SOMMARIO RASSEGNA STAMPA
I musulmani temono gli jihadisti. Specie quelli più vicini .

di Valentina Colombo 07-07-20144 lanuovabq.it

"Certamente non tutti i musulmani sono terroristi, tuttavia è con dolore che affermiamo che la maggior parte dei terroristi nel mondo è costituita da musulmani".

Così scriveva Abd al-Rahman al-Rashed, editorialista del quotidiano arabo internazionale Asharq al-awsat, all'indomani della strage alla scuola di Beslan, il 3 settembre 2004. Era un grido di rabbia e dolore perché, come si leggeva nell'articolo, i terroristi "sono le persone che danneggiano l'islam". Era un grido che assumeva un valore aggiunto in quanto proveniente da un musulmano saudita, figlio di quella nazione che ha dato i natali al principale terrorista dei nostri tempi, Osama Bin Laden, e alla maggior parte degli attentatori dell'11 settembre.

Sono trascorsi quasi dieci anni e il Medio e il Vicino Oriente hanno conosciuto sempre più da vicino le disastrose conseguenze dell’ideologia esplosiva che coniuga precetti coranici del VII Secolo dopo Cristo alla sete di potere e distruzione. In modo particolare dalla cosiddetta Primavera araba si è assistito allo sdoganamento dei Fratelli musulmani che ha avuto come conseguenza il dilagare nella regione, e non solo, della faccia violenta e spietata dell’estremismo islamico che oggi minaccia in prima istanza con l’avanzata dell’ISIS (lo Stato Islamico di Siria e Levante), la Siria, l’Iraq e la Giordania, ma che di fatto con sigle diverse è presente e avanza in ogni dove.

Ebbene, tra l’aprile e il maggio 2014, ovvero prima che l’ISIS giungesse in Iraq, il Pew Research Center ha svolto un sondaggio i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso 1 luglio in un rapporto dal titolo significativo Preoccupazione circa la crescita dell’estremismo islamico in Medio Oriente. Opinioni negative su Al Qaeda, Hamas e Hezbollah. Il risultato più evidente e immediato è la crescente preoccupazione in Tunisia, Libano, Egitto, Giordania, Turchia nei confronti dell’estremismo islamico.

In Libano, a seguito dell’aggravarsi non solo della crisi siriana, ma anche delle frizioni interne tra elementi sunniti e sciiti, si è passati dall’81% nel 2013 al 92% nel 2014; nello stesso periodo in Tunisia si è passati dal 71% all’80%; in Egitto dal 69% al 75%; in Giordania, paese minacciato sia dalla crisi siriana che dall’avanzata dell’ISIS, dal 54% al 62%; infine in Turchia la percezione della minaccia estremista è sbalzata dal 37% al 50%.

Alla domanda riguardante l’estremismo islamico nel proprio paese si dimostra preoccupato il 92% dei libanesi, l’80% dei tunisini, il 75% degli egiziani, il 65% dei palestinesi, il 62% dei giordani, il 50% dei turchi, l’84% degli israeliani. Il sondaggio si occupa in seguito delle principali realtà legate all’estremismo/terrorismo islamico con un grande assente: i Fratelli musulmani che compaiono solo nella loro versione palestinese rappresentata da Hamas.

Per quanto concerne Al Qaeda ne hanno un’opinione sfavorevole il 92% dei libanesi, l’85% dei turchi, l’83% dei giordani, l’81% degli egiziani, il 74% dei tunisini e il 59% dei palestinesi. È interessante confrontare questi dati con l’opinione nei confronti di Hamas la cui azioni terroristiche, tanto da fare includere il movimento nelle principali liste terroristiche a livello mondiale, si concentrano prevalentemente sul territorio israeliano. Le percentuali cambiano sensibilmente. Hamas viene percepito sfavorevolmente dal 65% dei libanesi, nella fattispecie dal 79% dei cristiani, dal 65% dei sunniti e dal 44% degli sciiti, dal 61% dei giordani, dal 61% degli egiziani e dal 53% dei palestinesi. Interessante è il dato che vede avere un’opinione peggiore di Hamas il 63% degli abitanti della striscia di Gaza, contro il 47% degli abitanti del Cisgiordania, a indicare che chi vive più a stretto contatto con il Movimento di resistenza islamico, meno ne apprezza l’operato. Anche l’opinione nei confronti di Hezbollah merita una riflessione.

Nei paesi in cui Hezbollah non rappresenta una minaccia, il Partito di Dio sciita è considerato con sospetto. In Turchia l’85%, in Egitto l’83%, in Giordania l’81% ha un’opinione sfavorevole a riguardo. In Libano è considerato in modo sfavorevole dall’88% dei sunniti, dal 69% dei cristiani e solo dal 13% degli sciiti; nei territori palestinesi è visto in modo sfavorevole dal 69% degli abitanti di Gaza, regno del contraltare sunnita di Hamas, e dal 46% degli abitanti del Cisgiordania.

Un altro punto degno di nota riguarda l’opinione nei confronti degli attentati suicidi “contro obiettivi civili per difendere l’islam dai suoi nemici”. Innanzitutto va sottolineata l’ambiguità della domanda, in cui si dimentica che l’attentato suicida ha solitamente scopi politici, come nel caso di Israele, oppure viene rivolto sia contro alcune minoranze, in modo particolare quelle cristiane, sia contro musulmani considerati come rivali o traditori dell’islam. Quindi è evidente che a una domanda politicamente corretta e ambigua seguano delle risposte che vanno considerate come indicative. Fatta questa premessa, la somma di coloro che si sono espressi sempre o spesso a favore del ricorso all’attento suicida fornisce i seguenti risultati: il 62% dei palestinesi di Gaza, ideologicamente plasmati da Hamas, si esprime a favore, contro il 36% dei palestinesi in Cisgiordania; in Libano sono più favorevoli gli sciiti con il 37%; in Egitto il 24%.

Il rapporto ricorda altresì che, ad esempio in Libano, nel 2002, il 74% dei cittadini del paese dei cedri giustificava gli attentati suicidi, ma che dal 2005, con l’assassinio del Primo Ministro Rafiq Hariri, le posizioni sono mutate. A dimostrazione che da un lato il terrorismo viene giustificato, se non lo si vive in prima persona, e dall’altro che il terrorismo preoccupa, man mano che si avvicina. Sarebbe quindi interessante ripetere il sondaggio ora, con l’ISIS all’interno o alle porte di alcuni paesi mediorientali.

Il Medio Oriente è destinato a una riflessione profonda sulla definizione di terrorismo e di estremismo islamico, due realtà strettamente connesse tra di loro e dilaganti a vari livelli, in vari modi nell’area. Il Medio Oriente, così come l’Occidente, saranno a breve costretti a valutare le conseguenze deleterie della predicazione dell’odio che conduce talvolta, quando si tratta di realtà legate al salafismo e al jihadismo, direttamente e a breve termine al terrorismo, talaltra, nel caso dell’ideologia e della filosofia della “gradualità” dei Fratelli musulmani, apre un varco pericoloso alla penetrazione delle idee che plasmano la mente e la rendono terreno fertile all’azione diretta. L’opinione, presentata dal rapporto del Pew Center, di chi conosce e vive questo fenomeno sulla propria pelle non deve essere né trascurata né tantomeno sottovalutata.


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