Corso di Religione

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La povertà secondo Francesco e la religione del consumo imposta mondialmente attraverso i nuovi media.

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[La povertà ...] È caposaldo del magistero del papa. Che la esalta come valore salvifico ma nello stesso tempo la condanna come nemico da combattere. Un filosofo analizza questa non risolta contraddizione del pontificato di Sandro Magister-- http://chiesa.espresso.repubblica.it

ROMA, 11 luglio 2016 – La ricezione dei maggiori atti magisteriali di papa Francesco spazia tra due estremi. Da un lato c'è il coro quasi universale di plauso di cui gode la sua enciclica ecologista " Laudato si '", specie al di fuori del cattolicesimo.

Sul lato opposto c'è la disputa sempre più conflittuale, in questo caso soprattutto dentro la Chiesa, attizzata dall'esortazione apostolica postsinodale " Amoris laetitia ".

Mentre nel mezzo c'è la tranquilla accoglienza, senza eccessi né pro né contro, di quell'altro caposaldo del pontificato di Francesco che è esplicitato soprattutto nell'esortazione " Evangelii gaudium " ed è condensato nella formula della "Chiesa povera per i poveri".

Da un paio di mesi, però, è uscito un libro che, senza fare rumore ma riscuotendo un'attenzione crescente per la chiarezza e l'acume della sua analisi, mette a fuoco proprio tale questione: F. Cuniberto, "Madonna povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo", Neri Pozza Editore, Vicenza, 2016

L'autore, Flavio Cuniberto, insegna estetica all'università di Perugia. I suoi studi spaziano dalla filosofia alla letteratura moderna e contemporanea, specie tedesca, con incursioni nel platonismo, nell'ebraismo, nel pensiero islamico e con un particolare interesse alle questioni della modernità.

Nella povertà esaltata da Jorge Mario Bergoglio, il professor Cuniberto vede una doppia contraddizione, la prima di natura teologica, la seconda di carattere pratico.

Nel primo caso egli osserva che Francesco, nel momento stesso in cui eleva la povertà a categoria teologica, sul modello della "kenosis" del Figlio di Dio fatto uomo, la tratta in realtà come condizione materiale più che spirituale, in un senso marcatamente sociologico: la povertà delle "periferie" e degli esclusi dalla ricchezza.

La seconda contraddizione è invece tra la povertà come valore salvifico e nello stesso tempo come nemico da combattere, per vincere il quale Bergoglio indica inoltre dei rimedi che "ricalcano vecchi schemi terzomondisti" scollegati dalla realtà.

Non occorre, infatti, essere dei sostenitori del capitalismo liberista – come non lo è il professor Cuniberto – per riconoscere che esso ha comunque strappato dalla povertà una massa sterminata di persone, entrate a far parte delle nuove classi medie. Ed è proprio questo, ad esempio, uno dei dati di fatto che papa Francesco non vede.

Il 12 luglio 2015, richiesto a bruciapelo da un giornalista tedesco, sul volo di ritorno dal Paraguay, di spiegare perché non parli mai delle classi medie, Francesco ha effettivamente ammesso lo "sbaglio" di trascurarle nelle sue analisi, ma ha aggiunto che a suo giudizio queste classi "diventano sempre più piccole", schiacciate dalla polarizzazione fra i ricchi e i poveri.

Ecco qui di seguito come il professor Cuniberto analizza e confuta queste contraddizioni in alcuni passaggi del libro, che naturalmente è molto più argomentato ed è tutto da leggere.
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La povertà: nemico da combattere o tesoro prezioso?di Flavio Cuniberto

Discutibile sul piano teologico-esegetico, questa interpretazione della povertà [fatta da papa Francesco] genera un groviglio che è molto simile a un rompicapo.

Se infatti la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall'inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l'obiettivo primario dell'azione missionaria, il significato cristologico della povertà ne fa però, contemporaneamente, un valore, e anzi il valore supremo ed esemplare.

Se la beatitudine, cioè il possesso del Regno, è annunciata ai poveri, se l'esistenza stessa del povero possiede una "forza salvifica" a cui il cristiano deve attingere (perché attinge così a Cristo stesso), diventa difficile pensare alla povertà come a un semplice nemico da combattere, a una semplice passività da eliminare.

Perché combattere la povertà e e sradicarla, quando è al contrario un "tesoro prezioso", e addirittura la via verso il Regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso? Scarti sociali da integrare o figure misteriose dell'Incarnazione? Il discorso sembra avvitarsi in questa contraddizione senza fondo.

Supponiamo – è ovviamente una visione utopica – che l'azione missionaria orientata dall'"opzione per i poveri" ottenga alla fine lo scopo dichiarato di liberare i poveri dalla propria condizione di esclusione sociale, ossia in breve di eliminare la povertà.

Che ne sarebbe, a quel punto, della povertà come modello cristico, della povertà come misteriosa risorsa spirituale a cui attingere la grazia di Cristo?

Della povertà senza la quale non si entra nel Regno dei cieli? La fonte si seccherebbe, il modello verrebbe sacrificato a un ideale – tutto illuministico e moderno – di progresso generalizzato, che abolendo le sacche di povertà porterebbe finalmente sulla terra la Nuova Gerusalemme dei liberi e degli uguali. È davvero questo l'obiettivo della "Evangelii gaudium"? L'eliminazione della povertà materiale?

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Ma accantoniamo la questione per passare a un secondo e non meno formidabile groviglio. La "Evangelii gaudium" nei nn. 186-204 si misura direttamente col sistema socio-economico del tardo capitalismo, indicato come la "causa strutturale" della povertà di massa. Qui la tesi del documento si fa drastica e può essere riportata a una formula secca: la causa essenziale della povertà è la disuguaglianza, l'"inequità", "la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito" (191). […]

La sostanziale ingenuità del discorso è in parte mascherata da quello che sembra un attacco ad alzo zero ai "dogmi liberisti": non possiamo più confidare, leggiamo, "nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato" (204). […] È la classica tesi "terzomondista" (che sia una tesi marxista classica è tutto da vedere: l'elogio marxiano della borghesia imprenditrice e modernizzatrice introduce una sfumatura complessa che sfugge al facile paradigma).

Qui però non si tratta di avviare una disputa economico-teorica su vantaggi e gli svantaggi del modello liberista, o sui vantaggi e gli svantaggi del modello capitalista "corretto" nel senso della solidarietà sociale. […]

La questione riguarda piuttosto il tenore complessivo dell'analisi proposta dal documento: analisi che appare sorretta da una strumentazione teorica e lessicale stranamente arretrata rispetto alla situazione geo-economica a cui si riferisce. […]

La tesi secondo la quale la corsa al profitto da parte dei "mercati" provocherebbe al tempo stesso disuguaglianza crescente e impoverimento crescente è infatti una tesi troppo facile, che ignora i meccanismi sottili della cosiddetta globalizzazione. Il luogo comune che vuole da una parte un mondo ricco sempre più ricco e un mondo povero sempre più povero può condurre a una falsa diagnosi. […]

Dobbiamo constatare infatti che la globalizzazione, ossia la modernizzazione, del pianeta persegue in realtà un obiettivo opposto a quello denunciato dal documento pontificio.

La logica dell'economia di mercato è più sottile dello schema "affamante". E lo è in quanto poggia, come è noto, sul paradigma della crescita illimitata: la logica del profitto crescente implica un sistema di consumi crescenti, dove la crescita dei consumi è resa possibile e al tempo stesso necessaria dal progresso continuo e inarrestabile delle tecnologie. […]

E poiché il livello medio dei consumi nell'Occidente avanzato è già elevatissimo – e i margini di crescita sono limitati – il grande capitale globalizza le proprie strategie in vista di una comunità la più larga possibile di consumatori evoluti. […] In altri termini, la globalizzazione economico-finanziaria presuppone non già l'esclusione delle masse, ma al contrario la loro crescente inclusione nelle dinamiche del consumo, appunto, di massa. […]

È un processo che comporta un aumento e non una riduzione della forbice sociale: la crescita diffusa dei livelli di consumo comporta una crescita dei profitti e una concentrazione crescente degli stessi nelle mani di ristrette élite finanziarie.

Ma il luogo comune secondo cui il crescere del divario sociale comporta di per sé un impoverimento della fascia inferiore è un "topos" errato, o meglio arretrato rispetto agli attuali orizzonti dell'economia globalizzata.

Nei paesi del cosiddetto BRICS e affini si va formando un esteso e crescente ceto medio, paragonabile, per il livello dei consumi, al ceto medio delle società occidentali. Nel corso degli ultimi decenni decine di milioni di cinesi, di indiani, di turchi, ecc. sono usciti da una condizione di atavica povertà – consumi a un livello minimo, di pura sussistenza o meno – per accedere a una condizione di relativo benessere (secondo i parametri occidentali) e comunque di non povertà. […]

*

Riassumendo.

Il problema non è quale sia la strategia più efficace per combattere la povertà eliminandone le cause strutturali. La risposta infatti è semplice: nelle condizioni attuali è la modernizzazione, su basi tecnologiche e capitalistiche, della struttura economica.

Il problema è piuttosto un altro: ossia è come valutare un'uscita dalla povertà che si realizza, appunto, nelle forme imposte dalla modernizzazione e dalla globalizzazione degli stili di vita. […] È come valutare la forma di vita – non più povera ma meno povera – generata dal processo di modernizzazione, […] un processo che pare inarrestabile, e che tende a spazzare via ogni fattore di resistenza etico-religioso, oltre che politico. […]

A questa domanda la "Evangelii gaudium" non dà risposta, o meglio: non la dà perché non si pone la domanda. […]

La diagnosi, in apparenza molto severa, che l'esortazione propone dell'Occidente capitalista finisce così per essere un'analisi tranquillizzante: perché, rilanciando vecchi slogan di facile consumo, sembra ignorare i meccanismi sottili del mercato e la natura subdola delle strategie messe in opera dall'Occidente capitalista per realizzare l'auspicato Villaggio Globale, ( cioè) una massiccia, onnipervasiva propaganda mediatica, il cui fine è di proporre-imporre come buoni, desiderabili, necessari, oggetti di consumo ideati e commercializzati al solo scopo di alimentare la "crescita" dei consumi stessi, e per conseguenza la crescita dei profitti. […]

Su questo aspetto della "macchina" tecno-economica la "Evangelii gaudium" tace, come se la povertà non si declinasse anche in termini di schiavitù mentale, di consumo coatto. […]

Nell'elogiare i nuovi media il magistero non si accorge di elogiare il Cavallo di Troia escogitato dal grande capitale per espugnare le roccaforti dell'antica povertà e convertirla alla religione del consumo.



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