SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Elezioni europee e bene comune: l'Ukip di Farage visto da un gesuita inglese.

20/06/2014 popoli.info

Frank Turner, gesuita britannico che per nove anni si è occupato di questioni europee a Bruxelles, riflette sui temi che hanno dominato la campagna elettorale e sulle sfide che ci attendono. In particolare analizza le contraddizioni della proposta politica dell'Ukip, partito che ha trionfato in Gran Bretagna e che a Strasburgo ha stretto un'alleanza con il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.

Il risultato delle elezioni europee 2014 è stato descritto sia dai vincitori sia dagli sconfitti come un «terremoto». Si tratta di una strana metafora. Certamente evoca un drastico cambiamento nel paesaggio e suggerisce che il responso delle urne possa scatenare il panico. Ma un terremoto è una catastrofe e per nessuno un trionfo.

Questa elezione è stata contrassegnata anzitutto da una ristrettezza di orizzonti che deriva dalla paura. Nel Regno Unito, alla vigilia del voto, la stampa ha discusso assai poco dei meriti e dei difetti dell’Unione europea, concentrandosi invece sulla visione dell'Ue assunta da un unico partito: l’Ukip (United Kingdom Independence Party), e non la Ue, è stato il vero argomento.

Ma anche questo argomento non è stato affrontato seriamente. Il manifesto elettorale complessivo dell’Ukip è quasi passato sotto silenzio, mentre l’attenzione è andata a tre questioni: l’ostilità del partito verso la Ue, che è molto più profonda di un diffuso «euroscetticismo»; la xenofobia che ha paralizzato l’onestà intellettuale (basti pensare alla proposta per cui immigrati e turisti devono presentare un’assicurazione sanitaria privata come condizione preliminare per entrare nel Regno Unito, una proposta che, se attuata, distruggerebbe il turismo in Gran Bretagna); infine, il rifiuto viscerale per l'establishment politico britannico, l’intero spettro dei partiti tradizionali.

La dichiarazione dell’Ukip Ciò che rappresentiamo, inizia così: «Crisi dopo crisi, i nostri politici non fanno nulla di fronte ai pericoli che crescono intorno a noi». Il primo ministro Cameron non ha colto questo punto (forse volutamente), quando ha definito il successo dell’Ukip come il riflesso di uno specifico rifiuto della Ue. Ha aggiunto: «L'Unione europea non può ignorare questi risultati e andare avanti come prima. Abbiamo bisogno di cambiamento».

Anche in Francia, il caos nei partiti tradizionali ha lasciato che la retorica e il programma del Fronte nazionale (Fn) fossero incontrastati. La leader del Fn, Marine Le Pen, ha ripetuto la richiesta di essere «protetti dalla globalizzazione» e si è lamentata del fatto che la Francia è guidata da tecnocrati non eletti. Appelli di questo tipo sono demagogici. Come la Gran Bretagna, anche la Francia è incapace di proteggere i propri cittadini dalla globalizzazione e i principali settori economici di ogni Paese capaci di fare profitti sono spietati attori della globalizzazione, come l’industria francese dell’energia o del nucleare, o il settore finanziario britannico.

Inoltre, questi «tecnocrati non eletti» (cioè quelli della Commissione europea) sono per l’appunto funzionari pubblici. La Commissione europea è incaricata di proporre una linea politica, ma non prende decisioni, ancora meno «governa». Il potere decisionale nella Ue è limitato, dal momento che la competenza nella maggior parte dei settori economici e politici spetta agli Stati membri. Negli ambiti in cui l’Europa esercita un potere, questo è negoziato tra un Parlamento eletto e un Consiglio che rappresenta gli stessi Stati membri. La Commissione può insistere (attraverso direttive o regolamenti) solo su misure che gli Stati  hanno già approvato.

Ritengo, perciò, che il disincanto di fondo, sfruttato dall’Ukip per ottenere il suo successo elettorale, riguardi il sistema politico stesso. E tuttavia l’alienazione espressa nei risultati elettorali rappresenta una sfida formidabile per il prossimo Parlamento europeo, il quale, che lo meriti o meno, si trova in mezzo a una crisi di legittimità. Ora deve affrontare la presenza di una serie di partiti non impegnati a riformare la Ue, ma a interromperne il cammino e perfino a distruggerla.

Eppure, una politica definita in termini negativi non può costruire un futuro. La visione cristiana della politica offre una prospettiva opposta. Con fede, proclamiamo l'unità del nostra vita quotidiana fino alla morte con la vita eterna che la trascende, mentre la permea con il suo pieno significato. Alla luce di questo, il compito fondamentale della politica è quello di ricercare e sostenere la dignità umana e il bene comune.

A questo scopo, la politica e i politici hanno un ruolo indispensabile. Ma questo non significa ignorare i loro errori, né sorvolare sulla loro parziale impotenza in tempo di crisi. Una critica cristiana all'attività politica riconosce la forza del denaro nella politica tale per cui, ad esempio, le lobby delle aziende minacciano l'indipendenza dei parlamentari. In modo simile, la disperata ricerca di «crescita» può rendere inefficace qualsiasi serio tentativo di ridurre le intollerabili disuguaglianze economiche. La disillusione diventa quasi inevitabile, soprattutto quando si notano i limiti della stessa democrazia formale, nella quale i rappresentanti eletti ottengono un mandato a breve termine per affrontare sfide globali enormi: sfide, però, che richiedono decisioni impopolari che mettono in pericolo una rielezione.

Nonostante l’Ukip, il Fn e i partiti analoghi di altri Paesi, il progetto di un «ritorno alla sovranità nazionale» è inutile. Dal punto di vista dell’Ukip e del Fn, questa sovranità è esercitata da coloro che deridono per la loro inutilità. Più in generale, i governi nazionali non possono affrontare da soli le sfide che ci attendono, che siano il cambiamento climatico, la governance delle multinazionali o la protezione contro una non ben definita globalizzazione.

Fallimenti nella governance si verificano a livello nazionale non meno che a livello europeo, per questo motivo è stata fondata l'Unione europea. Il governo britannico cerca alleanze per il suo programma di cambiamento, proprio come l’Ukip cerca alleati per ottenere più influenza nel nuovo Parlamento. Ma un’alleanza è una struttura provvisoria di collaborazione proposta sulla base di interessi nazionali o di partito. Solo un elevato senso di comunità politica, trovando espressione a livello regionale, nazionale e transnazionale - in cui accettiamo la nostra comune solidarietà e la responsabilità per l'altro - può offrire speranza per il futuro.

Frank Turner SJ
© www.thinkingfaith.org
Rivista online dei gesuiti britannici

           SOMMARIO RASSEGNA STAMPA