Corso di Religione

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Nel celebrare in Svezia i cinquecento anni della Riforma protestante, Francesco ha schivato i punti di contrasto. Che però restano tutti. E intanto continua a condannare il "proselitismo", proprio mentre nella Chiesa crolla la spinta missionaria
di Sandro Magister chiesa.espresso.repubblica.it/

ROMA, 3 novembre 2016 – Dottrina, sacramenti, missione. Sono questi i tre punti critici che papa Francesco ha affrontato e risolto a suo modo, nel celebrare assieme ai luterani, a Lund, il 31 ottobre, i cinquecento anni della Riforma protestante.

DOTTRINA

Sul terreno dottrinale, Francesco ha tranquillamente dato per acquisito il completo superamento di quello che era giudicato il maggior punto di divisione tra cattolici e protestanti, riguardante la "giustificazione".

Propriamente, però, quando nel 1999 cattolici e luterani sottoscrissero assieme un accordo su questa materia, non tutto fu appianato. L'accordo non verteva "sulle verità", tutte, della dottrina della giustificazione, ma solo "su verità" della stessa, parziali. E Joseph Ratzinger, all'epoca cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede, lo fece notare in un'intervista chiarificatrice: Il mistero e l'operazione della grazia

Mentre ora il comunicato congiunto cattolico-luterano che ha preceduto il viaggio del papa a Lund è andato oltre quella distinzione, e ha sbrigativamente dato per superato e archiviato l'intero contrasto:

"La Dichiarazione [del 1999] ha annullato dispute antiche di secoli fra cattolici e luterani sulle verità fondamentali della dottrina della giustificazione, che era al centro della Riforma del XVI secolo".

Inoltre, se è vero che la dottrina della giustificazione fu fattore capitale della rottura tra cattolici e luterani, oggi essa è quasi scomparsa dal senso comune. La lontananza da Dio, soprattutto nelle regioni che furono teatro della Riforma, ha fatto sbiadire anche la coscienza del peccato e la buona novella della grazia.

E questo dato di fatto ha ancor più facilitato da una parte l'accantonamento del contrasto dottrinale, e dall'altra parte un rilancio aggiornato dell'idea di giustificazione in termini di "misericordia", parola cardine del pontificato di Jorge Mario Bergoglio e polivalente quanto basta per essere condivisa anche dai luterani.

Nel discorso pronunciato a Lund, il papa ha infatti declassato i contrasti dottrinali a malintesi linguistici, quando ha detto che in sostanza la divisione è derivata da semplici chiusure "per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi".

SACRAMENTI

Quanto ai sacramenti, il punto cruciale di contrasto riguarda l'eucaristia, e in particolare la possibilità di fare la comunione assieme nello stesso rito, cattolici e protestanti.

Un anno fa, in visita alla chiesa luterana di Roma, nel rispondere a una protestante sposata con un cattolico che chiedeva se poteva fare la comunione a messa, il papa aveva risposto con una girandola di sì, no, non so, fate voi, da cui comunque tutti trassero l'impressione che egli aprisse all'intercomunione, come in effetti successivamente confermò "La Civiltà Cattolica", specchio fedele del pensiero di Bergoglio: Comunione per tutti, anche per i protestanti

Poi però, alla vigilia del viaggio a Lund, è arrivato l'altolà del cardinale Kurt Koch, presidente del pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, che in un'intervista a Giuseppe Rusconi per il blog Rossoporpora ha dichiarato:

"Se vogliamo discutere solo dell’eucarestia, non possiamo arrivare a un risultato positivo. Prima dobbiamo chiarire i concetti di Chiesa e di ministero. Per i cattolici il ministero sacerdotale è il presupposto per celebrare l’eucarestia. Penso che fin qui non abbiamo ancora approfondito e chiarito sufficientemente, nei rapporti con i luterani, i concetti sopra ricordati. Se non possiamo riconoscere le forme di ministero delle altre Chiese, è impossibile permettere l’intercomunione".

Infatti a Lund la solenne dichiarazione congiunta luterano-cattolica su questo punto specifico non ha segnato alcun passo in avanti. Ha formulato però con forza un desiderio:

"Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Riconosciamo la nostra comune responsabilità pastorale di rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico".

È lo stesso desiderio che Francesco espresse con grande efficacia in quella sua risposta nella chiesa luterana di Roma, apparentemente sconclusionata e invece calcolatissima.

MISSIONE

Quanto infine alla missione evangelizzatrice della Chiesa, a Lund papa Francesco non ha avuto nulla da aggiungere a quanto da lui già detto e ridetto decine di volte, l'ultima pochi giorni prima del viaggio, in un'intervista al gesuita svedese Ulf Jonsson per "La Civiltà Cattolica":

"Un criterio dovremmo averlo molto chiaro in ogni caso: fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato. Benedetto XVI ci ha detto che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso".

Anche a un folto gruppo di luterani in pellegrinaggio a Roma il 13 ottobre Francesco si era espresso così:

"Il proselitismo è il veleno più forte contro il cammino ecumenico".

E lo stesso aveva detto, sempre quest'anno, rivolto ai cristiani ortodossi. In Georgia, a Tbilisi, il 1 ottobre:

"C'è un grosso peccato contro l'ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi".

E il 12 febbraio a Cuba, nella dichiarazione congiunta con il patriarca di Mosca Kirill:

"La missione di predicare il Vangelo di Cristo nel mondo di oggi… comporta il rispetto reciproco per i membri delle comunità cristiane ed esclude qualsiasi forma di proselitismo".

In quest'ultima occasione Francesco aveva specificato che per proselitismo intendeva "l’uso di mezzi sleali per incitare i credenti a passare da una Chiesa ad un’altra, negando la loro libertà religiosa o le loro tradizioni".

Quasi mai, però, Bergoglio è stato così attento a circoscrivere il senso e l'ampiezza della sua condanna del proselitismo. Nella gran parte dei casi questa sua condanna non si limita ad escludere la conversione alla fede cattolica dei protestanti e degli ortodossi ma sembra estendersi al proposito di fare discepoli e battezzare tutti i popoli.

Il 7 agosto del 2013, la prima volta in cui da papa si scagliò contro il proselitismo, in un videomessaggio agli argentini per la festa di san Gaetano da Thiene, Bergoglio disse:

"Vai a convincere un altro che si faccia cattolico? No, no, no! Vai ad incontrarlo, è tuo fratello. E questo basta".

Il 1 ottobre, in un colloquio con Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano "La Repubblica" ed esponente di primo piano del pensiero laicista, il papa fu addirittura più perentorio, se è fedele la trascrizione che Scalfari fece delle sue parole:

"Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso”.

E nel novembre dello stesso anno, in un colloquio con l'amico ebreo Abraham Skorka, il papa si sarebbe espresso così, stando a quanto riferito dallo stesso Skorka a "L'Osservatore Romano":

"Riconosco un grande valore agli interventi di Bergoglio contro il proselitismo. È un punto sul quale batte con forza e con un’enfasi tutta speciale e ciò ha ancora più rilievo se consideriamo la cornice di evangelizzazione all’interno della quale questi interventi sono pronunciati. Bergoglio mi ha chiarito che il concetto era già stato esplicitato dal suo precedessore. L’incisività in materia dell’attuale papa è però maggiore. Dobbiamo infatti ricordarci come l’evangelizzazione, fino a poco tempo fa, fosse inevitabilmente associabile al proselitismo. Adesso invece il papa parla di avvicinare alla fede i soli cattolici".

Il rimando che talvolta Francesco fa al predecessore non è infondato, perché in effetti nel 2007, ad Aparecida, Benedetto XVI tratteggiò così la genuina missione della Chiesa:

"La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per 'attrazione'. Come Cristo 'attira tutti a sé' con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore".

Ma in quel medesimo 2007 la congregazione per la dottrina della fede, per volontà dello stesso Benedetto XVI, pubblicò una "Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione" che mirava non a frenare inesistenti eccessi di proselitimo, ma proprio a rianimare l'impulso missionario della Chiesa, paralizzato da idee come le seguenti:

"Si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l'adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile essere salvati anche senza".

In effetti, uno dei fattori di crisi più drammatici della Chiesa del dopoconcilio è stato il crollo della spinta missionaria, a cui Benedetto XVI tentò di rimediare con il sinodo sulla nuova evangelizzazione del 2012 e prima di lui Giovanni Paolo II con l'enciclica "Redemptoris missio" del 1990: Luci e ombre del concilio. La lacuna che Giovanni Paolo II volle colmare

Un'enciclica nella quale tra l'altro si legge, al n. 46:

"Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di 'proselitismo'; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la buona novella di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione".

Sta di fatto che il crollo dello spirito missionario continua a essere ancor oggi uno dei maggiori fattori di crisi della Chiesa. Eppure papa Francesco continua a scagliarsi contro il suo opposto, cioè appunto contro il presunto dilagare del proselitismo, nonostante nessuna indagine sociologica ne rilevi traccia.

E per sventarne il peccaminoso "veleno", egli insiste a voler ridurre a una muta testimonianza l'annuncio, l'evangelizzazione, la missione, perché in fondo – ha detto – già "siamo tutti figli di Dio", anche se musulmani, buddisti, induisti, agnostici, atei.

È questa una delle più inspiegabili contraddizioni del pontificato di Francesco. Anch'essa però è tra le chiavi del suo successo. Anche a Lund.

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Gli atti, i discorsi e i documenti del viaggio di Francesco per i cinquecento anni della Riforma luterana: Viaggio apostolico del Santo Padre in Svezia, 31 ottobre - 1 novembre 2016

Sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano" del 30 ottobre il giornalista marocchino  Zouhir Louassini, musulmano, ha riferito dell'animato dibattito che sta suscitando, nel mondo islamico soprattutto del suo paese, ciò che lui definisce "il fenomeno della conversione di molti marocchini al cristianesimo": Tre storie e una domanda

Scrive Louassini:

"Il giornale online Hespress, con più di un milione di visite al giorno, ha acceso l’attenzione dell’opinione pubblica su questo nuovo tema. Si ragiona insomma sul diritto di convertirsi ad altre religioni".

Louassini riferisce anche il caso di Wallat Mustafa, "il primo rifugiato siriano – scrive – convertitosi al cristianesimo", il cui battesimo corre su YouTube e "fa furore tra i musulmani".
E conclude chiedendo: "Perché questo dibattito aspro ma aperto non interessa i media occidentali?".

Giusta domanda. Ma ci si può anche chiedere come possono essere accolti, questi convertiti dall'islam al cristianesimo, in una Chiesa alla quale papa Francesco continua a proibire di fare "proseliti".



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