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Uno scienziato americano rilancia la tesi della predisposizione biologica all'omosessualità . Gli esperti cattolici: è uno studio sbagliato di Gelsomino Del Guercio/Aleteia18 gennaio 2016

Essere gay o lesbiche non è una scelta, ma una predisposizione biologica sulla quale solo successivamente intervengono fattori socioambientali, culturali ed educativi.

A sostenerlo è uno scienziato statunitense, Simon LeVay, omosessuale e attivista del movimento gay (L’Espresso, 5 gennaio).

Nel 1991, come racconta nel suo libro “Gay, Straight, and the Reason Why. The Science of Sexual Orientation” (appena tradotto da Cortina con “Gay si nasce? Le radici dell’orientamento sessuale“, con una prefazione dello psichiatra Vittorio Lingiardi) LeVay pubblicò un breve articolo su Science intitolato “Una differenza nella struttura dell’ipotalamo tra uomini eterosessuali e omosessuali”, prendendo in esame campioni di ipotalamo di uomini e donne deceduti e sottoposti all’autopsia, di cui la metà  gay (tutti deceduti per Aids).

Partendo dalle sue ricerche è quindi giunto ad affermare che le origini dell’orientamento vanno ricercate nell’interazione tra gli ormoni sessuali e il cervello in via di maturazione. Queste interazioni sono ciò che predispone lo sviluppo della nostra mente verso un certo grado di “mascolinità ” o di “femminilità ”. Più specificamente, lo sviluppo sessuale è regolato da una sequenza di interazioni, simile a una cascata, tra geni, ormoni sessuali e cellule del corpo e del cervello in sviluppo. Processi che non avvengono in completo isolamento dal mondo esterno, ma interagiscono con i fattori ambientali, sviluppandosi poi in maniera differenziata negli individui e producendo così orientamenti sessuali diversi.

“NO” ALLE CREDENZE TRADIZIONALI

Lingiardi nella prefazione di “Gay si nasce” evidenzia che LeVay «tenta di riunire le varie linee di ricerca in una teoria coerente dell’orientamento sessuale, in contrasto con le credenze tradizionali che hanno ascritto l’omosessualità  a dinamiche familiari, apprendimenti, esperienze sessuali precoci o libera scelta».

COMPLESSITA’ INESAURIBILI”

Allo stesso tempo, Lingiardi afferma che la forza della biologia non significa rivendicare l’esistenza di una causa-effetto lineare, come lo stesso LeVay ricorda più volte nel corso del suo studio. «Abbiamo a che fare con complessità  inesauribili», sottolinea lo psichiatra, «e la verità  è che ancora non sappiamo come esattamente le forze biologiche, la regolazione affettiva nelle relazioni primarie, le identificazioni, i fattori cognitivi, l’uso che il bambino fa della sessualità  per risolvere i conflitti dello sviluppo, le pressioni culturali alla conformità  e il bisogno di adattamento contribuiscano alla formazione del soggetto e alla sua sessualità ».

CAUSE DELL’ORIENTAMENTO SESSUALE

Nicola Carone, curatore insieme a Luca Rollè dell’edizione italiana del libro di LeVay, tiene a fare una premessa ad Aleteia: «Oggi le più importanti associazioni scientifiche e professionali, in accordo con i risultati della ricerca empirica, concordano sul fatto che nessun aspetto €“ genetico, ormonale, evolutivo, sociale e culturale €“ sia di per sè sufficiente a spiegare le cause dell’orientamento sessuale. Ma non va dimenticato che, per molto tempo, la psicologia e la psicoanalisi hanno creduto di trovare una risposta in una particolare configurazione familiare, sostenendo che le persone omosessuali sarebbero il “prodotto” di madri iperprotettive e di padri assenti o poco coinvolti».

STUDI SU GEMELLI

Per distinguere le influenze ambientali da quelle genetiche sull’orientamento sessuale «alcuni ricercatori hanno condotto studi sui gemelli: sia l’ereditarietà  sia l’ambiente familiare non condiviso, cioè la porzione di variabilità  che non è spiegata nè dalla genetica nè dalla somiglianza familiare dovuta all’ereditarietà  (ambiente familiare condiviso) avrebbero un effetto significativo sullo sviluppo dell’omosessualità  in entrambi i sessi».

GENOTIPI E CULTURA

Data la «circolarità  dell’interazione tra geni ed esperienza», una premessa corretta, secondo Carone sarebbe la seguente: «Quanto le differenze osservate tra le persone dipendono dalle differenze tra genotipi e quanto dalle differenze tra gli ambienti e le culture nei quali sono nate, sono state cresciute ed educate?».

DIFFERENZE BIOLOGICHE E DI PERSONALITA’

Da qui, lo studioso, evidenzia che LeVay, da neuroscienziato, «si sofferma soprattutto sulle differenze biologiche (tra cui il rapporto tra la lunghezza delle dita e del busto, la dimensione dell’INAH3), ma cita anche alcune caratteristiche di genere, tratti cognitivi e di personalità . Io ritengo che la differenza fondamentale sia nel modo in cui omosessualità , bisessualità  ed eterosessualità  vengono considerate e trattate socialmente: ancora stigmatizzata la prima, quasi del tutto ignorata la seconda, ritenuta la norma la terza».

LA TESI DI FREUD

Lo stesso LeVay, prosegue il curatore dell’edizione italiana di “Gay si nasce“, «afferma che gli elementi socioculturali influiscono notevolmente sui modi in cui l’orientamento sessuale si esprime anche all’interno di una stessa categoria, e conferma quanto sia dannoso, oltre che inefficace, il tentativo di modificare l’orientamento sessuale, dal momento che è “un aspetto piuttosto stabile della natura umana” (p. 5). A questo proposito, già  Freud nel 1920 sosteneva che “l’impresa di trasformare un omosessuale pienamente sviluppato in un eterosessuale non offre prospettive di successo molto migliori dell’impresa opposta; l’unica differenza è che quest’ultima, per ottimi motivi di ordine pratico, non viene mai tentata” (p. 145)».

I LIMITI DI LeVAY

Ma in questo studio di LeVay si possono trovare anche dei limiti? «Alcuni studi €“ replica Carone €“ nel campo delle neuroscienze presentano sempre il rischio di un certo riduzionismo.

Un altro limite, riguarda il fatto che le ricerche da lui condotte hanno coinvolto adulti sessualmente attivi per un consistente periodo di tempo, rendendo difficile stabilire se differenze strutturali erano già  presenti alla nascita o si sono formate in età  adulta, magari proprio per effetto del comportamento sessuale».

STRUMENTALIZZATO LO STUDIO DI LeVAY

Va detto che gli studi di LeVay non vennero più ripresi da nessun altro ricercatore, ma servirono agli attivisti gay per affermare che gli omosessuali costituiscono una sorta di “popolazione” di individui nati diversi. Le sue ricerche servirono a soddisfare la sete di notizie a favore della liberalizzazione sessuale e dell’attivismo gay.

Tuttavia, fu lo stesso LeVay ad ammettere con candore di non essere riuscito a provare che “omosessuali si nasce”. Secondo quanto riportato da David Nimmons nell’articolo “Sex and the Brain” apparso sulla rivista Discover (marzo 1994), Le Vay avrebbe dichiarato quanto segue: “Bisogna considerare ciò che non sono riuscito a dimostrare.

Non ho provato che l’omosessualità  è genetica, nè ho trovato una causa genetica dell’omosessualità 
. Non ho dimostrato che omosessuali si nasce. Affermare il contrario è l’errore più comune di chi cerca di trarre delle conclusioni sul mio lavoro”.  

A distanza di dieci anni dalle prime notizie sulla sua ricerca, LeVay ha poi ammesso su una rivista gay che i suoi studi erano stati strumentalizzati, cioè ingigantiti, usati impropriamente e travisati a scopo politico, anche se, dal punto di vista dell’attivismo gay, la strumentalizzazione era stata di grande utilità  (Mubarak Dahir, “Why Are We Gay?”, in The Advocate, 17 luglio 2001).

“OK ALLA PRUDENZA DI LINGIARDI”

Il mondo cattolico, invece, come reagisce alle tesi di LeVay?

Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici dice di condividere «la prudenza e la correttezza» del professor Lingiardi, quando afferma che, in relazione alla genesi dell’orientamento omosessuale, “abbiamo a che fare con complessità  inesauribili”.  «Perciò €“ taglia corto Cantelmi €“ quando leggo titoli come “Vi dimostro che gay si nasce(L’Espresso, 5 gennaio) è piuttosto una enfatizzazione ideologica, assai lontana dai dati reali».

I DUE ERRORI DI LeVAY

Il presidente degli psichiatri cattolici annuncia due considerazioni per «ridimensionare» lo studio di LeVay. «La prima: il tutto parte da uno studio di oltre 15 anni fa sul cervello di omosessuali deceduti per AIDS, in una epoca in cui le terapie farmacologiche erano agli esordi e le conseguenze della malattia coinvolgevano tutti gli organi, anche il cervello. Una notevole quantità  di critiche furono fatte alla metodologia e alla limitatezza delle osservazioni di Le Vay».

“IL “PESO” DI GENI E TRAUMI

La seconda considerazione, prosegue Cantelmi, «appartiene ad un ragionamento meno emotivo di quel “Vi dimostro “. Partiamo da un esempio che non c’entra nulla: sono migliaia gli studi genetici che riguardano la schizofrenia, per esempio, e nessuno è ancora in grado di stabilire quanto pesi la genetica e quanti geni sono coinvolti e quanto invece pesino esperienze precoci disorganizzanti o traumatiche, aspetti familiari e ambientali e persino aspetti sociali». E questo «vale ancora di più quando dalla patologia passiamo a fenotipi comportamentali normali».

“UNIVERSO” DA SCOPRIRE

Insomma, conclude Cantelmi, «ha ragione Lingiardi, quando afferma che “la verità  è che ancora non sappiamo come esattamente le forze biologiche, la regolazione affettiva nelle relazioni primarie, le identificazioni, i fattori cognitivi le pressioni culturali contribuiscano alla formazione del soggetto e alla sua sessualità ”».

FAVORIRE NON E’ DETERMINARE

Emiliano Lambiase, psicologo e psicoterapeuta, coordinatore del CEDIS (il primo centro italiano per la cura delle dipendenze comportamentali) concorda su un punto: il fatto che ci siano «elementi biologici a favorire un orientamento sessuale piuttosto che un altro è un elemento ormai condiviso da quasi tutti.

Gli indizi sono davvero tanti, e per tanti elementi diversi. Favorire, però, non vuol dire determinare: non tutti quelli che hanno avuto questi “favoritismi” biologici sono divenuti omosessuali; non tutti hanno avuto gli stessi “favoritismi”; non tutti quelli che non li hanno avuti sono divenuti eterosessuali ma alcuni anche omosessuali».

“ALZATO UN POLVERONE”

Inoltre, continua Lambiase, affermare che sia un dato biologico a determinare l’orientamento sessuale «non dice niente riguarda la normalità  o meno o l’immutabilità  o meno (sono sostanzialmente immutabili e solo modificabili anche altre caratteristiche di personalità  del tutto apprese e non innate)». Ma in Italia, attacca lo psicologo, «siamo bravi a rivangare vecchie tesi solo perchè viene tradotto, con ritardo, un libro di anni fa.

Questo è possibile solo perchè non leggiamo la letteratura internazionale (nemmeno i vari commenti divulgativi) nel momento in cui vengono pubblicati in lingua originale. Insomma, un gran polverone per un dibattito ormai superato». Quindi, «per ora non sappiamo ancora (e forse mai sapremo) quali sono le origini dell’omosessualità ».

L’ERRORE DI LeVAY

Lambiase è molto critico sulla metodologia utilizzata da LeVay, che, ricordiamo,  ha preso in esame campioni di ipotalamo di uomini e donne deceduti e sottoposti all’autopsia, di cui la metà  gay (tutti deceduti per Aids).

Riguardo l’ipotalamo, il direttore del Cedis cita il libro Il sesso del cervello, in cui si bacchetta il metodo LeVay: “La comunità  scientifica ha avanzato delle serie obiezioni, non soltanto a causa delle implicazioni ideologiche di questa tesi, ma soprattutto perchè la validità  dei risultati pubblicati può essere contestata.

La distorsione principale è che gli uomini omosessuali coinvolti nella ricerca erano affetti da AIDS (contrariamente agli uomini e alle donne eterosessuali)“.

“SCIENTIFICAMENTE NON VALIDO”

Com’è ben noto, si legge ancora su Il sesso del cervello, “il virus dell’AIDS penetra nel cervello, causando delle lesioni. Di conseguenza, il confronto tra omosessuali deceduti a causa dell’AIDS e il gruppo di controllo non è scientificamente valido. Inoltre, è poco plausibile che un minuscolo nucleo dell’ipotalamo controlli i comportamenti sessuali umani, estremamente complessi e vari, perchè condizionati dalla storia personale di ciascun individuo.

Non è sorprendente dunque constatare che altre èquipe di ricerca non siano riuscite a replicare i risultati di LeVay“.

Lambiase chiosa: «La ricerca è stata fatta a posteriori, su uomini deceduti per AIDS, quindi come poter dire se quella zona del cervello era così in origine oppure lo è divenuta?».

L'ipotesi epigenetica . di Giuseppe Novelli  lescienze.it   07 gennaio 2013

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Secondo una recente ricerca, alla base dei comportamenti omosessuali ci sarebbero fattori epigenetici.

Una spiegazione interessante ma non soddisfacente secondo uno dei più importanti genetisti italiani, che mette in luce alcuni punti deboli di questa ipotesi

Il comportamento omosessuale non è molto importante per l'evoluzione, per la ragione che un ominide omosessuale in modo esclusivo non sarebbe mai divenuto antenato di qualcuno.

Qualunque gene dell'omosessualità esclusiva sarebbe stato eliminato nell'arco di una generazione.

Tuttavia molti biologi ritengono che geni in grado di influenzare il comportamento omosessuale non solo esistono ma riescono a "sopravvivere" considerato che almeno una/due persone su cento sono omosessuali in modo esclusivo.

Selezione antagonista

L'AUTORE: Giuseppe Novelli insegna genetica medica presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Roma "Tor Vergata", ed è Adjunct Professor presso la University of Arkansas for Medical Sciences, Little Rock, (USA). Fa inoltre parte del consiglio direttivo dell'ANVUR e dell'Agenzia Europea del Farmaco (EMA). Il suo alias su Twitter è @NovelliGnovelliDiverse ipotesi sono state proposte per spiegare il sostentamento dei fattori genetici che influenzano l'omosessualità, nonostante l'assenza di fecondità negli omosessuali; tra queste: - la selezione parentale, propria della sociobiologia, per la quale un soggetto/organismo rinuncia a una parte di proprie risorse (tempo e/o energie) o si assume un determinato rischio per fornire un beneficio a un altro soggetto/organismo con cui possiede un legame di parentela ravvicinato, allo scopo di favorire la trasmissione preferenziale della propria linea genetica;
- la selezione sessualmente antagonista, per cui le femmine di consanguinei omosessuali maschi, avrebbero un vantaggio riproduttivo in quanto eterozigoti per un ipotetico gene dell'omosessualità mappato sul cromosoma X. In pratica si avrebbe un aumento della fecondità femminile all'interno delle popolazioni umane, in una dinamica complessa, con conseguente mantenimento dell'omosessualità maschile a frequenze stabili e relativamente bassa, ed evidenziando gli effetti dell'ereditarietà attraverso la linea materna;
- gli effetti genetici materni, tra cui quelli ormonali, durante lo sviluppo.

Illustrazione in 3D del cromosoma X. © PASIEKA/Science Photo Library/Corbis

Solo il modello di selezione sessualmente antagonista sembra al momento avere maggiori sostegni statistici di genetica formale, sebbene alcune critiche a questo modello sono state mosse dal metodo di calcolo impiegato, basato essenzialmente su interviste verbali e dichiarazioni, e mai su dati biologici o clinici.




Al di fuori del gene

Recentemente, Sergey Gavrilets e colleghi hanno proposto una nuova idea che presuppone l'esistenza di fattori epigenetici, ovvero la modifica di gruppi chimici che si legano al DNA e che vengono trasmessi, quando una cellula si divide, alle cellule figlie (e non da una generazione a un'altra! con qualche eccezione limitata a poche generazioni).

I cambiamenti epigenetici, letteralmente, "al di fuori del gene", sono causati da specifiche classi di proteine e molecole di RNA, codificati da una larga parte del genoma con la specifica funzione di modificare e regolare l'espressione dei geni. I cambiamenti epigenetici non alterano la sequenza delle basi del DNA, anche se sono trasmessi da una generazione della cellula alla successiva.

Gavrilets e colleghi hanno ipotizzato che alcune "ipotetiche" sequenze di DNA di tipo sesso-specifiche sarebbero "targets" selettivi che regolano la sensibilità delle cellule alle variazioni dei livelli degli ormoni sessuali nel corso dello sviluppo fetale.

Attraverso un modello matematico, hanno dimostrato che i geni che codificano per questi marcatori epigenetici possono diffondersi facilmente nella popolazione, perché i fattori epigenetici che producono, di per sé favoriscono la fitness del genitore (ossia la mascolinità dell'uomo e la femminilità della donna), mentre in un numero relativamente ridotto di casi riescono a "intrufolarsi" nelle cellule germinali e passare alla prole.

Il modello, senza dubbio interessante, si basa tuttavia su dati empirici che cercano di mettere insieme le ipotesi più accreditate per una spiegazione biologica dell'omosessualità, e cioè la selezione sessuale antagonista, e l'effetto materno/embrionale dovuto agli androgeni.

Ma appare comunque a mio parere riduttivo, in quanto non tutte le parti del cervello sono influenzate durante lo sviluppo dagli androgeni e quindi dalla "atmosfera" ormonale all'interno dell'utero, e sappiamo molto bene che la variabilità dei livelli di androgeni è molto variabile e dipendente da troppi fattori genetici e non genetici, che sono difficilmente compatibili con una ipotesi epigenetica diretta.

Modificazioni non dimostrate


Diversi studi di manipolazione ormonali effettuati su modelli animali non hanno mai dimostrato modifiche nell'orientamento sessuale negli animali e analogamente negli umani; soggetti con mutazioni dei geni codificanti proteine del metabolismo degli androgeni non mostrano modificazioni dell'orientamento sessuale. Ciò implica che l'alterazione della via androgeni non ha un forte effetto sull'orientamento sessuale maschile, mentre al contrario qualche effetto lo avrebbe nelle femmine esposte ad elevati livelli di androgeni durante la vita fetale.

Inoltre, come spiegare con lo stesso modello epigenetico la differente effeminatezza degli omosessuali maschi?

Non vi è nessun dubbio sull'influenza genetica sul comportamento sessuale degli organismi, uomo compreso.

Questo è dimostrato dagli studi familiari che hanno evidenziato un aumento del tasso di omosessualità nei fratelli e tra gli zii materni di maschi omosessuali, e da numerosi studi effettuati su coppie di gemelli con valori di concordanza anche molto elevati (65 per cento nei gemelli monozigotici e 30 per cento nei gemelli dizigotici) sebbene il campione spesso è risultato piccolo per analisi statistiche significative.

Ma nonostante gli sforzi e le tecnologie utilizzate, nessun gene dell'omosessualità è stato fino a oggi isolato. Il ruolo del cromosoma X Nel 1993, Hamer e colleghi hanno identificato una regione "critica" sul braccio lungo del cromosoma X (Xq28). Questo risultato non è stato sempre confermato e pertanto è da considerarsi ancora parziale. Il coinvolgimento del cromosoma X è tuttavia sostenuto anche da altre evidenze.

E' noto infatti che nelle madri di maschi omosessuali, l'inattivazione di uno dei due cromosomi X (paterno e materno) non è casuale come atteso (mediamente colpisce il 50 per cento delle volte quello paterno e 50 per cento quello materno nei diversi tessuti), ma selettivo, con uno dei due cromosomi X maggiormente inattivato rispetto all'altro.

Questo fenomeno è praticamente raro nelle madri di maschi non omosessuali. Non è noto il motivo di questa differente inattivazione del cromosoma X, ma è certamente da attribuire a meccanismi epigenetici di controllo dell'espressione di geni mappati sul cromosoma X.

Altre regioni cromosomiche controllate da meccanismi epigenetici sono state identificate negli studi di associazione finalizzati all'identificazione del gene dell'omosessualità; queste riguardano i cromosomi 7, 8 e 10, ricchi di geni controllati da fattori epigenetici, ma, come per il cromosoma X, nessun gene specifico è stato ancora isolato.

Come si può vedere, i modelli proposti sono ancora lontani dall'essere conclusivi e lasciano ancora aperto il paradosso darwiniano associato all'omosessualità maschile che certamente l'epigenetica non aiuta ancora a risolvere.

Sono oltre un centinaio le caratteristiche biochimiche, fisiologiche e comportamentali interessate da modifiche epigenetiche, e alcune di queste sono trasmesse per quattro generazioni, secondo Joseph H. Nadeau: troppo poche a mio parere per giustificare il comportamento omosessuale negli umani e nelle altre 500 specie di animali in cui è stato descritto.


2-Famiglie gay e felicità


3- Omosessualità. Una guida per i genitoridi Roberto Marchesini Cristianità, 330-331 (2005)

Joseph Nicolosi e Linda Ames Nicolosi, Omosessualità. Una guida per i genitori,
con Presentazione di Chiara Atzori, trad. it., Sugarco, Milano 2002

Il dottor Joseph Nicolosi è uno dei punti di riferimento della terapia riparativa dell’omosessualità; è cofondatore e direttore del NARTH, l’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell’Omosessualità (www.narth.com), e membro dell’APA, l’Associazione Psicologica Americana.

Ha pubblicato diversi studi sul tema dell’ omosessualità (cfr. Omosessualità maschile: un nuovo approccio, trad. it., con Presentazione di Chiara Atzori e Postfazione di Livio Fanzaga S.P., Sugarco, Milano 2002 ); esercita la professione presso la Thomas Aquinas Clinic di Encino, in California.

Nicolosi ha scritto con la moglie Linda Ames Omosessualità- Una guida per i genitori per rispondere alle numerose domande di genitori e di educatori circa il comportamento non conforme al proprio genere che un numero sempre maggiore di bambini mostrano; dunque, si tratta di un’opera a quattro mani, nella quale però le parti propriamente cliniche sono del solo dottor Nicolosi, da cui l’alternanza del «noi» e dell’«io» per indicare la paternità delle affermazioni (cfr. p. 18, nota).

L’opera si compone di una Presentazione del medico infettivologo Chiara Atzori (pp. 5-8), di una pagina di Ringraziamenti (p. 9) e di nove capitoli, lungo i quali gli autori accompagnano genitori ed educatori alla comprensione e alla prevenzione dell’omosessualità (pp. 11-220); l’esposizione è corredata da numerosi esempi clinici e dall’apparato critico (pp. 221-234).

Nell’Introduzione (pp. 11-18) gli autori espongono la loro esperienza rispetto al sempre maggior bisogno, da parte di genitori e di educatori, di un’informazione chiara e onesta sull’omosessualità. Questa necessità nasce non solamente dall’incremento del numero dei bambini che presentano il GID, il Gender Identity Disorder, «Disturbo dell’Identità di Genere», ma anche dagli esiti della propaganda gay che, in modo sempre più efficace, sta manipolando l’informazione circa l’omosessualità (cfr. il mio «After the Ball»: un progetto «gay» dopo il baccanale, in Cristianità, anno XXXIII, n. 327, gennaio-febbraio 2005, pp. 7-11).

I coniugi Nicolosi affermano che, al di là delle convinzioni etico-politiche di ognuno, prevenire l’omosessualità è possibile ed è necessario perché espone le persone a una serie di rischi psico-fisici molto seri, nei confronti dei quali gli eterosessuali sono maggiormente tutelati. Infatti gli omosessuali sono più frequentemente soggetti a depressione maggiore, a disturbo d’ansia generalizzato, a disturbi del comportamento, a dipendenza dalla nicotina, e ad abuso o a dipendenza da altre sostanze

(cfr. David M. Fergusson, L. John Horwood e Annette L. Beautrais, Is sexual orientation related to mental health problems and suicidality in young people?, in Archives of general psychiatry, vol. 56, n. 10, Chicago 1-10-1999, pp. 876-880); hanno più frequentemente episodi suicidari (cfr. ibid.; Richard Herrell, Jack Goldberg, William R. True, Visvanathan Ramakrishnan, Michael Lyons, Seth Eisen e Ming T. Tsuang, Sexual orientation and suicidality: a co-twin control study in adult men, in Archives of general psychiatry, vol. 56, n. 10, cit., pp. 867-874; Gerard van den Aardweg, Una strada per il domani. Guida all’(auto) terapia dell’omosessualità, trad. it., Città Nuova, Roma 2004, pp. 62-63; e Marzio Barbagli e Asher Colombo, Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna 2001, pp. 54-58)

e hanno un’aspettativa di vita media decisamente inferiore rispetto a quella degli eterosessuali (cfr. Paul Cameron, The gay nineties, Franklin, Adroit 1993, cit. in G. van den Aardweg, «Matrimonio» omosessuale & affidamento a omosessuali, in Studi Cattolici. Mensile di studi e attualità, anno XLII, n. 449/50, Milano luglio-agosto 1998, pp. 499- 509, [ p. 501]).

Nell’opera è sottolineato un fatto curioso. L’attivismo gay è riuscito a espungere dai manuali diagnostici l’omosessualità come disturbo, anche se, a dire il vero, nel Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, versione IV-TR, (trad. it. DSM-IV-TR. Criteri diagnostici, Masson, Milano 2004), il manuale diagnostico dell’APA, American Psychiatric Association, è presente un Disturbo Sessuale Non Altrimenti Specificato, che può essere diagnosticato quando è riscontrabile un «persistente e intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale» (cfr. ibid., disturbo F52.9); si tratta, in altri termini, dell’«omosessualità egodistonica» (cfr. DSM-III. Criteri diagnostici, trad. it., Masson, Milano 1983, disturbo 302. 00), ossia quella degli omosessuali che non si riconoscono nell’identità gay.

Tuttavia è singolare che nei manuali diagnostici sia tuttora presente il Disturbo dell’Identità di Genere dei bambini, altamente predittivo di un futuro sviluppo dell’omosessualità:
«Nei bambini, l’anomalia si manifesta con uno dei seguenti sintomi: nei maschi, affermazione che il proprio pene o i testicoli li disgustano, o che scompariranno, o affermazione che sarebbe stato meglio non avere il pene, o avversione verso i giochi di baruffa e rifiuto dei tipici giocattoli, giochi, e attività maschili; nelle femmine, rifiuto di urinare in posizione seduta, affermazione di avere o che crescerà loro il pene, o affermazione di non volere che crescano le mammelle o che vengano le mestruazioni, o marcata avversione verso l’abbigliamento femminile tradizionale»
(DSM-IV-TR. Criteri diagnostici, cit., disturbo F64.2). Secondo i Nicolosi

«[...] la professione psichiatrica ha creato un’incongruenza di fondo, considerando i disordini dell’identità sessuale una patologia psichiatrica [nel bambino], e il loro esito conclusivo nell’adulto (l’omosessualità) come una condizione normale» (p. 186).

Nel capitolo 1, La mascolinità è una conquista (pp. 19-32), gli autori espongono brevemente le cause relazionali dello sviluppo dell’omosessualità riprendendo e approfondendo le tesi dalla teologa ortodossa e psicologa inglese Elizabeth Moberly sull’origine familiare dell’omosessualità, proposte nell’opera Homosexuality: A New Christian Ethic (James Clarke & Co, Cambridge 1983). Secondo i Nicolosi,

le persone omosessuali, anziché sviluppare un soddisfacente attaccamento emotivo nei confronti dei genitori del proprio sesso, sentendosi rifiutate sviluppano invece un «distacco difensivo» (ibid., p. 6) che li protegge da ulteriori frustrazioni.

Le cause di questo mancato attaccamento possono essere le più svariate e coinvolgono tutti gli elementi del sistema familiare; l’esito sarà «un problema di grave mancanza di autostima e di senso di inadeguatezza sessuale» (p. 31). Il mondo maschile rappresenterà sempre un fortissimo richiamo e una minaccia; crescendo, il desiderio affettivo assumerà una connotazione sessuale. Secondo gli autori

«il cuore della condizione omosessuale è l’autoinganno. [...]
È una rivolta contro la realtà, una ribellione contro i limiti insiti nella natura umana» (p. 22).

In questo capitolo gli autori colgono l’occasione per ribadire la differenza fra gay e omosessuali: «[...] il termine gay ha un’accezione politica che implica un enorme bagaglio di questioni ideologiche e [...] il termine scientifico più adatto [per indicare una persona attratta da altri dello stesso sesso] è omosessuale» (p. 20).

Nel capitolo 2, Il bambino preomosessuale (pp. 33-55), i coniugi Nicolosi espongono in modo sintetico ma efficace il delicato tema dell’identità e della natura della persona; cioè mostrano come

la questione relativa alla maggiore o minore naturalità dell’omosessualità non è di competenza della scienza: «Contrariamente a quanto spesso si sente dire, la scienza ha dei limiti intrinseci: essa descrive la realtà, può dirci “ciò che è”, ma non “ciò che dovrebbe essere”» (p. 35).

Gli autori utilizzano un esempio per chiarire il concetto: «Possiamo affermare che l’obesità è la sua [di Jack, il ragazzo dell’esempio] vera natura? Non è più giusto dire che la sua condizione è il frutto di una combinazione di fattori biologici, influenza familiare, influenza sociale esercitata dai suoi coetanei e una personale scelta comportamentale (esattamente come per l’omosessualità)? (p. 36). L’essere umano non è destinato all’obesità; abbiamo il dovere di rispettare le persone affette da questo problema e sostenere la loro battaglia, ma non possiamo affermare che l’obesità è parte integrante della loro identità.» «Questo è lo stesso comportamento da tenere nei confronti degli adolescenti confusi sulla loro identità sessuale» (ibidem).

Secondo l’esperienza del dottor Nicolosi,

i bambini confusi nella loro identità sessuale possono evitare una futura omosessualità se le relazioni nel sistema familiare si modificano in modo da fornire loro un modello maschile positivo al quale essi possano ispirarsi nelle sfide della vita.

Nel capitolo 3, Omosessuali si nasce? (pp. 56-66), gli autori s’impegnano nella confutazione delle teorie secondo le quali l’omosessualità sarebbe una condizione innata. Queste teorie sono propalate dagli attivisti gay nell’intento di convincere l’opinione pubblica che l’omosessualità sarebbe «normale», seguendo un ragionamento di questo genere: se una persona nasce omosessuale nessuno ne ha la responsabilità, e non vi si può fare nulla, anzi! Ogni tentativo di cambiamento sarebbe una violenza alla «vera natura» della persona. Tuttavia questo ragionamento sarebbe fallace anche se l’omosessualità avesse una causa genetica: per esempio, la sindrome di Down è innata, ma nessuno la considera normale.

Le teorie innatiste dell’omosessualità si basano principalmente su due esperimenti.
Il primo è quello condotto nel 1991 dal biologo statunitense Simon Le Vay — omosessuale e attivista gay —, il quale sezionò alcuni cadaveri fra i quali quelli di uomini presumibilmente omosessuali. Le Vay scoprì che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo — chiamato INAH-3 — aveva dimensioni simili nelle donne e negli omosessuali, mentre mostrava dimensioni maggiori nel caso degli uomini dei quali non era disponibile alcuna informazione sull’orientamento sessuale. Sostanzialmente, questo ricercatore ha confrontato l’ipotalamo di omosessuali con quello di uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto. Oltre a ciò va considerata la plasticità del cervello; non è possibile cioè escludere che un comportamento omosessuale abbia un’influenza sulle parti dell’encefalo. Oltre a tutto questo, fu lo stesso Le Vay a dichiarare: «Bisogna considerare ciò che non sono riuscito a dimostrare. Non ho provato che l’omosessualità è genetica, né ho trovato una causa genetica dell’omosessualità. Non ho dimostrato che omosessuali si nasce» (p. 57).

Il secondo esperimento è quello pubblicato nello stesso anno da J. Michael Bailey e Richard Pillard (cfr. A genetic study of male sexual orientation, in Archives of general psychiatry, vol. 48, n. 12, Chicago 1-12-1991, pp. 1089-1096). Questo studio, che secondo gli attivisti gay avrebbe dimostrato l’origine genetica dell’omosessualità, in realtà dimostra l’esatto contrario. I due scienziati presero in esame coppie di fratelli nelle quali almeno uno dei due aveva un orientamento omosessuale. I gemelli omozigoti — che condividono l’identico patrimonio genetico — erano entrambi omosessuali nel 52% dei casi; è una percentuale tutt’altro che trascurabile, ma se l’omosessualità avesse un’origine genetica la percentuale avrebbe dovuto essere il 100%. Ma le sorprese non sono finite: i gemelli non identici erano entrambi omosessuali nel 22% dei casi, mentre i fratelli non gemelli lo erano nel 9.2% dei casi. Curiosamente, nel caso dei fratelli adottivi — che non condividono nulla del patrimonio genetico — la percentuale era del 10.5%, cioè superiore a quella dei gemelli biologici.

Nel capitolo 4, Il ruolo della famiglia (pp. 67-97), gli autori indagano sui ruoli e sulle dinamiche familiari connesse con lo sviluppo dell’omosessualità. Emerge con evidenza come

il fattore scatenante l’omosessualità non sia solamente un padre di un certo tipo, ma la relazione fra il padre e il figlio; e quale influenza abbia la madre su questa relazione, e quale relazione quest’ultima intrattenga con il marito e il figlio.

Pare quindi importante considerare la famiglia come un «sistema», e non solamente come la somma d’individui; è questo una conferma e un superamento della «relazione triadica classica» (p. 74) individuata dallo psichiatra e psicoanalista statunitense Irving Bieber (1908-1991, basata su caratteristiche individuali dei membri della famiglia: «Siamo portati a pensare che la triade caratterizzata da un’intimità vischiosa materna e dal distacco-ostilità paterno sia il modello “classico” più favorevole alla promozione dell’omosessualità o di gravi problemi omosessuali nel figlio» (I. Bieber e Collaboratori, Omosessualità, «Il Pensiero Scientifico» Editore, Roma 1977, p. 153). In questo capitolo, i coniugi Nicolosi forniscono alcune utili indicazioni per i genitori alle prese con questo problema.

Nel capitolo 5, Amici e sentimenti (pp. 98-118), gli autori affrontano il delicato tema dei rapporti dei bambini affetti da GID (= Gender Indentity Disturb , Disturbo dell’Identità di Genere n.d.r.) con i coetanei dello stesso sesso. I bambini affetti da GID, infatti, tendono a isolarsi e a mantenere comportamenti solitari; eventualmente giocano e frequentano preferibilmente amici del sesso opposto, ma difficilmente hanno amici dello stesso sesso.

Questo atteggiamento, secondo i coniugi Nicolosi, è la conseguenza dell’opinione — formatasi in famiglia — che questi bambini hanno di sé: «[...] il bambino prova un profondo disagio in compagnia di altri uomini e non si sente all’altezza del mondo maschile» (p. 31); secondo lo psicoterapeuta olandese Gerard van den Aardweg, inoltre, i rapporti con i coetanei dello stesso sesso sarebbero ancora più determinanti delle relazioni familiari nel produrre un senso d’inferiorità in riferimento al proprio genere (cfr. G. van den Aardweg, Omosessualità e speranza, trad. it., Ares, Milano 1995; e Idem, Una strada per il domani, cit.). Inoltre, nello stesso capitolo,

gli autori mettono in guardia i genitori da associazioni che propagandano lo stile di vita gay sfruttando il momento di difficoltà dei genitori, e sottolineano l’importanza dell’attività sportiva per il superamento delle difficoltà di genere elencando gli sport che a loro parere possono aiutare a sviluppare un sano potenziale eterosessuale.

Nel capitolo 6, Verso l’adolescenza (pp. 119-155), i coniugi Nicolosi affrontano una fase importante dello sviluppo della persona, in particolare di quella che ha difficoltà con la propria identità di genere. Questo periodo è particolarmente delicato perché le pulsioni affettive cominciano a erotizzarsi — e quindi comincia per il ragazzo o per la ragazza il rischio di intraprendere comportamenti pericolosi — e perché gli adolescenti sono particolarmente sensibili al bombardamento mediatico, e

la strategia gay prevede un massiccio uso dei mass media per «[...] diffondere la convinzione che l’omosessualità debba essere considerata una condizione normale» (p. 179).

I coniugi Nicolosi, infatti, sottolineano come nel caso di diversi adolescenti da loro incontratil’essere omosessuale o meno sia una questione di moda, e il parteggiare per il movimento omosessualista sia vissuto come una lotta per i diritti civili.

Gli autori, ricorrendo a ricerche e alla letteratura scientifica, dimostrano come gli adolescenti con problemi di omosessualità siano particolarmente esposti a problemi psichiatrici o a comportamenti antisociali e autodistruttivi, come tentativi di suicidio, fughe da casa, tossicodipendenza, alcolismo e prostituzione; infatti, per molti omosessuali, l’adolescenza è il momento dei primi contatti con il mondo gay. Vista la criticità dell’età adolescenziale, per i ragazzi che hanno problemi d’identità di genere,

gli autori mettono in guardia i genitori nei confronti di programmi educativi scolastici miranti a presentare l’omosessualità come «normale» e la critica nei confronti dell’omosessualità e del mondo gay come «omofobia».

Questi programmi esistono anche in Italia: sono condotti dall’AGEDO, l’Associazione di Genitori, Parenti e Amici di Omosessuali ( www.agedo.org/index_i.html) e sono finanziati con fondi pubblici. Questo capitolo è anche l’occasione per ricordare i legami fra lo sviluppo dell’omosessualità e abusi subiti in età infantile o adolescenziale.

I coniugi Nicolosi dedicano il capitolo 7, Da maschiaccio a lesbica (pp. 156-175), a un tema spesso dimenticato nei dibattiti e sui mass media, ossia quello dell’omosessualità femminile, cioè del lesbismo. Il dottor Nicolosi afferma:

«Credo che alle origini del lesbismo vi sia il rifiuto inconscio della propria identità femminile. Solitamente, le donne che diventano lesbiche decidono a livello inconscio che essere femmine è rischioso o indesiderabile. A volte perché hanno subito le molestie sessuali di un uomo, oppure (e questo è il caso più frequente) perché si confrontano con una figura materna ai loro occhi debole o negativa» (p. 157).

Anche in questo caso vengono analizzate le dinamiche familiari, ma non vengono taciute le responsabilità del femminismo, responsabile di diffondere un rifiuto della «ricettività» (p. 160) definita «l’anima della femminilità» (p. 160).

Nel capitolo 8, La politica della cura (pp. 176-191), gli autori affrontano il tema delle politiche culturali dell’omosessualità e il loro ruolo nella confusione sessuale dei giovani. Questo tema riguarda forse l’ostacolo maggiore che i genitori incontrano nel loro cammino di comprensione e di riparazione delle ferite dell’identità sessuale dei propri figli. Lo strumento più potente di queste politiche culturali è la scienza;

Nicolosi ribadisce che la scienza non può stabilire cosa è normale e cosa non lo è, ma deve limitarsi a descrivere il fenomeno:

«I dati scientifici forniscono una descrizione del mondo e mettono a disposizione di tutti dei fatti utili alla comprensione della realtà in cui viviamo, ma l’essenza umana, l’identità più profonda dell’uomo, è una questione che compete alla filosofia e alla religione. La scienza può svolgere solo una funzione descrittiva, la filosofia e la teologia forniscono una prospettiva più ampia al di là del mondo materiale, ossia un’immagine della pienezza umana» (p. 178). Purtroppo — sostiene Nicolosi —, il mondo della scienza è dominato da correnti ideologiche assolutamente favorevoli all’omosessualismo (cfr. R. Marchesini [a cura di], La terapia riparativa dell’omosessualità. Colloquio con Gerard J. M. van den Aardweg, in Studi Cattolici. Mensile di studi e attualità, anno XLIX, n. 535, Milano settembre 2005, pp. 616-622).

Un esempio chiarissimo di questa contaminazione, che talvolta si trasforma in una vera manipolazione, è data dal celebre «10%», che corrisponderebbe alla percentuale di omosessuali presenti nella società secondo gli studi dell’entomologo statunitense Alfred Kinsey (1894-1956); questo dato, propalato dagli attivisti gay, non è mai stato confermato da nessun’altra ricerca, ed è frutto di una pesante manipolazione (cfr. Judith A. Reisman ed Edward W. Eichel, Kinsey, sex and fraud. The indoctrination of a people, Lafayette, Huntington 1990).

Nel capitolo 9, Il processo terapeutico (pp. 192-220), gli autori descrivono e trascrivono alcune sedute terapeutiche con i genitori di bambini sessualmente confusi, ma anche quelli di adolescenti alle prese con nuovi impulsi omosessuali, e contiene consigli educativi per i genitori per accompagnare i loro figli alla scoperta del loro potenziale eterosessuale. Merita la trascrizione di un brano presente nell’ultima pagina di questo capitolo:

«È nostra convinzione che l’umanità debba vivere in conformità con l’ordine naturale, al fine di realizzarsi pienamente. Noi crediamo che la complementarietà sessuale e l’eterosessualità siano il fondamento di quest’ordine naturale. Tutte le volte che neghiamo l’importanza delle differenze sessuali, non rispettiamo l’integrità della condizione umana» (p. 220).

Per quanto riguarda l’omosessualità, l’opera dei coniugi Nicolosi appare decisamente apprezzabile perché risponde all’invocazione sempre più pressante di genitori e di educatori preoccupati per i comportamenti dei bambini loro affidati; oltre a questo, è ricco di osservazioni e d’informazioni in maniera tale da poter essere lo strumento per un primo approccio al tema dell’omosessualità per chiunque.

Eppure il testo si rivela, a una lettura approfondita, collocato sullo sfondo del più grande tema della lotta spirituale che la nostra natura decaduta deve affrontare ogni giorno per reagire alle ferite che ognuno di noi si porta dentro e liberare così il nostro pieno potenziale umano:

«È sempre un grave errore credere che in un dato momento della vita le nostre lotte interiori siano “concluse”; in realtà, come esseri umani siamo estremamente vulnerabili, sia che la nostra lotta riguardi l’omosessualità che l’alcolismo, la tossicodipendenza, la golosità o persino l’orgoglio»
(p. 152).


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