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Il Papa e i transessuali

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"Lui, che era lei, ma è lui…". Tutto quello che il papa ha detto su divorzio e "gender" http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/   03 ott 2016

Ad accendere la miccia è stata una donna georgiana di nome Irina, madre di due figli, che il 1 ottobre, nel rivolgere a papa Francesco la sua "testimonianza" nella chiesa dell'Assunta a Tbilisi, ha lamentato le crescenti difficoltà dell'istituto familiare, assediato da un lato dalla pressione a sciogliere i matrimoni – "che rischia di diventare una cosa normale", ha detto, anche perché "nella Chiesa Ortodossa la separazione è molto facilitata e questo influisce sulle nostre coppie" – e dall'altro lato dalle "nuove visioni della sessualità come la teoria del gender".



Rispondendole
a braccio, Francesco ha detto tra l'altro, a proposito del divorzio:
"L’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio… Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio? Due persone, pagano. Chi paga? [Irina risponde: Tutti e due - ndr]. Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide 'una sola carne', si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio".

E a proposito del "gender":
"Tu, Irina, hai menzionato un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del 'gender'. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche".

Ciò è bastato per proiettare queste parole tra le "breaking news" dei media di tutto il mondo, eclissando tutte le altre questioni riguardanti la Georgia e l'Azerbaijan, mete del viaggio papale. Era quindi giocoforza che sull'aereo di ritorno a Roma, la sera del 2 ottobre, i giornalisti di nuovo interpellassero Francesco sull'argomento del giorno. E lui non si è sottratto. Anzi. Ecco qui di seguito la trascrizione testuale delle domande e risposte.

SU MATRIMONIO E DIVORZIO

D. [Maria Elena Ribezzo, La Presse, Svizzera] – Santità, lei ieri ha parlato di una guerra mondiale in atto contro il matrimonio, e in questa guerra ha usato parole molto forti contro il divorzio: ha detto che sporca l’immagine di Dio; mentre nei mesi scorsi, anche durante il Sinodo, si era parlato di un’accoglienza nei confronti dei divorziati. Volevo sapere se questi approcci si conciliano, e in che modo.

R. – Tutto è contenuto, tutto quello che ho detto ieri, con altre parole – perché ieri ho parlato a braccio e un po’ a caldo – si trova nell’"Amoris laetitia", tutto. Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come li ha fatti Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità.

È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non sono ben gestiti, e ci sono anche filosofie dell’“oggi faccio questo [matrimonio], quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto”. È questa “guerra mondiale” che lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio.

Poi l’"Amoris laetitia" parla di come trattare questi casi, come trattare le famiglie ferite, e lì entra la misericordia. E c’è una preghiera bellissima della Chiesa, che abbiamo pregato la settimana scorsa. Diceva così: “Dio, che tanto mirabilmente hai creato il mondo e più mirabilmente lo hai ricreato”, cioè con la redenzione e la misericordia. Il matrimonio ferito, le coppie ferite: lì entra la misericordia. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, e sempre l’ultima parola non l’ha la debolezza, l’ultima parola non l’ha il peccato: l’ultima parola l’ha la misericordia!

A me piace raccontare – non so se l’ho detto, perché lo ripeto tanto – che nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo, del 1200 più o meno. I medievali facevano catechesi con le sculture delle cattedrali. Da una parte del capitello c’è Giuda, impiccato, con la lingua fuori, gli occhi fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù, il Buon Pastore, che lo prende e lo porta con sé. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra di Gesù sono tristi da una parte ma con un piccolo sorriso di complicità dall’altra.

Questi avevano capito cos’è la misericordia! Con Giuda! E per questo, nell’"Amoris laetitia" si parla del matrimonio, del fondamento del matrimonio come è, ma poi vengono i problemi. Come prepararsi al matrimonio, come educare i figli; e poi, nel capitolo ottavo, quando vengono i problemi, come si risolvono. Si risolvono con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare.

Questo sarebbe il modo di collaborare in questa “seconda creazione”, in questa ri-creazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Si capisce così? Sì, se prendi una parte sola non va! L’"Amoris laetitia" – questo voglio dire –: tutti vanno al capitolo ottavo. No, no. Si deve leggere dall’inizio alla fine. E qual è il centro? Ma… dipende da ognuno.

Per me il centro, il nocciolo dell’"Amoris laetitia" è il capitolo quarto, che serve per tutta la vita. Ma si deve leggerla tutta e rileggerla tutta e discuterla tutta, è tutto un insieme. C’è il peccato, c’è la rottura, ma c’è anche la misericordia, la redenzione, la cura. Mi sono spiegato bene su questo?


SULL'IDEOLOGIA DEL "GENDER"

D. [Joshua McElwee, National Catholic Reporter, Stati Uniti] – Santo Padre, in quello stesso discorso di ieri in Georgia, lei ha parlato, come in tanti altri Paesi, della teoria del "gender!, dicendo che è il grande nemico, una minaccia contro il matrimonio. Ma vorrei chiedere: cosa direbbe a una persona che ha sofferto per anni con la sua sessualità e sente veramente che c’è un problema biologico, che il suo aspetto fisico non corrisponde a quello che lui o lei considera la propria identità sessuale? Lei come pastore e ministro, come accompagnerebbe queste persone?

R. – Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di papa – ho accompagnato persone con tendenza e con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del "gender".

Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, all’acqua di rose, ma cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa voi fare quando diventi grande?”. “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del "gender". E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”.

L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. È un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti.

E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato.

Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “È tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali... No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. È un problema. È un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo detto nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’"Amoris laetitia", ma sempre così, sempre con il cuore aperto.E non dimenticatevi quel capitello di Vézelay: è molto bello, molto bello.


Papa Francesco e i transessuali. Le obiezioni di Spaemann jr 12 ott 2016 di S. Magister

In un precedente post del 3 ottobre, Settimo Cielo ha pubblicato tal quale, come uscito dalla bocca di papa Francesco, il racconto da lui fatto in aereo, nel volo di ritorno dall'Azerbaijan a Roma, della vicenda di un transessuale spagnolo al quale aveva dato calorosa udienza in Vaticano assieme alla "sua sposa".

Il racconto fatto dal papa non coincide del tutto con quello reso noto dallo stesso transessuale, Diego Neria Lejarraga, nei giorni della sua udienza in Vaticano, avvenuta il 24 gennaio 2015.

Nella riscrittura papale alcuni particolari sono spinti al limite della caricatura, al fine di caldeggiare non solo la piena accoglienza nella Chiesa di persone con una simile storia, ma anche, se "sposate", a dare loro l'assoluzione e la comunione, legittimando di fatto le loro convivenze.

Con ciò, papa Francesco ha compiuto uno strappo rispetto alla vigente disciplina della Chiesa, che non consente ai transessuali la celebrazione del matrimonio sacramentale, stando a quanto ribadito dalla congregazione per la dottrina della fede con una lettera ai vescovi tedeschi del 28 maggio 1991 e con un "appunto" per la congregazione per i religiosi del 2000, come anche dalla conferenza episcopale italiana con una notificazione del 21 gennaio 2003.

Quasi nessuno, nel riportare le parole del papa, ha rilevato questo strappo, né l'ha criticato.

Ma esso non è passato inosservato al tedesco Christian Spaemann , 59 anni, di professione psichiatra ma anche con una solida formazione teologica, che ci ha inviato questo suo commento. Di suo padre, Robert Spaemann , uno dei maggiori filosofi cattolici viventi, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, Settimo Cielo ha pubblicato il 28 aprile e il 17 giugno due memorabili stroncature di "Amoris laetitia".

Anche Christian Spaemann ha criticato l'esortazione postsinodale, su Kath.net del 22 luglio 2016: "Sakramentale Barmherzigkeit", Weiterführung von "Familiaris consortio"? NOTE

SULLE AFFERMAZIONI DI PAPA FRANCESCO SUI TRANSESSUALI
di Christian Spaemann

Durante il suo volo di ritorno dall’Azerbaijan, il 2 ottobre 2016, tra i tanti temi affrontati, papa Francesco ha toccato quello dell’approccio pastorale ai transessuali.

Nel farlo, egli è partito dalla vicenda di una ragazza che, sin da bambina, si sentiva come un maschio. Dopo la morte della mamma, "lui" si era fatto operare e poi si sarebbe sposato e gli aveva scritto e chiesto di potergli far visita "con la sua sposa". "Lui", cito il papa testualmente, "che era lei, ma è lui".

Il papa ha continuato raccontando del vecchio sacerdote del quartiere dove "lui" abitava, che, quando lo incontrava, insisteva nell’invitarlo alla confessione e alla comunione. "La vita è la vita e le cose si devono prendere come vengono", così il papa.

Anche se questo colloquio di Francesco con dei giornalisti non è certo una trattazione antropologica, ma riguarda delle considerazioni pastorali, restano, tuttavia, aperte alcune questioni essenziali, proprio riguardo alla pastorale. Ci siano allora consentite alcune osservazioni.

La transessualità implica un grave dolore, soprattutto per le persone direttamente coinvolte, ma anche per i loro parenti e, soprattutto, per i loro bambini. È una sofferenza che con misure ormonali o chirurgiche può solo essere attenuata. Vi sono studi che dimostrano che, anche dopo operazioni di cambiamento del sesso, i transessuali sono esposti a crescenti disturbi psichici, tentativi di suicidio e a un tasso effettivo di suicidi che è venti volte superiore al normale. Ricorre spesso anche il desiderio di operazioni di ripristino della precedente condizione fisica.

Il fenomeno della transessualità è ampiamente strumentalizzato dagli attivisti del "gender" per i loro scopi politico-sociali, con una relativizzazione della naturale dicotomia sessuale (sostanzialmente un’assurdità, dato che proprio i transessuali, con il loro deciso desiderio di appartenere all’altro sesso, confermano l’esistenza di tale dicotomia sessuale). Nel frattempo ci si è spinti tanto oltre da considerare preminente per la definizione del sesso la percezione soggettiva di sé e da parlare, eufemisticamente, di operazioni "per l’adeguamento sessuale".

Fa paura la fretta con cui oggigiorno si spingono dei giovani nella pubertà a interventi di tipo operatorio. Non c’è davvero nulla di cui gloriarsi per lo stato attuale della scienza medica e psicologica, quando essa agisce con ormoni e bisturi per eliminare un profondo disturbo di identità.

Le complesse operazioni chirurgiche e l’assunzione perpetua di ormoni non riuscirà produrre se non una sorta di "fake sexuality", di sessualità artefatta. Un transessuale sarà sempre una donna che è stata operata come uomo e una transessuale rimarrà sempre un uomo che è stato operato come donna. Già solo per questo, la scelta dei termini da parte del papa avrebbe dovuto essere più prudente.

La condizione di dolore delle persone che si sentono transessuali, al punto da indurre tendenze al suicidio, può essere tanto grande che, in assenza di alternative, anche da parte della Chiesa difficilmente si possono rifiutare del tutto delle misure chirurgiche e ormonali volte a ridurre questa sofferenza, una volta esaurite tutte le altre possibilità.

Qui il divieto dell’automutilazione deve essere valutato all’interno di una valutazione prudente dei costi e dei benefici, come ultima "ratio". Oggi dovrebbe, inoltre, essere un’ovvietà accompagnare queste persone sul piano pastorale, rivolgersi a loro nel modo che esse auspicano e integrarle nella vita della Chiesa.

Da ultimo, l’anima umana ha la possibilità di rivolgersi direttamente a Dio indipendentemente dalla propria sensibilità e caratterizzazione sessuale. Sostenere e incoraggiare questa relazione con Dio è il primo compito della pastorale. In questo non si può trovare uno specifico ostacolo per l’accesso ai sacramenti della confessione e della comunione, anche se, certamente, c’è bisogno di una specifica direzione spirituale, per affidare alla misericordia di Dio quell’identità sessuale, non precostituita per natura e psicologicamente agognata, invece che impossessarsene come una sorta di diritto all’autodeterminazione, così come si propaga oggi.

Si tratta, inoltre, anche di accettare il fatto che nei registri parrocchiali dei battesimi non è possibile un cambiamento nell’indicazione del proprio stato sessuale.

Se, tuttavia, si parla per i transessuali di matrimonio con quello che da loro è ritenuto "l’altro sesso", si deve tenere per fermo che non si tratta di un vero matrimonio, nel significato proprio del termine, né in senso naturale né in senso ecclesiale. Di conseguenza, come anche la Congregazione per la dottrina della fede aveva rilevato nell’anno 2000 in una direttiva riservata [trapelata nel 2003], un matrimonio sacramentalmente valido non è possibile in simili casi.

Dato infatti che per quanto riguarda la sessualità umana in una prospettiva cattolica esistono solo due forme di vita che corrispondono alla natura e alla dignità della persona umana, vale a dire la sessualità vissuta all’interno del matrimonio tra uomo e donna o l’astinenza, la Chiesa non ha alcuna potestà a legittimare una relazione di carattere sessuale tra transessuali, senza la precondizione della continenza, mediante l’amministrazione del sacramento della confessione o della comunione.

In linea con l’ordinamento sacramentale della Chiesa (cfr. “ Sacramentum caritatis ” 29) vale anche in questo caso il principio per cui si deve affidare tutto, in umiltà, alla misericordia di Dio, senza pretendere di poterne disporre pregiudizialmente mediante l’amministrazione dei sacramenti. (Traduzione dall'originale tedesco di Giuseppe Reguzzoni)


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