluppo di identità difensive e di solidarietà per affrontare tale avversità” (Portes e Rumbaut 2001, 284). Gli studi che si sono interessati a questo fenomeno hanno contribuito a mettere in discussione la concezione “lineare” dei processi di assimilazione dell’approccio assimilazionista, incrinando la convinzione generale secondo cui l’integrazione delle seconde generazioni sarebbe in genere più agevole di quella dei primi arrivati (Gans 1992).

In Europa, i lavori dedicati alla dimensione più reattiva della religiosità delle seconde generazioni hanno posto particolare attenzione alle questioni collegate alla crescita dell’Islam radicale in Europa, soprattutto successivamente alla scoperta del coinvolgimento di alcuni giovani di origine straniera negli attentati terroristici degli anni scorsi, in particolare quelli verificatisi nella metropolitana di Parigi nel 1995 o, più di recente, a Londra nell’estate del 2005 (Kepel 1987; Roy 1991; Schiffauer 1999; Leiken, 2005; Modood 2005). I fenomeni di discriminazione ed emarginazione socio-economica, così come l’ostilità dimostrata dall’opinione pubblica nei confronti di alcune minoranze etniche e religiose, possono essere all’origine di questi episodi, per quanto minoritari, di radicalizzazione delle scelte religiose (Cesari 1999; Vertovec e Rogers 1998).

Anche i modelli politici di assimilazione sono talvolta considerati responsabili del ripiego religioso dei giovani. E’ questa la conclusione di un recente rapporto dell’organizzazione britannica Policy Exchange, che mette in relazione lo sviluppo, anche se minoritario, del fondamentalismo islamico tra le seconde generazioni e gli eccessi del sistema multiculturale britannico (Mirza, Senthilkumaran e Ja’far 2007). I due approcci ricordati in questa parte compongono nel loro insieme il quadro interpretativo entro il quale possiamo collocare il nostro sforzo di comprensione del fenomeno della religiosità delle seconde generazioni. Ma vediamo prima come si compone il quadro delle appartenenze religiose degli studenti stranieri.

4. Il complesso quadro delle appartenenze religiose degli studenti stranieri

Anche se l’interesse dei media e dei opinion makers si è concentrato finora solo sugli immigrati di religione islamica, in Emilia Romagna, come nelle altre regioni italiane, vivono oggi immigrati di prima generazione assai diversi non solo per religione (islamici, cristiani ortodossi, cattolici, induisti, confuciani ecc..), ma anche per pratica religiosa. Come si può vedere dai dati della tab.1 (tratti dalla World Values Survey ), pur essendo islamici, gli albanesi sono molto più secolarizzati dei marocchini.


Enormi sono anche le differenze nella pratica religiosa fra gli allievi della scuola media dell’Emilia Romagna a seconda del paese di origine dei genitori (tab. 2). I figli di genitori albanesi, macedoni, moldavi e ucraini sono molto simili a quelli italiani, dal punto di vista della frequenza con la quale pregano Dio. Sono invece molto più praticanti degli italiani gli allievi con genitori provenienti dal Pakistan, il Gana, il Marocco, la Tunisia, la Nigeria, la Romania, la Turchia e l’Ecuador. I figli di coloro che vengono dalla Cina e dalla Serbia Montenegro sono invece più secolarizzati degli italiani.



Fra gli allievi figli di immigrati vi sono anche profonde differenze, a seconda del paese di origine dei genitori, riguardo alla data di arrivo in Italia. Come ci si poteva aspettare conoscendo la storia delle diverse fasi dell’immigrazione in Italia delle persone provenienti dai vari paesi, gli allievi con genitori provenienti dal Nord-Africa (come marocchini e tunisini) o dalle Filippine sono nati molto più frequentemente in Italia degli altri (tab.3).


5. L’evoluzione della religiosità: assimilazione religiosa o radicalizzazione?

Per quale delle due ipotesi presentate si avvicina di più alla situazione delle seconde
generazioni di immigrati oggi esistente in Italia ?

Per vedere se l’ipotesi della religiosità reattiva trovi conferma nei nostri dati abbiamo
provato, distintamente per le nazionalità più numerose (cinesi, albanesi, marocchini, tunisini,
pakistani e rumeni), varie regressioni logistiche considerando come variabile dipendente la
frequenza con la quale gli allievi figli di immigrati pregano Dio e come indipendenti il tempo
di permanenza in Italia e alcuni indicatori di integrazione economica e sociale. Dalle
regressioni è emerso che la marginalità economica (indicata dall’occupazione del padre o
dalla mancanza di casa in proprietà o da altri indicatori riguardanti i beni posseduti) non
influisce sulla pratica religiosa, come invece sostiene l’ipotesi della religiosità reattiva.
I dati sembrano invece dare ragione all’ipotesi della assimilazione religiosa. Come si può
vedere dalla tab.4 (e dal grafico) la frequenza con cui i figli dei marocchini, dei rumeni, degli
indiani e, in misura minore, degli albanesi pregano Dio tutti i giorni è tanto minore quanto
più lungo è il periodo di permanenza in Italia. Ad analoghe conclusioni si giunge esaminando
i dati di un potente indicatore di integrazione linguistica: la lingua parlata a casa con fratelli
e sorelle. Gli allievi che parlano italiano con i fratelli e sorelle pregano Dio meno
frequentemente degli altri.


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