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Il jihad cresce in Europa. I giovani arabi lo condannano

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Sarà pur vero che, nonostante il terrorismo nel mondo sia oggi per lo più di matrice islamica, non tutti i musulmani condividono strategia e obiettivi di al-Qaeda e dello Stato Islamico. di Gianandrea Gaiani 15-04-2016 lanuovabq.it

Certo non tutti, ma una buona parte dei musulmani sembra proprio sostenere le istanze jihadiste e rifiutare i valori di democrazia, uguaglianza e diritti umani che sono alla base delle società che si riconoscono nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Le simpatie per gli ideali jihadisti non mancano, almeno tra coloro che vivono in Europa a giudicare dalle ampie coperture, complicità e connivenze di cui hanno goduto i terroristi nascostisi per mesi nel “califfato” di Mollenbeck, a Bruxelles e soprattutto a giudicare dal recente sondaggio realizzato dall’istituto demoscopico britannico Icm e diffuso da un documentario trasmesso dalla rete televisiva Channel 4 dal titolo eloquente “Che cosa i musulmani veramente pensano”.

Realizzato presso un campione di membri della comunità islamica britannica, il sondaggio di Channel 4 è presentato da Trevor Phillips, ex presidente della commissione per l’eguaglianza razziale ed i diritti umani.

Tra i tanti aspetti preoccupanti emersi il dato più eclatante è senza dubbio che solo il 34% degli intervistati sarebbe disposto a denunciare alla polizia un sospetto foreign fighter coinvolto in azioni terroristiche jihadiste. Il dato è impressionante e significa in pratica che i due terzi dei musulmani britannici sono disposti,  per convinzione o convenienza, a proteggere o  o comunque non contrastare terroristi e militanti che si rifanno alla causa dello Stato Islamico.

Dal sondaggio emerge inoltre che il 23% degli intervistati vorrebbe l’introduzione della sharia in Gran Bretagna e il 4 per cento simpatizza con i terroristi suicidi e altrettanti sostengono chi compie atti terroristici per protesta politica, mentre ben il 32% non condanna le violenze e gli attacchi terroristici effettuati contro chi viene accusato di avere “offeso Maometto”, come nel caso della strage effettuata alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi.

Un dato quest’ultimo che racchiude probabilmente anche quel 31% di intervistati che si dichiara è a favore della poligamia mentre il 52% ritiene che l’omosessualità dovrebbe essere illegale e per il 47% è inaccettabile che gay o lesbiche insegnino in una scuola. I dati emersi sono impressionanti ed evidenziano la mancata integrazione dei musulmani nello stile di vita britannico e soprattutto nei valori in cui si riconosce la Gran Bretagna.

Tra le valutazioni che si possono fare ve ne sono almeno due che dovrebbero preoccupare l’intera Europa: i risultati del sondaggio in Gran Bretagna potrebbero, infatti, rispecchiare più o meno analoghe posizioni nelle comunità islamiche dell’intera Unione europea mentre emerge chiaramente la necessità di limitare e scoraggiare in modo energico l’immigrazione islamica in Europa per non creare basi ancora più forti per sovversione e disordine sociale.

Non si esprime in questi termini, ma lo stesso Philips (che non appartiene certo a movimenti di desta, populisti o xenofobi) valuta che i musulmani stiano costituendo «una nazione dentro la nazione» e che «l’integrazione dei musulmani nel Regno Unito sarà probabilmente il compito più difficile che abbiamo davanti, richiederà l’abbandono del multiculturalismo all’acqua di rose e l’adozione di un approccio all’integrazione molto più deciso».

Cinque mesi or sono un sondaggio del Sun che riferiva di come un quinto dei musulmani britannici sostennero i jihadisti venne accolto con freddezza e scetticismo, ma a quanto pare la situazione è ancora peggiore rispetto a quella dipinta dal popolare tabloid.

In questo contesto di crescente allarme terroristico a cui si aggiunge il rischio di sollevazioni e proteste il premier Davuid Cameron ha assicurato martedì che il Regno Unito proteggerà i suoi confini dai migranti che entrano nell'Unione europea per motivi economici. «I migranti economici che arrivano nell'Unione Europea non hanno il diritto di venire nel Regno Unito.

Non sono cittadini europei. La Gran Bretagna ha dei confini, la Gran Bretagna manterrà i suoi confini», ha detto Cameron in Parlamento. Nel settembre scorso Cameron si rifiutò di partecipare al regime delle quote Ue per ridistribuire 160 mila richiedenti asilo in tutta Europa impegnandosi a prendere un massimo di 20 mila rifugiati entro il 2020 scegliendoli nei campi profughi negli stati vicini alla Siria, non certo tra coloro che sono arrivati Illegalmente in Europa pagando criminali collusi con il terrorismo islamico.

Dichiarazioni che dovrebbero indurre a qualche riflessione in Italia dove si continuano a favorire i trafficanti di esseri umani imbarcando sulle navi militari immigrati clandestini africani, tutti migranti economici, che non hanno alcun titolo per essere accolti ma i cui flussi sono raddoppiati rispetto ai primi mesi dell’anno scorso.

Più incoraggianti, rispetto al sondaggio britannico, i risultati dell’indagine demoscopica effettuata da Arab Youth Survey di Asda'a Burson-Marsteller, presso 3.500 arabi di età compresa tra 18 e 24 anni che vivono in Algeria, Bahrain, Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Oman, Palestina, Qatar, Arabia Saudita, Tunisia, Emirati e Yemen.

Stando al sondaggio, condotto tra l'11 gennaio e il 22 febbraio di quest'anno, il 76% dei giovani intervistati ritiene che alla fine lo Stato islamico (Is) crollerà e solo il 13% potrebbe sostenere l'Isis nel caso rinunci alla violenza, in calo del 6% rispetto allo scorso anno, mentre il 50% indica l'ascesa del gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi come il «principale ostacolo che il Medio Oriente deve affrontare», davanti alla disoccupazione.

Proprio sulla mancanza di lavoro, in particolare tra i giovani, si concentra una parte dell'Arab Youth Survey. La disoccupazione viene indicata dai giovani, infatti, come il fattore principale che alimenta il reclutamento nelle file dei terroristi La ricerca analizza le aspirazioni dei giovani a cinque anni dallo scoppio della cosiddetta “Primavera araba”, rivelando come oggi la loro priorità sia la stabilità politica piuttosto che la democrazia.

Quest'anno solo il 36% degli intervistati dichiara che il mondo arabo è in una situazione migliore dopo le rivoluzioni, mentre nel 2012 era stato il 72%. La maggioranza (53%) sostiene che il mantenimento della stabilità sia più importante della promozione della democrazia (28%). Nel 2011 il 92% dei giovani arabi affermava che «vivere in una democrazia» era il loro maggiore desiderio.

Per quanto riguarda la politica estera, circa la metà degli intervistati si è detta favorevole allo storico accordo sul nucleare siglato tra l'Iran e le potenze mondiali. Il 63% definisce gli Stati Uniti un alleato e il 32% un nemico. In merito alla guerra in Siria, il 39% la considera un conflitto per procura, il 29% una rivoluzione contro Bashar al-Assad e il 22% una guerra civile. Il rapporto si conclude con la richiesta ai giovani intervistati di indicare il loro Paese modello. Il 22% ha risposto gli Emirati Arabi Uniti citando, come motivazione principale, la sicurezza economica. Al secondo posto gli Stati Uniti (15%), seguiti da Germania e Arabia Saudita (11%).


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