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Dalla Svezia all'Ungheria. Anche i "muri" hanno le loro ragioni, dice il papa

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Il 1 novembre, nell'immancabile conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma dal suo viaggio in Svezia, papa Francesco ha detto cose per lui insolite sulla questione scottante dell'immigrazione. di Sandro Magister   chiesa.espresso.repubblica.it/    02 nov 2016   blog Settimo Cielo

A sollecitarlo è stato un giornalista svedese, Elin Swedenmark. Ecco la trascrizione letterale della sua domanda e della lunga risposta del papa:

D. – Santo Padre, vediamo che sempre più persone provenienti da paesi come la Siria o l’Iraq cercano rifugio in paesi europei. Ma alcuni reagiscono con paura o addirittura ci sono persone che pensano che l’arrivo di questi rifugiati possa minacciare la cultura del cristianesimo in Europa. Qual è il suo messaggio per la gente che teme tale sviluppo della situazione, e quale il suo messaggio alla Svezia, che dopo una lunga tradizione di accoglienza dei rifugiati adesso incomincia a chiudere le proprie frontiere?

R. – Prima di tutto, io come argentino e sudamericano ringrazio tanto la Svezia per questa accoglienza, perché tanti argentini, cileni, uruguayani nel tempo delle dittature militari sono stati accolti in Svezia. La Svezia ha una lunga tradizione di accoglienza. E non soltanto ricevere, ma integrare, cercare subito casa, scuola, lavoro… Integrare in un popolo. Mi hanno detto la statistica – forse sbaglio, non sono sicuro – ma quello che ricordo – posso sbagliare – quanti abitanti ha la Svezia? Nove milioni? Di questi nove milioni – mi hanno detto – 850 mila sarebbero “nuovi svedesi”, cioè migranti o rifugiati o i loro figli. Questa è la prima cosa.

Secondo: si deve distinguere tra migrante e rifugiato, no? Il migrante dev’essere trattato con certe regole perché migrare è un diritto ma è un diritto molto regolato. Invece, essere rifugiato viene da una situazione di guerra, di angoscia, di fame, di una situazione terribile e lo status di rifugiato ha bisogno di più cura, di più lavoro. Anche in questo, la Svezia sempre ha dato un esempio nel sistemare, nel fare imparare la lingua, la cultura e anche integrare nella cultura.

Su questo aspetto dell’integrazione delle culture, non dobbiamo spaventarci, perché l’Europa si è formata con una continua integrazione di culture, tante culture. Credo che – questo non lo dico in modo offensivo, no, no, ma come una curiosità – il fatto che oggi in Islanda praticamente un islandese, con la lingua islandese di oggi, possa leggere i suoi classici di mille anni fa senza difficoltà, significa che è un paese con poche immigrazioni, poche “ondate” come ne ha avute l’Europa. L’Europa si è formata con le migrazioni…

Poi, cosa penso dei paesi che chiudono le frontiere: credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga.

Qui, si paga politicamente; come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consigliere per i paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza.

Ho parlato con un funzionario del governo svedese, in questi giorni, e mi diceva di qualche difficoltà in questo momento – questo vale per l’ultima domanda tua –, qualche difficoltà perché ne vengono tanti che non si fa a tempo a sistemarli, trovare scuola, casa, lavoro, imparare la lingua. La prudenza deve fare questo calcolo. Ma la Svezia… io non credo che se la Svezia diminuisce la sua capacità di accoglienza lo faccia per egoismo o perché ha perso quella capacità; se c’è qualcosa del genere è per quest’ultima cosa che ho detto: oggi tanti guardano alla Svezia perché ne conoscono l’accoglienza, ma per sistemarli non c’è il tempo necessario per tutti. Non so se ho risposto. Grazie.


Fin qui il papa. E puntualmente i media di tutto il mondo hanno individuato in queste sue parole una "svolta". Perché in effetti egli è parso indicare delle buone ragioni non solo nei "ponti" ma anche nei "muri".

Una conseguenza, ad esempio, sarà che da qui in avanti non si potrà più trarre dalle parole di Francesco un'automatica sentenza di totale condanna, senza attenuanti, del comportamento in materia di immigrazione del paese europeo più esecrato, l'Ungheria. Inutilmente dall'Ungheria si sono levate nei mesi scorsi voci mirate a bilanciare le assordanti condanne contro il suo operato.

Ad esempio la voce dell'ambasciatore ungherese presso la Santa Sede Eduard Habsburg-Lothringen , che in un'intervista del 27 settembre sul blog Rossoporpora aveva così risposto alle domande del vaticanista svizzero Guseppe Rusconi:

D.  Quando nell’estate del 2015 è esplosa la ‘grande crisi’ dei migranti in Occidente l’Ungheria cristiana è stata dipinta a tinte fosche…

R.  È stato un grande malinteso. Nei media occidentali dilagavano le immagini di soldati cattivi che non volevano che i migranti entrassero nel paese. Immagini di grande impatto, molto negative. La realtà è che l’Ungheria stava facendo il suo dovere di frontiera esterna dell’area Schengen. Gli ungheresi sapevano che i diecimila migranti che giornalmente attraversavano la frontiera non si sarebbero fermati nel paese, ma avrebbero voluto proseguire per la Germania.

Nel contempo si rendevano conto che non era possibile utilizzare alla frontiera serba le procedure prescritte per l’accoglienza dei migranti (si entra solo se si ha passaporto o si chiede l’asilo). Non era possibile perché 'naturalmente' ogni giorno entravano masse di persone, impossibili da controllare.

Il governo ungherese è stato allora costretto a mettere una recinzione, anche per creare un po’ di ordine per la presentazione della richiesta d’asilo a chi non aveva il passaporto. Da quando la recinzione è stata completata, i migranti sono calati sensibilmente. Gli altri continuavano il loro cammino attraverso Croazia, Slovenia, per arrivare senza controlli fino in Germania.

D.  Allora il malinteso…

R. – L’Ungheria è passata per razzista, xenofoba, contro i migranti a causa di quella recinzione, costruita non per impedire l’arrivo di rifugiati veri in Ungheria, ma per impedire che migliaia di migranti ogni giorno e senza controllo attraversassero il paese per puntare direttamente sulla Germania attraverso l’Austria, minacciando così tutta la stabilità dell’Area Schengen.

D. – L’Ungheria ha dunque ‘lavorato’ per il resto d’Europa…

R. – Sì, costruendo la recinzione l’Ungheria ha lavorato anche per l’Europa, ma molti in Occidente non l’hanno capito.


Oppure la voce di padre Adam Somorjai , benedettino di Pannonhalma e da anni al servizio della Santa Sede in segreteria di Stato, in un'intervista del 26 ottobre anch'essa per Rossoporpora:

"Nell’estate del 2015 sono stato per alcune settimane in Ungheria, proprio nel momento in cui esplodeva numericamente la questione dei migranti. C’ero, ho visto. Si è detto e scritto molto di falso e tendenzioso sull’Ungheria. Se il migrante arriva alla frontiera e ha un passaporto, è benvenuto.

Se ne arrivano contemporaneamente mille – senza passaporti perché le ONG finanziate dal miliardario americano di origine ungherese Soros li hanno fatti buttar via – la situazione diventa incontrollabile. Si dichiarano tutti siriani e tutti nati il primo gennaio. Nessuno scrive di questo. Quella dell’anno scorso era una vera invasione!

Oggi di migranti ne arrivano 10-15 al giorno e possono essere accolti nella dignità. La realtà dell’Ungheria è questa, ma noi siamo demonizzati e non siamo neanche di moda in questa Unione europea a geometria variabile".

*

Ma appunto, queste e altre erano come voci nel deserto, inascoltate. C'è voluto papa Francesco per riportare alla ragione – si spera – i tantissimi che anche in campo cattolico hanno fin qui rovesciato sull'Ungheria soltanto invettive.



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