SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Il Papa a Gerusalemme e l'ecumenismo.
Uno l'abbraccio, molte le divisioni

di Sandro Magister http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350804

L'incontro tra Francesco e Bartolomeo nella basilica del Santo Sepolcro. Ma è rottura tra i patriarcati greco-ortodossi di Gerusalemme e Antiochia. Ed è scontro aperto tra Costantinopoli e Mosca, sulla questione del primato. Il sentimento antipapale dei cristiani d'oriente

ROMA, 26 maggio 2014 – Le immagini di papa Francesco davanti al muro occidentale del tempio di Gerusalemme, così come, il giorno precedente, in sosta silenziosa davanti al muro divisorio di Betlemme hanno polarizzato l'attenzione dei media di tutto il mondo. Ma è un altro il muro che ha originato il viaggio di papa Jorge Mario Bergoglio in Terra Santa. È il muro che divide tra loro i cristiani.

Esattamente cinquant'anni fa, il 5 gennaio 1964, l'abbraccio a Gerusalemme tra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora segnò l'avvio di un cammino di riconciliazione tra la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse d'oriente. Come allora la proposta fu fatta da Atenagora al papa, così anche questa volta è stato il suo successore Bartolomeo a proporre a Francesco il rinnovo di quell'incontro a Gerusalemme.
Il papa ha accolto di slancio la proposta. E per la prima volta nella storia un viaggio papale è stato programmato di comune accordo con il patriarcato di Costantinopoli, per la parte che riguardava le due Chiese.

Con due importanti novità rispetto all'incontro di cinquant'anni prima tra Paolo VI e Atenagora:
- la partecipazione all'evento di rappresentanti di altre Chiese e denominazioni cristiane, non solo orientali ma anche appartenenti al ceppo della riforma protestante,

- e il luogo dell'incontro, la basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro, con la roccia della croce e la pietra rovesciata della resurrezione, fondamento della fede di tutti i cristiani.

Entrambe queste novità segnano il progresso che è stato compiuto in mezzo secolo nel cammino ecumenico tra le Chiese cristiane. Ma sia l'una che l'altra testimoniano anche quanto tale cammino sia ancora arduo e segnato da ostacoli.

La basilica del Santo Sepolcro è il simbolo vivente di quanto le divisioni storiche tra le Chiese rendano complicato e a tratti conflittuale la loro coabitazione. Sulla base di uno "statu quo" che risale al 1753 e al dominio ottomano, la titolarità della basilica è assegnata al patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, ai francescani della Custodia di Terra Santa e al patriarcato armeno apostolico.

Ma l'uso della basilica è consentito anche a cristiani copti, siriaci, etiopici. Per tutti con una meticolosa ripartizione dei tempi e dei luoghi, il cui mancato rispetto non di rado scatena scontri anche fisici tra gli uni e gli altri, all'interno stesso dello spazio sacro, con la polizia israeliana che accorre a sedare i tumulti.

Il fatto stesso che il papa di Roma e il patriarca di Costantinopoli siano stati accolti pacificamente nella basilica e vi abbiano svolto una liturgia comune, in deroga alle regole dello "statu quo", è sicuramente un segno importante. Nello stesso tempo, però, proprio colui che la sera di domenica 25 maggio ha accolto nella basilica del Santo Sepolcro i due illustri ospiti venuti da Roma e da Costantinopoli, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, è testimone vivente delle divisioni che separano non solo la Chiesa latina dall'ortodossia, ma anche le Chiese d'oriente tra loro.

Il patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, di rito bizantino, le cui origini risalgono ai tempi apostolici, è la comunità cristiana più presente in Terra Santa. Ma lo scorso 29 aprile il patriarca di questa Chiesa, Teofilo III, è stato messo liturgicamente al bando da un altro storico patriarca della Chiesa greco-ortodossa, quello di Antiochia e di tutto l'Oriente, Giovanni X. Da allora, nel celebrare la divina liturgia, Giovanni non fa più il nome di Teofilo tra quelli delle Chiese ortodosse in comunione tra loro.

Il movente di questa rottura, dichiarata unilateralmente dal sinodo della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, è stata la creazione un anno fa da parte di Teofilo di una sua nuova diocesi nel Qatar, in un territorio che il patriarcato di Antiochia considera proprio. Ma le conseguenze sono andate subito al di là di questo scontro tra i due patriarcati. Hanno investito l'intero campo dell'ortodossia.

Il 9 marzo il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo aveva convocato a Istanbul i capi di tutte le Chiese ortodosse, per annunciarvi col consenso di tutti la convocazione nel 2016 di quel concilio panortodosso che da decenni era atteso ma mai si era riusciti a concordare.

Nel calendario liturgico bizantino quel 9 marzo era anche la domenica detta "dell'ortodossia". Sia Giovanni X che Teofilo III erano presenti a Istanbul. Ma il primo non ha sottoscritto la dichiarazione che fissava nel 2016 la convocazione del concilio panortodosso. Né ha partecipato alla divina liturgia.

Un altro segnale di divisione è stata l'assenza dall'incontro di Gerusalemme tra Francesco e Bartolomeo di rappresentanti di primo piano della Chiesa ortodossa russa, di gran lunga la più grande nel campo dell'ortodossia.

Nel suo discorso nella basilica del Santo Sepolcro, papa Bergoglio ha rinnovato "l’auspicio di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti".

Il prossimo settembre, a Novi Sad in Serbia, è già in calendario un nuovo incontro della squadra congiunta di vescovi e teologi denominata "commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa", che dovrebbe proseguire lo studio della questione del primato papale nel solco del documento approvato a Ravenna nel 2007 da tutti i componenti della commissione.

Ma a Ravenna la Chiesa russa era assente e negli anni successivi ha sempre marcato il suo disaccordo rispetto a quel documento. Non solo. Lo scorso inverno il patriarcato di Mosca ha seccamente respinto in un documento approvato dal suo sinodo qualsiasi tipo di "primato" – sia del capo della Chiesa di Roma, sia del patriarca ecumenico di Costantinopoli tra le Chiese ortodosse – che non sia puramente onorifico e tra pari. A questo documento il patriarcato di Costantinopoli ha replicato in forma non meno decisa.

Ma c'è di più. C'è il timore che i progressi fin qui compiuti nel dialogo ecumenico tra Roma e le Chiese d'oriente appartengano a ristrette avanguardie illuminate e siano lontani dall'essere accettati dall'insieme della gerarchia e dei fedeli ortodossi.

Ne è indizio una chilometrica lettera diffusa in greco, in italiano e in inglese, inviata lo scorso 10 aprile al papa – o più esattamente: "All'Illustrissimo Sig. Francesco, Capo dello Stato del Vaticano" – da due vescovi metropoliti della Chiesa ortodossa della Grecia, Serafino del Pireo e Andrea di Konitsa.

La lettera è un'interminabile e sfrontata sequela di accuse, culminanti in quelle di eresia e idolatria, a sostegno della tesi che "fra ortodossia e papato non ci può essere alcun compromesso".

I due autori sono gli esponenti più in vista dell'ala tradizionalista della Chiesa ortodossa greca. Ma secondo il professor Enrico Morini, "rispecchiano le posizioni di buona parte della gerarchia ortodossa, in Grecia ma anche in Russia e in Romania, e, in un una misura ancora maggiore, dei fedeli ortodossi più consapevoli e ferventi". Morini è docente di storia e istituzioni della Chiesa ortodossa nell'università statale di Bologna e nella facoltà teologica dell'Emilia Romagna, e presidente della commissione per l'ecumenismo dell'arcidiocesi bolognese.

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