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Un bambino, due mamme. Il giudice ci ricasca

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Daniela Conte, napoletana, e Marta Loi, cagliaritana, sono una coppia lesbica che si "sposa" in Spagna. Lì, tramite fecondazione eterologa, hanno un bambino, di nome Ruben. di Tommaso Scandroglio 08-12-2016 lanuovabq.it

Quest'ultimo però non può avere cittadinanza spagnola perché per l'ordinamento giuridico iberico la cittadinanza si acquista per ius sanguinis e sia la madre biologica che la compagna sono italiane.

Non bastano le nozze ivi celebrate per regalare la cittadinanza alle due donne e di conserva al minore. E non serve nemmeno che il parto sia avvenuto sul suolo iberico. Il piccolo quindi rimane apolide.

Allora la coppia chiede al comune di Napoli la trascrizione del bambino come figlio di entrambe. In tal modo potrà avere cittadinanza italiana.

Il Comune nel settembre del 2015 accetta e trascrive la Conte come madre - perché è in effetti madre biologica - e la Loi come "padre", perché il modulo del comune riporta ovviamente solo queste due voci.

In buona sostanza l’anagrafe ha implicitamente riconosciuto il “matrimonio” omosessuale celebrato in Spagna, altrimenti come avrebbe potuto riconoscere la qualifica di genitore alla Loi che non è madre biologica?

Infatti la Loi non può essere considerata genitore del bimbo perché non l'ha partorito e riconosciuto, né l'ha adottato.

Il prefetto interviene e ordina di annullare la trascrizione, sia perché al piccolo sono stati assegnati due cognomi - pratica legittima in Spagna ma non qui da noi - sia perché "nell'ordinamento italiano il padre è solo di sesso maschile", sia soprattutto perché in Italia sono validi “solo i matrimoni tra persone di sesso differente”.

Il sindaco Luigi de Magistris non annulla e allora il prefetto procede d’ufficio. Il bimbo però rimane cittadino italiano perché correttamente sopravvive all’annullamento la genitorialità riconosciuta alla madre, la signora Conte.

Ma il primo cittadino di Napoli non ci sta e ricorre in tribunale. Ieri è stata depositata la decisione del Tribunale di Napoli, prima sezione Civile, nella quale si ordina di trascrivere nuovamente l’atto di nascita del piccolo Ruben che risulterà quindi essere figlio di entrambe le donne.

E’ la terza volta che avviene nel nostro Paese, ma la prima in cui entrambi i ricorrenti sono italiani. I giudici hanno così deciso puntellandosi su queste motivazioni.

In primis esistono oggi le Unioni civili e quindi essere figlio di una coppia omosessuale attualmente non viola più l’ordine pubblico. Ma le due donne non sono unite civilmente in Italia e non hanno chiesto nemmeno la “conversione” del loro “matrimonio” omosex nella forma delle Unioni civili, ex art. 1 comma 28 lettera b), legge 76/2016.

In secondo luogo – ed è l’aspetto più rilevante - è la stessa legge Cirinnà a dirci che in materia di filiazione gli uniti civilmente non possono essere omologati alle coppie coniugate.

Se le Unioni civili, ahinoi, in punta di diritto oggi non violano più l’ordine pubblico perché volute tramite legge del Parlamento, prevedere invece – come fa la stessa legge sulle Unioni civili – che il tema della filiazione sia scorporata da questa stessa norma significa che il figlio naturale di uno dei due non può essere considerato automaticamente figlio anche dell’altro partner perché questo potrebbe contrastare con l’ordine pubblico.

Il rimando del Tribunale alle Unioni civili perciò non è pertinente. Da ciò consegue che la coppia lesbica deve chiedere ad un giudice la stepchild adoption se vuole che il minore sia considerato figlio di entrambe. Non può semplicemente passare dall’ufficio anagrafe.

La Corte inoltre dichiara che la cancellazione ordinata dal prefetto è atto sproporzionato «in presenza di un modello familiare che, secondo il sentire e l’agire del legislatore sovranazionale, può ricevere legittimazione a sufficienza dal raccordo tra il dato materiale, il parto della Conte e il dato spirituale».

Il rinvio è soprattutto ad alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che riconoscono come “famiglia” il mero dato fattuale di due persone, anche omosessuali e anche non sposate, le quali vivono insieme una relazione affettiva.

Tale relazione si può chiamare a maggior ragione “famiglia” se c’è anche un bambino da crescere. I giudici napoletani poi sottolineano il fatto che occorre guardare soprattutto alla tutela del figlio «specialmente se bisognoso della particolare cura che gli deriva dall’infanzia in cui versa e che ben può valere a fondare il suo diritto a non essere sradicato dal nucleo sociale legalmente creato dalla madre che l’ha partorito, nel quale già solo in forza del doppio impegno, meglio può essere svolta la funzione educativa senza che abbiano a prevalere conseguenze sfavorevoli riconducibili allo stato soggettivo di non partoriente della compagna legale della madre».

Qui la Corte ci sta dicendo due cose. Da una parte evidenzia che la coppia può vantare una parvenza di legalità, dato che le due donne sono “sposate” in Spagna.

Ma da noi il “matrimonio” omosex rimane comunque illegale. Su altro versante – e le motivazioni ricalcano quelle spese in passato da molti altri giudici – ciò che importa è la situazione di fatto che si è creata, quel nucleo a due che, riconosciuto legalmente o meno, è stato di fatto l’ambiente dove è cresciuto il piccolo.

E’ l’ormai famigerata figura, inesistente per le nostre leggi, della madre sociale . E dunque se tu hai allevato un bambino per alcuni anni, ti possiamo rilasciare senza problemi la patente giuridica di “madre”.

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