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Diaconato femminile, suor Melone: «Non pretendiamo il sacerdozio»

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La religiosa che guida l’università Antonianum è uno dei simboli della svolta «rosa» di Francesco: «Le donne fanno crescere la Chiesa, ma molto spesso non sono ascoltate perché si teme che rivendichino l’accesso al ministero. È una strumentalizzazione» di Gian Guido Vecchi corriere.it 13 maggio 2016 | 17:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA


Suor Mary Melone

CITTÀ DEL VATICANO - «Vede, io continuo a lavare i piatti con le mie consorelle. Non ho scelto un lavoro ma il servizio, in qualunque forma, anche quello che sto facendo adesso...».

Suor Mary Melone, dal 2014 al vertice dell'università Antonianum, è uno dei simboli della svolta al femminile di Francesco. Teologa francescana, studiosa in particolare di Riccardo di San Vittore, già decana della facoltà di Teologia e presidente della Società italiana per la ricerca teologica, a neanche cinquant'anni è diventata la prima donna rettore di un ateneo pontificio.

Mentre parlava alle superiori generali, e apriva alla possibilità delle donne diacono, il Papa ha distinto tra servizio e servitù...

«Sì, ha detto anche che troppe donne consacrate sono considerate “donnette”. Talvolta c'è questo rimpicciolire, fraintendere. Il fatto è che storicamente ci siamo dedicate a molte forme di servizio. Nel passato le suore erano maestre o infermiere in un contesto sociale in cui le altre donne spesso non potevano fare neanche quello. Lo abbiamo scelto liberamente, il servizio. Ciò che non è giusto è che venga considerato e preteso come una servitù. È un equivoco che le suore, e le donne in generale nella Chiesa, spesso subiscono».

Che cosa significa ora la possibilità del diaconato femminile?

«Credo sia un segnale importante, anche al di là del diaconato in sé. L’affermazione di Francesco esprime ancora una volta la sua volontà seria di assicurare alle donne un ruolo effettivo, decisionale, nella Chiesa. Ma a volte si strumentalizzano sia le parole del Papa sia quello che le stesse donne dicono. Non è questione di potere. D’altronde Francesco non concepisce il ministero ordinato nel senso del potere, ma come servizio alla comunità. Quando noi donne diciamo che è importante esserci a livello decisionale, là dove la Chiesa si interroga su se stessa, non è per occupare spazi di potere. Essere presenti nella Congregazioni vaticane è un importante traguardo, ma non è l 'unico risultato che le donne desiderano. L’essenziale è la consapevolezza che l’autorevolezza delle donne fa crescere la Chiesa».

È facile prevedere che ci saranno resistenze forti, no? C’è sempre il timore che sia un primo passo per arrivare alle donne prete…

«L’importante è che non sia una scusa per escludere la donne dalla possibilità di puntare a ruoli decisionali all’interno della Chiesa. Rispetto moltissimo tante donne colte e innamorate della Chiesa che rivendicano il sacerdozio e spesso per questo hanno pagato di persona. Per la mia formazione, tuttavia, non condivido questa aspirazione. Io non penso che il sacerdozio ordinato debba essere l’unica condizione per garantire un ruolo significativo alle donne. D’altra parte, è chiaro che il ministero assicura forme di potere precluse ad altri. E molto spesso le donne non sono ascoltate perché si teme che rivendichino un accesso al sacerdozio ordinato pensando che sia l’unico modo di assicurarsi il potere. Anche questo non è giusto, è una strumentalizzazione».

E come se ne esce?

«Le donne non devono essere accolte nella Chiesa: siamo Chiesa e abbiamo un nostro ruolo che deve essere riconosciuto, garantito. La partita diventa scorretta quando il tema si mantiene solo sulla questione dello spazio di potere. Francesco ricorda a tutti che ordine sacro non è una potestas, ma è una funzione per la comunità».

Le donne avranno mai voce in capitolo?


« Credo che le donne abbiano maturato il diritto a questo. La mancanza di sacerdoti assicura già, in molte parti del mondo, un ruolo decisionale, amministrativo alle donne. Del resto, cosa sarebbero le parrocchie senza le donne che fanno catechesi e garantiscono la catena di trasmissione della fede? E tutto questo non trova spazio, quando la Chiesa decide del proprio futuro? Il passaggio che il Papa ci sta facendo fare è questo: non subirlo come una necessità per la carenza di preti, ma riscoprire la comunione della Chiesa nella diversità dei ruoli».

C’è il rischio, anche per le donne, di cadere nel clericalismo?


«Il Papa ha più volte messo in guardia Chiesa dal clericalismo, in genere. Quindi, il pericolo c’è. Ma aprirsi seriamente alle donne, alla molteplicità dei ministeri, per la Chiesa sarebbe un antidoto. Questo richiede alle donne molta onestà: non ci interessa arrivare lì dove sono arrivati uomini, ma dare il nostro apporto specifico come donne. La autorevolezza delle donne deve prescindere da modelli maschili. Non è una simile identificazione che ci fa essere veramente donne. Altrimenti sarebbe come riconoscere una nostra inferiorità».


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