SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Nel sinodo e dopo, porta girevole per gli omosessuali

di Sandro Magister 15-10-2014 lanuovabq.it

Prima ammessi con tutti gli onori, poi ricacciati fuori.
Martin Rhonheimer fa il punto sulla questione


ROMA, 22 ottobre 2014 – L'omosessualità è stata una delle questioni più controverse, nel recente sinodo straordinario sulla famiglia, come prova la diversità abissale tra il paragrafo ad essa dedicato nella "Relatio" finale e i tre paragrafi della precedente "Relatio" di metà discussione.

"Relatio" finale:

"55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: 'Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia'. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. 'A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione' (Congregazione per la dottrina della fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4)".

"Relatio post disceptationem":

"50. Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?

"51. La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender.

"52. Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli".


Prima dal cardinale relatore Péter Erdö e poi dal presidente delegato Raymundo Damasceno Assis, l'autore materiale di questi tre paragrafi è stato indicato nel segretario speciale del sinodo Bruno Forte, voluto in questo ruolo da papa Francesco.

Ma anche la preistoria di questi paragrafi è significativa. Due su tre dei padri sinodali che nella discussione in aula hanno sollevato l'argomento – i soli su quasi duecento presenti – hanno infatti appoggiato esplicitamente le loro argomentazioni su affermazioni di papa Jorge Mario Bergoglio.

L'arcivescovo di Kuching John Ha Tiong Hock, presidente della conferenza episcopale di Malesia, Singapore e Brunei, si è rifatto al passaggio dell'intervista di Francesco a "La Civiltà Cattolica" nel quale il papa sollecita la Chiesa a maturare e riformulare i propri giudizi sulla comprensione che l'uomo d'oggi ha di sé – anche in materia di omosessualità, ha specificato l'arcivescovo – con la stessa disposizione al cambiamento che avrebbe mostrato in passato nel mutare radicalmente i propri giudizi sulla schiavitù:

. «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona.

Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate». «Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato.

Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio»

...«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile.

Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo.

Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo.

Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».

«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».

«Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo.

La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». «Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa.

Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».

Questa intervista era stata raccolta e pubblicata nel settembre del 2013 dal direttore de "La Civiltà Cattolica", il gesuita Antonio Spadaro, il quale aveva anche trascritto e pubblicato sulla stessa rivista, nel gennaio del 2014, un colloquio del precedente novembre tra il papa e i superiori generali degli ordini religiosi: "Svegliate il mondo!"

«Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “La fidanzata di mia madre non mi vuol bene”». Ha quindi commentato: «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?» (Cfr Civ Catt 2014 I 3-17)

Ed è da questo secondo colloquio che padre Spadaro – nominato membro del sinodo personalmente da Francesco – ha ripreso in aula le testuali parole del papa riguardo a una bambina adottata da due donne lesbiche, per sollecitare la Chiesa a un rinnovato e dovuto "ascolto e discernimento" di situazioni di questo tipo. Padre Spadaro, disobbedendo agli ordini della segreteria generale del sinodo, ha poi reso pubblico questo suo intervento in aula: Intervento di p. Antonio Spadaro S.I.

La questione omosessuale si presenta qui come una importante sfida educativa (Cfr IL 120). Dobbiamo essere sempre consapevoli che l’atteggiamento che teniamo verso le situazioni che definiamo «disordinate» e «irregolari» di coppia determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli (Cfr IL 138). La stessa questione omosessuale, inoltre, ci interpella a una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva evangelica. La Chiesa forse non ha affrontato fino ad oggi la questione con il dovuto ascolto e discernimento, considerandola solamente un residuale elemento di disordine.

La "Relatio post disceptationem", nei tre paragrafi dedicati all'omosessualità, ha ripreso e sviluppato ulteriormente le cose dette in aula dall'arcivescovo malese, da padre Spadaro e dal cardinale Christoph Schönborn, il terzo intervenuto sul tema. Ma la successiva discussione nel sinodo ha fatto pezzi i tre paragrafi e di essi non è confluito praticamente nulla nella "Relatio" finale, che sull'omosessualità si limita a rimandare a quanto già detto dal Catechismo della Chiesa cattolica e dalla congregazione per la dottrina della fede.

Dopo due settimane di accesa discussione nel sinodo, la questione è parsa dunque essere tornata al punto di partenza. Ma qual è questo punto di partenza, al di là delle scarne indicazioni della "Relatio"? Cioè qual è la lettura che il magistero e la teologia morale cattolica, nelle sue sedi ufficiali, danno della questione dell'omosessualità? Dal punto di vista teologico e filosofico, l'articolo che segue è una nitida fotografia della visione classica in materia, nel solco di san Tommaso d'Aquino. Ne è autore Martin Rhonheimer, svizzero, sacerdote dell'Opus Dei, professore di etica e filosofia politica nella Pontificia Università della Santa Croce, Roma. Il testo integrale dell'articolo, in italiano e in inglese, è in quest'altra pagina di www.chiesa: Le inclinazioni del vissuto sessuale e la loro ragionevolezza.

SUL CARATTERE NON RAGIONEVOLE DEGLI ATTI OMOSESSUALI
di Martin Rhonheimer

Vorrei qui approfondire l’idea centrale della “verità della sessualità”, vale a dire l’idea che la sessualità umana possiede una sua verità propria che, senza svalutarne l’intrinseca bontà come vissuto affettivo e sensuale, la trascende e la integra nell’insieme della dimensione spirituale della persona umana. […]

La verità della sessualità è il matrimonio.

È l’unione fra persone in cui l’inclinazione è vissuta come scelta preferenziale – "dilectio" – e in cui diventa amore, mutua donazione, comunione indissolubile, aperta alla trasmissione della vita e amicizia in vista di una comunità di vita che perdura fino alla morte.

È così, in questo preciso contesto – il contesto della castità matrimoniale che include il bene della persona dell’altro e si trascende verso il bene comune della specie umana – che il vissuto sessuale, anche nelle  sue dimensioni affettive, impulsive, sensuali, si presenta anche come autentico "bonum rationis", qualcosa di intrinsecamente ragionevole e buono per la ragione. […]

Gli atti sessuali – la copula carnale cioè – e il vissuto sessuale, in quanto atti ragionevoli, sono dunque necessariamente e per loro propria natura espressione di un amore nel contesto della trasmissione della vita.

Un’attività sessuale, invece, che escluda per principio tale contesto, tanto in modo intenzionalmente ricercato (come nel caso della contraccezione riferita ad atti eterosessuali) quanto “strutturalmente” dato (come nel caso di atti omosessuali) non è un bene per la ragione proprio come sessualità e come vissuto sessuale. Si pone a livello di un mero bene dei sensi, di un’affettività stroncata, strutturalmente ridotta a livello sensuale, istintivo e impulsivo.

Una tale riduzione sensuale dell’amore e dell’affettività logicamente è anche possibile nel caso di atti eterosessuali, anche al di fuori del caso della contraccezione, e nel matrimonio. Ma nel caso dell’omosessualità tale riduzione non è soltanto intenzionale e volontariamente cercata, ma “strutturale”, data cioè dallo stesso fatto che si tratta di persone del medesimo sesso, che per motivi biologici e per la loro stessa natura, non possono essere procreativi.

La causa ultima di tale riduzione sta nel fatto che si tratta –  in base a delle scelte consapevoli e libere – di una sessualità senza compito o senza “missione”, di un’inclinazione sensuale che non si trascende verso un bene umano intelligibile al di sopra del solo vissuto sensuale. L’esperienza – anche quella degli omosessuali praticanti, tante volte così dolorosa – lo conferma. […]

Nel caso dell’omosessualità la separazione fra sessualità e procreazione è dunque strutturale. Perciò si tratta anche di atti strutturalmente non ragionevoli e quindi moralmente non giustificabili per la loro stessa natura.

Sono ciò che tradizionalmente i moralisti chiamano un peccato "contra naturam", anche se nell’orizzonte di un’affettività orientata verso il soddisfacimento dell’impulso sensuale tali atti possono sembrare ragionevoli e giustificabili e, almeno per un certo tempo,  essere soggettivamente vissuti come tali.

L’ampia cultura odierna di separazione fra sessualità e procreazione rende più difficile la comprensione dell’intrinseca non-ragionevolezza degli atti omosessuali.

Questa cultura, favorita a livello globale dal facile accesso ai mezzi contraccettivi e ormai diventata normalità, è il carattere distintivo di quella “rivoluzione sessuale” che è anche una vera e propria rivoluzione culturale. Una delle conseguenze di questa rivoluzione è che il matrimonio è sempre meno inteso come progetto di vita e più concretamente: come progetto con una trascendenza sociale; vale a dire capace di unire due persone che mirino al futuro, e che abbiano come obiettivo comune quello di costituire una famiglia che persista nel tempo.

Le unioni omosessuali in questo senso non possono definirsi famiglie, anche quando nel loro seno si trovano dei bambini adottati o “fatti” mediate modalità di tecnologia riproduttiva. Tali “famiglie” formate da coppie dello stesso sesso non sono altro che un’imitazione di quello che è la famiglia vera: un progetto realizzato da due persone mediante il loro amore, il loro dono reciproco nella totalità del loro essere corporeo e spirituale. Le “famiglie” di coppie omosessuali non potranno mai realizzare questo progetto, giacché l’amore che sta alla base di queste unioni – vale a dire gli atti sessuali che pretendono di essere atti di amore sponsale – sono strutturalmente e necessariamente, in base alla loro propria natura, infecondi.

È diverso, certamente, il caso di una coppia eterosessuale che per delle ragioni che sono indipendenti dalla volontà di entrambi i partner non può avere figli e per questa ragione adotta uno o più bambini. In questo caso infatti la loro unione è per sua propria natura – cioè strutturalmente – di tipo generativo. Per questa ragione, cambia anche la struttura intenzionale e il carattere morale dell’atto di adozione: esso acquista il valore di una realizzazione alternativa di qualcosa per cui l’unione coniugale è per sua natura predisposta, e soltanto "per accidens" impedita. La non-fecondità è quindi "praeter intentionem" e non entra nella valutazione morale. Così l’atto di adozione può partecipare alla struttura di fecondità intrinseca dell’amore matrimoniale.

Non si può dire lo stesso nel caso di una coppia formata da persone dello stesso sesso. In questo caso l’infecondità è strutturale ed è assunta intenzionalmente mediante la libera scelta di formare appunto questo tipo di unione. Qui non esiste nessun nesso fra amore matrimoniale e adozione, giacché il primo, l’amore matrimoniale che include l’apertura alla dimensione procreativa, è interamente assente. Perciò l’atto di adozione in un’unione omosessuale è una pura imitazione – un falso – di quello per cui il matrimonio è predisposto per la sua natura propria.

Un’ultima osservazione: ogni giudizio sull’omosessualità, la sua intrinseca non ragionevolezza e immoralità, si riferisce, ovviamente, unicamente agli atti sessuali fra persone dello stesso sesso. Non si tratta invece di un giudizio sulla mera disposizione a tali atti che, anche se è considerata non ragionevole, non ha, nella misura in cui non è assecondata, carattere di errore morale.

E ancor meno si tratta di un giudizio sulle persone con tendenze omosessuali, sulla loro dignità e sul loro valore morale, il quale può essere messo in discussione soltanto dalla pratica di atti omosessuali e dalla scelta di un corrispondente stile di vita, liberamente eletto come bene, poiché costituirebbe una scelta moralmente sbagliata e perciò cattiva, capace di allontanare dal vero bene umano.

Un omosessuale, invece, che si astenga dalla pratica di atti omosessuali può vivere la virtù della castità e tutte le altre virtù, arrivando anche al più alto livello di santità.

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