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L'Occidente ha il dovere di salvare i cristiani perseguitati nel mondo |
http://www.avvenire.it di Stefano Fontana 10 Gennaio 2010 Oltre il global warming e il terrorismo Uno dei più gravi problemi presenti oggi sul nostro pianeta è la persecuzione religiosa. I media sono molto più concentrati su riscaldamento climatico, terrorismo internazionale, guerra, ma il bubbone principale di questo mondo malato potrebbe essere proprio la mancanza di libertà di religione. E non è detto che questa grave carenza non abbia anche conseguenze negative su molte altre emergenze mondiali. L’opinione pubblica e i governi occidentali sbagliano a non metterla a fuoco. Nei giorni scorsi è divampato il caso dei cristiani trucidati in Egitto da un gruppo armato musulmano all’uscita dalla celebrazione del Natale copto nei pressi di Luxor. La persecuzioni dei cristiani copti da parte dei musulmani sono purtroppo una storia antica: si calcola che negli ultimi 30 anni le vittime siano almeno 4 mila. Mons. Youhannes Zakaria, Vescovo Copto Cattolico di Luxor, nell’Alto Egitto ha ricordato che anche la Pasqua scorsa era stata attaccata la comunità cristiana nel villaggio di Naghamadi e nella sparatoria tre giovani cristiani persero la vita. Il vescovo Kirollos della diocesi di Nag Hamadi ha dichiarato che “E’ incorso una guerra religiosa per far fuori i cristiani in Egitto”. Purtroppo, però, non è il solo caso di violenta persecuzione dei cristiani. Poco prima di Natale l’agenzia Fides, come fa ogni hanno, ha tracciato il bilancio dei missionari cristiani morti nel 2009: 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici. Sono quasi il doppio rispetto al precedente anno 2008, ed è il numero più alto registrato negli ultimi dieci anni. Ben 23 di questi operatori pastorali non sono però caduti in Arabia Saudita o in India ma in America Latina, precisamente in Brasile, Colombia, Messico, Cuba, El Salvador Guatemala e Honduras, cioè in un contesto di origine cristiana. Cosa sta succedendo allora? E’ l’aggressività dell’Islam o emerge un’avversione per il cristianesimo anche in paesi tradizionalmente cristiani? Proprio in questi giorni è stato reso noto il Rapporto Global Restriction on Religion del Piew Forum on Religion and Public Life di Washington, mentre purtroppo inspiegabilmente non abbiamo potuto leggere quest’anno il tradizionale Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il Rapporto Pew mette in luce un fatto di grande interesse: in certi paesi è acuta la persecuzione antireligiosa degli Stati (Cina, per esempio), in altri aumenta quella nella società, praticata da gruppi di civili intolleranti (India, Nigeria, Bangladesh), in altri ancora si nota sia l’una che l’altra cosa (in Arabia Saudita soprattutto, ma anche Pakistan, Indonesia, Egitto ed Iran hanno indici complessivamente molto negativi). Globalmente parlando si osserva che le aree geo-politiche ove c’è più libertà sono quelle in cui è presente il cristianesimo, come in Europa, Americhe, Australia ed Africa sub sahariana. Però si nota anche che in questi paesi è in aumento un anticristianesimo non religioso ma laicista, basti ricordare i divieti ad esporre i simboli cristiani in Francia o in Inghilterra. Anche negli Stati Uniti è stato denunciato da parte del Christian Security Network un aumento di violenze a parrocchie, Chiese e organizzazioni cristiane: 1.200 crimini nel 2009. Non solo in Malaysia, dove nella notte del 7 gennaio sono state attaccate tre chiese protestanti e una cattolica, ma anche nell’Occidente cristiano, anche se con minore efferatezza, i cristiani sono danneggiati e perfino perseguitati. Alla drammatica situazione dei cristiani nel mondo – che dire dell’Iraq ove le comunità cristiane stanno scomparendo? – si accompagna la loro difficile situazione negli stessi paesi di tradizione cristiana, nonostante costoro possano vantare una maggiore tolleranza. E’ come se ci fosse una lontana alleanza tra integralismo indu o islamico da un lato e laicismo ideologico postcristiano dall’altro. Il che spiegherebbe un altro fatto ormai fin troppo evidente: chi difende i cristiani perseguitati nel mondo? La Chiesa non “ha divisioni” e non ha di che difendersi, ma l’Unione europea non si sente molto in dovere di alzare la voce e forse anche qualcosa di più. Mario Mauro ha dichiarato che “È compito della Comunità internazionale e dell’Unione Europea assicurare a tutti, comprese le minoranze, di esprimere liberamente il proprio credo, in nome di quegli ideali di pace e di giustizia su cui si fondano le nostre comunità”. Ma la “Comunità internazionale” che può fare questo è solo quella occidentale. Per tornare al Rapporto Pew: se il 32% degli Stati pratica forme di alta o molto alta persecuzione religiosa, se questo 32% corrisponde al 70% della popolazione mondiale, se le aree di maggiore libertà sono solo quelle occidentali, chi sarebbe questa “comunità internazionale” che deve levare la voce se non l’Occidente? Ma se l’Occidente è a sua volta minato all’interno da una nuova forma di anticristianesimo, culturale e istituzionale insieme, improntata ad un laicismo aggressivo, dove troverà la forza per levare quella voce? Lo stato di salute della libertà religiosa nel mondodi John Flynn-19 Dicembre 2009 Quasi del tutto ignorato dai media, il Dipartimento di Stato americano ha pubblicato il 26 ottobre il suo ultimo rapporto annuale sulla libertà religiosa. L’Annual Report on International Religious Freedomper il 2009, è aggiornato al 30 giugno scorso e prende in considerazione la situazione in 198 Paesi e territori per un periodo di dodici mesi. LA FEDE NEGATA di Stefano Vecchia- www.avvenire.it-2 Gennaio 2010 Non si ferma l’ira islamica e non si fermano gli attacchi incendiari contro chiese cristiane in Malaysia, mentre domenica scorsa le chiese si sono riempite di fedeli che hanno sfidato l’integralismo religioso. Altri tre tentativi di incendio e dissacrazione domenica e uno ieri, quest’ultimo con liquido incendiario gettato all’ingresso di una sede della chiesa evangelica Sidang Injil Borneo, nello Stato Negeri Sambilan, nella parte continentale della Federazione malese. Pochi i danni, ma a preoccupare i cristiani è soprattutto il clima che si è creato attorno a una vicenda che oramai sembrava conclusa.La sentenza della Corte suprema che il 31 dicembre aveva ritenuto legittimo l’uso del vocabolo «Allah» per indicare Dio nell’edizione in lingua malese del quotidiano cattolico The Herald è stata invece impugnata dal governo di Kuala Lumpur dopo che gruppi estremisti musulmani avevano indetto per venerdì scorso manifestazioni di protesta. Il controverso provvedimento, motivato dalla autorità con la necessità di non esacerbare gli animi in attesa del verdetto d’appello, non ha fermato l’ostilità degli integralisti, ma in compenso ha lasciato i cristiani più soli. Le azioni ostili contro i luoghi di culto cristiani sembrano più mosse isolate di fanatici piuttosto che parte di una strategia, ma la loro frequenza e l’impunità degli attentatori inquietano gli stessi musulmani moderati. Al punto che da ieri mattina alle 11 gruppi di volontari appartenenti a una federazione di 130 Ong musulmane progressiste hanno organizzato in alcune aree cittadine del Paese ronde per proteggere gli edifici di culto cristiani e per individuare eventuali malintenzionati. Molti nel Paese sono coscienti che a rischio non è solo l’integrità dei luoghi di culto, ma anche un ideale di convivenza che da tempo è sottoposto a forti pressioni da parte di un radicalismo religioso che, in questo Paese multietnico dove l’islam è praticato dal 55% della popolazione, vorrebbe imporre la legge coranica e il predominio dell’etnia malese sulle minoranze tribale, cinese e indiana. Proprio ieri in Malaysia, nella città meridionale di Johor, si sono aperti i lavori dell’Assemblea della Conferenza episcopale di Malaysia, Singapore e Brunei, che si concluderanno il 15. Immediatamente gli eventi in corso hanno segnato l’avvio della discussione. La Chiesa malese, che si è dichiarata «preoccupata», «non si aspettava – hanno detto i vescovi – che, alla questione dell’uso del termine Allah, seguisse una reazione di tal genere, con attacchi contro chiese ed edifici cristiani». Come ripreso dall’agenzia Fides, secondo i responsabili della Chiesa locale «urge lavorare per il dialogo e l’armonia sociale, disinnescando la conflittualità che gruppi fondamentalisti vogliono accendere nella nazione». L’assemblea dei vescovi era già fissata da tempo ma gli ultimi eventi hanno imposto un cambiamento di agenda per esaminare anzitutto la situazione, che viene definita «preoccupante e delicata». I responsabili della Chiesa malese hanno sottolineato che «sono in corso, e si susseguiranno nei prossimi giorni, incontri con le autorità civili e colloqui con i leader musulmani. Occorre infatti agire in sintonia e cercare la necessaria collaborazione del governo e delle alte autorità religiose per ristabilire un clima pacifico alla società malaysiana». Anche perché – riferisce ancora Fides riportando le voci dei presuli – questi episodi stanno «sporcando» la fama dell’islam malese, noto per la sua moderazione e per volontà di convivere pacificamente con le altre religioni. |
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