SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
Alle radici del caos libico
di Enrico Casale http://www.popoli.info  28/8/2014 © FCSF – Popoli

La Libia è in preda all’anarchia. Le milizie si stanno ferocemente combattendo sia in Tripolitainia che in Cirenaica e l’autorità centrale, priva di forze armate organizzate, non riesce a ripristinare l’ordine sul territorio.

La situazione è il frutto di una crisi politico-militare che è andata peggiorando a partire dal 2013. È nel maggio dello scorso anno che i rapporti tra le formazioni di ispirazione religiosa e quelle laiche peggiorano. Il pomo della discordia è la legge sull’isolamento politico, voluta dagli islamisti, che esclude i vecchi funzionari del regime di Gheddafi dalla vita politica, penalizzando così le formazioni più secolari. A queste prime crepe, che si sommano a una situazione già instabile sul territorio sotto il controllo delle milizie locali, si aggiunge poi a dicembre l’approvazione da parte del Parlamento della norma che prevede la legge islamica come principale fonte per la riscrittura della Costituzione e il successivo prolungamento del mandato parlamentare da parte degli stessi islamisti.

I segnali dell’imminente rottura si avvertono sempre più forti quando Khalifa Haftar, un ex generale di Gheddafi che negli anni Ottanta ha disertato rifugiandosi negli Stati Uniti ed è poi rientrato in patria dopo la caduta del rais, si fa portavoce della componente laica e dichiara sciolto il Parlamento. Sempre Haftar, senza il sostegno delle istituzioni statali, attacca in maggio le postazioni delle formazioni islamiste radicali. La situazione precipita e la Libia diventa territorio di scontro tra milizie laiche e islamiche.

Le elezioni per il nuovo Parlamento che si tengono il 25 giugno non riportano la calma. Anzi, gettano nuova benzina sul fuoco. Il risultato, che assegna la maggoranza dei seggi alle formazioni laiche, non viene riconosciuto dai partiti islamici. Così il nuovo Parlamento, dominato dai laici, si riunisce a Tobruk e quello vecchio, dominato dagli islamisti, continua a riunirsi a Tripoli. Nel frattempo gli islamisti creano la coalizione Libyan Dawn (Alba libica), sancendo una alleanza di fatto tra le forze islamiche moderate e quelle fondamentaliste (come Ansar al Sharia, molto vicino alle posizioni qaediste), e agli inizi di agosto lanciano un’offensiva contro l’aeroporto di Tripoli, sotto il controllo delle milizie laiche. L’aeroporto cade sotto il controllo degli islamisti il 25 agosto, ma l’alleanza delle forze musulmane si frantuma poco dopo. È di ieri l’annuncio delle forze islamiche moderate della presa di distanza dai fondamentalisti (la cui roccaforte è a Bengasi in Cirenaica, dove a luglio hanno addirittura dichiarato la costituzione di un califfato sul modello di quello iracheno).

Il quadro politico-militare è reso ancora più complesso dalle sempre più frequenti ingerenze dei Paesi confinanti. Algeria ed Egitto non hanno alcun interesse ad avere una Libia in mano al fondamentalismo islamico e, allo stesso tempo, il Cairo lavora affinché Tripoli non cada sotto l’influenza di Algeri e viceversa. Il presidente egiziano al Sissi, nella sua lotta senza quartiere contro la Fratellanza musulmana, non solo avrebbe armato il generale Haftar, ma avrebbe anche sostenuto logisticamente i ripetuti bombardamenti effettuati dai caccia degli Emirati arabi uniti sulle milizie islamiste che stavano attaccando l’aeroporto di Tripoli.

«Il futuro della Libia - spiega Arturo Varvelli, analista dell’Ispi e profondo conoscitore della Libia – è veramente fosco. In questo gioca molto la responsabilità dei Paesi occidentali. Caduto Gheddafi, invece di indire subito le elezioni che si sono tenute nel 2012, avrebbe dovuto essere convocata una conferenza nazionale nella quale le componenti della società libica avrebbero dovuto stilare un nuovo patto nazionale in cui tutte si riconoscevano. Solo dopo aver dato vita a questo patto si sarebbe potuto procedere all’approvazione di una Costituzione e a indire nuove elezioni. Invece si è bypassato questo stadio e il risultato è sotto gli occhi di tutti: la polarizzazione e la militarizzazione della politica, la violenza, il conflitto tra le componenti della società libica. Ormai vivere in Libia è diventato difficile».

E se è difficile vivere in Libia per i libici, per gli immigrati subsahariani è diventato quasi impossibile. Abba Mussie Zerai, un sacerdote eritreo che da anni lavora per salvare i profughi, domenica 24 agosto ha dichiarato a Radio Vaticana che sono ormai migliaia le persone che in Libia attendono di imbarcarsi per l’Europa. Da testimonianze da lui raccolte, gli immigrati sarebbero sfruttati come schiavi dalle diverse milizie che li impiegano in lavori di fatica. Le stesse milizie gestirebbero poi il traffico verso l’Europa. Quel traffico che, nei primi otto mesi del 2014, ha fatto almeno 1.900 vittime secondo i dati dell’Onu. «Chi parte dall’Africa subsahariana - ha recentemente dichiarato mons. Vincenzo Martinelli, amministratore apostolico di Tripoli - sa quanto in Libia sia duro trovare soluzioni migliori. Ma la disperazione nei loro Paesi di origine è tale che non rimane altro che tentare di fare qualcosa anche se con conseguenze drammatiche. La loro situazione è indecifrabile. I loro racconti disarmano. La loro vita è un tunnel».
           SOMMARIO RASSEGNA STAMPA