SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Eterologa, il governo ripensi al decreto-legge

di Alfredo Mantovano 03-09-2014   http://www.lanuovabq.it

Riassunto delle puntate precedenti.
Il 9 aprile 2014 con la sentenza n. 162 la Corte costituzionale dichiara illegittima la legge sulla Pma-procreazione medicalmente assistita, nella parte in cui non ammette il ricorso alla tecnica eterologa; due mesi dopo deposita la motivazione della pronuncia. Oltre all’enunciazione dei principi posti a base della decisione, la Consulta precisa che per effetto della sentenza non rivivono le circolari che dal 1985 al 1997 hanno disciplinato, in assenza di legge, la PMA in Italia; la Corte ribadisce invece che i limiti voluti dal Parlamento dieci anni fa con le disposizioni della legge 40 restano in piedi, e li menziona espressamente. Dunque, ancora oggi:

1. l’accesso alle tecniche di PMA, eterologa inclusa, continua a interessare “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertili, entrambi viventi”, con esclusione dei single, delle coppie dello stesso sesso, dei soggetti che hanno oltrepassato l’età “potenzialmente fertile”; 

2. il ricorso alla PMA esige a monte una condizione di sterilità/infertilità medicalmente documentata, non essendo ammessa quando l’obiettivo è la selezione genetica del figlio;

3. continuano a essere vietate e sanzionate pratiche come la commercializzazione dei gameti e la maternità surrogata;

4. la presunzione di paternità è regolata come per l’omologa: i figli di una PMA eterologa “hanno lo status di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”, e ciò rende inammissibile per la PMA eterologa l’azione di disconoscimento della paternità;

5. per le donazioni di gameti, posto che non sono remunerabili, vi è “l’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto”;

6. il diritto alla identità genetica, e quindi alla conoscenza del donatore da parte del nato da eterologa, almeno per dati significativi quali quelli attinenti alla salute, va disciplinato in analogia a quando accade per le adozioni o per la madre che non intende essere nominata.

Nelle settimane seguenti al deposito della motivazione si accende la dialettica fra coloro che ritengono la sentenza della Consulta immediatamente eseguibile senza interventi legislativi e facendo ricorso a semplici regolamentazioni amministrative, e chi – in primis il ministro della Salute – giudica necessario, per la complessità e il profilo dei diritti in gioco, accompagnare l’applicazione della sentenza da norme di rango primario.

Il ministro Lorenzin avvia a tal fine un tavolo tecnico, il cui esito, a fine luglio, è l’indicazione di punti essenziali da inserire in un intervento legislativo urgente: dal numero massimo consentito di donazioni alla tracciabilità donatore/nato, per permettere al nato da eterologa una anamnesi completa, da informazioni sull’identità del donatore che scongiurino unioni artificiali fra gameti e ovuli di persone con legami di parentela alla disciplina del consenso informato di coppie e donatore, dalle regole sui limiti di età alla omogeneità dei costi dell’accesso alla tecnica. 

La seduta del Consiglio dei ministri dell’8 agosto sembra quella giusta perché il Governo vari il decreto-legge. E invece la bozza elaborata dal ministero della Salute resta una bozza. Il presidente del Consiglio Renzi la blocca, garantendo però alla Lorenzin di proibire fughe in avanti in attesa di una legge dal Parlamento. Così al posto del decreto l’11 agosto l’on. Lorenzin invia una lettera ai capigruppo di Camera e Senato, con la quale sollecita «tutti i gruppi parlamentari ad assumere iniziative dirette a una tempestiva attuazione della sentenza della Consulta, secondo le indicazioni provenienti dal Giudice delle leggi e nel rispetto dei principi costituzionali vigenti».

Una missiva singolare; se per il governo è necessario dare “tempestiva attuazione” a una sentenza della Corte costituzionale non ha che da esercitare il proprio potere legislativo d’urgenza. Se invece intende condividere le scelte col Parlamento con una discussione che non subisca i tempi ristretti della conversione in legge di un decreto può proporre un disegno di legge. Di fatto, trascorre quasi un mese e alcune Regioni mostrano impazienza: Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Umbria annunciano, in assenza di una legge nazionale, di voler procedere autonomamente. Con l’effetto di una applicazione prevedibilmente non omogenea né in linea con le disposizioni sopravviventi della legge 40.

Si arriva a oggi. La conferenza Stato-Regioni convocata per il pomeriggio con gli assessori alla sanità e per domani con i presidenti ha il compito di concordare delle linee-guida; in tal senso si è espresso il presidente della conferenza, Sergio Chiamparino. Qualunque strada si immagini presenta dei rischi:

- l’assenza di una legge, benché auspicata dal governo, rende probabile che chiunque, fondandosi sulla sentenza della Corte costituzionale, si rivolga a un giudice ordinario. Il risultato sarà che pure su questo versante la giurisdizione detterà le regole al posto di un legislatore inerte;

- l’adozione di linee-guida da parte delle Regioni consiste comunque in un atto amministrativo in una materia che coinvolge diritti, taluni di rilievo costituzionale. Si aggiunga che un atto amministrativo può comunque, se non gradito, essere impugnato al Tar, e quindi non garantisce una regolamentazione stabile;

- i tempi del Parlamento non sembrano veloci: le Regioni attenderanno, nel momento in cui non sono note neanche semplici proposte di legge in materia? Nulla esclude peraltro, ricordando le maggioranze che finora si sono formate nelle Camere su temi eticamente sensibili, che dai lavori parlamentari possa venir fuori la demolizione di ulteriori limiti e cautele contenuti nella legge 40.

Per concludere. Lo strumento della legge è ineludibile. La scelta più sensata è che il governo riprenda la strada del decreto-legge: i punti-chiave sono già individuati, l’urgenza c’è tutta, visto il tempo che è trascorso dalla sentenza della Corte, la delimitazione del campo potrebbe cautelare in sede di conversione in Parlamento. Per la prima volta, affrontando tematiche così delicate, il governo Renzi dimostrerebbe buon senso: è un’occasione da non (ri)perdere. 

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Fecondazione assistita Le Regioni scelgono l'eterologa "comune"
di Viviana Daloiso 3 settembre 2014 www.avvenire.it © riproduzione riservata

Eterologa, nuovo capitolo. A scriverlo, stavolta, sono i tecnici e gli assessori alla sanità delle Regioni, che già oggi affideranno al tavolo di incontro tra i governatori il documento sulle ipotetiche linee guida da adottare nei centri per eseguire la tecnica.

Un testo che – nonostante le roboanti dichiarazioni della Toscana («rispecchia al 99% la nostra delibera») – si discosta in alcuni punti chiave da quanto previsto a Firenze e dintorni. A cominciare dal rischio concreto dell’apertura a una selezione eugenetica dei donatori, che proprio nella delibera toscana poteva trovare un’inquietante legittimazione laddove si richiedeva che oltre all’etnia si dovessero indicare colore di occhi, capelli e persino della carnagione. «Non è possibile per i pazienti scegliere particolari caratteristiche fenotipiche del donatore al fine di evitare illegittime selezioni eugenetiche», si precisa nel documento licenziato ieri dagli assessori, anche se poi si aggiunge che spetterà comunque alle cliniche cercare una «ragionevole compatibilità» tra donatori e riceventi, soprattutto per quanto concerne la (molto dibattuta in aula) questione della razza.
 
Altra differenza, le età previste per accedere alla tecnica: nel testo concordato si fissa il paletto di 43 anni per la donna ricevente (in quella toscana si indicava solo il generico limite dell’età fertile), di 20-35 anni per le donne donatrici (in Toscana si anticipava ai 18) e 18-40 per i donatori (in Toscana si prolungava ai 50). Ancora, si prevede un limite massimo di 10 nati per ogni donatore (con l’unica deroga che la coppia che ha già avuto un figlio da eterologa potrà però chiedere di averne altri con lo stesso donatore), si stabilisce con forza e in ogni caso l’anonimato del donatore (inizialmente erano circolate indiscrezioni sulla possibilità che i figli a 25 anni potessero chiederne e, previo ok dello stesso donatore, conoscerne l’identità), si prevede la gratuità del trattamento nelle strutture pubbliche (un argomento su cui però il confronto è ancora acceso: il costo della procedura si aggirerà tra i 2.500 e i 3.200 euro e sarebbe a carico del Servizio sanitario regionale finché il governo non dovesse decidere di inserire la pratica nei Livelli essenziali di assistenza).

Dettagli tecnici a parte, il risultato del tavolo di mercoledì ha finito col soddisfare tutti: «Il dibattito è stato attento ed equilibrato», spiega l’assessore alla Sanità del Piemonte Antonio Saitta, aggiungendo che «una volta approvato il testo anche dai governatori tutte le Regioni potranno procedere a una deliberazione comune, e anche la Toscana si dovrà adeguare». Un punto di vista condiviso dal collega lombardo Mario Mantovani, secondo cui «si è evitato il Far West e ora si può procedere con ordine ed equilibrio, anche se i rischi sono moltissimi».

Già, i rischi, che poi quando si parla di salute dovrebbero venire prima di tutto. La verità tuttavia – accordo tra Regioni o meno – è che in mancanza di una legge nazionale niente potrà essere sicuro, col risultato che a non essere tutelati saranno in primis i pazienti. Lo ha sottolineato anche il ministro Beatrice Lorenzin, che è intervenuta per sottolineare come sia positivo, sì, l’asse comune sul territorio ma come «allo stato attuale non ci sia nessun centro autorizzato per l’eterologa» (autorizzazione che ancora non è stata recepita a livello nazionale per la nuova attività prevista dall’eterologa, cioè la selezione del donatore). Una lacuna a cui si aggiunge quella altrettanto grave di un Registro nazionale dei donatori, senza il quale risulta impossibile garantire la completa e obiettiva tracciabilità di donatori e gameti, con rischi enormi per esempio sulla possibile consanguineità. E ancora, la fragilità normativa di un accordo tra Regioni, oltre a non comportare sanzioni per chi vi contravviene, potrebbe aprire a contenziosi e rivendicazioni giuridiche di ogni tipo a livello dei tribunali amministrativi.

Rischi che, come ha sottolineato Eugenia Roccella, parlamentare Ncd e Vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera, «renderanno fortemente problematica l’eterologa nei centri pubblici» finendo col favorire soltanto il business delle cliniche private. Proprio quelle da cui è partita con forza la battaglia per l’eterologa.

 

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