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Bioetica: quale impegno per la vita, oggi ? .

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Un osservatore oggettivo dei recentissimi lavori dell’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita (Pav) , la prima convocata dal suo nuovo presidente, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, dopo il recente vistoso rinnovamento dei suoi membri, non può che rilevare come essa, nella saldezza dei suoi statuti, sia apparsa animata da uno spirito nuovo.
source :avvenire.it Francesco d'Agostino lunedì 9 ottobre 2017© Riproduzione riservata

Tradizionalmente, infatti, alla Pav era stato affidato il compito di consolidare e diffondere le indicazioni del Magistero della Chiesa in materia bioetica: un compito pesante, assolto peraltro con intelligenza ed equilibrio. Un compito, però, che col passare degli anni ha contribuito a proiettare sulla bioetica cattolica un’immagine difensiva e conservatrice.

« Nelle malattie occorre avere presenti due cose : essere utile o almeno non nuocere. L’arte [tecnè] si compone di tre termini : la malattia, il malato e il medico. Il medico è il servitore dell’arte; occorre che il malato aiuti il medico a combattere la malattia». (Hippocrate, Epidemie 1, 2, 5). Infatti, alle nuove sfide della biomedicina la Pav aveva cercato fino ad oggi di rispondere riproponendo – ripeto: con intelligenza – l’antico, nobilissimo paradigma ippocratico, efficacemente riassumibile nel precetto primum non nocere.

Un imperativo palesemente prudenziale, ragionevolmente prudenziale, doverosamente prudenziale, ma palesemente inadatto a fronteggiare lo sviluppo prodigioso della scienza e della tecnica degli ultimi decenni, attivato da scienziati che hanno praticamente eletto (anche se non lo ammetteranno mai esplicitamente) il rischio a loro parola d’ordine.

Nel Paradigma ippocratico il malato è un ignorante che non possiede le conoscenze, la capacità intellettuale nè l’autorità morale per opporsi e contrastare il volere e le decisioni del medico che, al contrario, conoscendo i meccanismi della vita, che è sempre buona in se, conosce anche il bene. Ne è prova la difficoltà con cui la bioetica "classica" non solo ha proposto , ma perfino argomentato il "principio di precauzione", tanto intrinsecamente sensato, quanto nella prassi messo da parte dagli scienziati, quando in contrasto con le speranze, ancorché prometeiche, attivate dalla tecnoscienza.

Ed è un fatto che da decenni i bioeticisti, gli ecologisti, i teologi e più in generale i filosofi continuano ad ammonire gli scienziati a introdurre la categoria del limite nei loro paradigmi e che da decenni ottengono in cambio nient’altro che parole; parole rassicuranti, certamente, ma pur sempre, come diceva Amleto, parole, parole, parole.

Il consenso informato.
Platone –leggi, IV-
« a curare le malattie degli uomini liberi è il medico libero che segue il decorso della malattia, la inquadra fin dall’inizio secondo il giusto metodo, mette a parte della diagnosi il malato e i suoi parenti… egli non farà alcuna prescrizione prima di averlo in qualche modo convinto e cercherà di portare a termine la sua missione che è quella di risanarlo, ogni volta preparandolo e predisponendolo con una opera di convincimento ».
Qual è allora oggi il dovere della bioetica oggi?

Quello di cambiare paradigma. Da una bioetica difensiva, bisogna passare ad una bioetica propositiva.

Da una bioetica che si limita a descrivere scenari futuri angoscianti, bisogna passare a una bioetica che individui nel futuro scenari positivi e umanizzanti e operi per promuoverli.

Gli strumenti concettuali ereditati dal passato sono stati spesso caratterizzati da «ritardi e mancanze», che, ci dice il Papa, dobbiamo «riconoscere onestamente». È un riconoscimento che può essere doloroso, ma che è anche indispensabile. Dobbiamo individuare nuovi strumenti: ma quali?

" ...il Cristianesimo non modifica in sostanza l’etica medica di tipo Ippocratico fondata su una visione sacrale della medicina.
Il medico medievale investito dell’autorità religiosa che gli deriva dalla professione , guida il paz. e sceglie e decide per lui. Salute e arte medica sono doni di Dio e i medici sono i sacerdoti che li amministrano. La scienza e la coscienza del medico non tengono in alcuna considerazione i desideri, le richieste, le aspettative del paz. che è un minorato nel corpo e nella mente e quindi non ha alcuna voce in capitolo ..[ Mariella Immacolato, 2009]
Utilizziamo uno spunto che emerge dal discorso di papa Francesco alla Pav. Egli ha esortato gli accademici ad essere «creativi e propositivi, umili e coraggiosi». Ognuna di queste parole è attentamente calibrata.

Chi è «creativo» non può che essere «propositivo», perché l’apertura al nuovo, espressa in formule generiche e sospirose, altro non è che una furbissima modalità di immobilismo.

Chi è «umile», autenticamente umile, è chiamato a dare prova di un grande coraggio: umiltà, infatti, per chi faccia lavoro intellettuale, non è ammettere, usando espressioni edificanti, la propria ignoranza (ammissione tutto sommato facile, perché l’ignoranza ci permea tutti), ma è riconoscersi disposti a imparare dall’altro: cosa che, particolarmente in bioetica, è difficilissima, tanto è forte la tentazione di assumere i propri paradigmi come se essi soltanto veicolassero verità di fede.

Il Paradigma biomedico : in campo medico vale l’interdisciplinarità : il medico non è l'unico detentore delle conoscenze sulla vita ( bios) quindi il medico non ha più il privilegio di sapere (per specifica competenza) sin dall’inizio qual è il finalismo e il bene del paziente che è insito nella vita stessa, ma deve confrontarsi con le altre esigenze . Il medico perde così la regalità o supremazia: la sua posizione è una tra altre, e può capitare che debba cedere il passo ad altre considerazioni. Di tipo filosofico-morale o psicologico o teologico-religioso per esempio.Per fare un solo esempio, per ciò che concerne questo punto, e so di fare un esempio scottante: se il sì alla vita, per un cristiano, è un principio inderogabile di fede, perché egli ritiene che la vita sia un dono di Dio, il no (o il sì!) all’accanimento terapeutico non sono verità di fede.

La stessa procreazione assistita, nelle nuove forme che sta assumendo col progresso delle biotecnologie, non tollera più un no generico e riassuntivo, ma chiede di essere valutata con un’intelligenza critica «creativa e propositiva, umile e coraggiosa» (per riprendere le parole del Papa), che riattivi il dibattito con il mondo della scienza, favorendo l’elaborazione di una nuova «sintesi antropologica».

Nel paradigma ippocratico è la vita stessa che ‘parla’ ed indica, se guardata in filigrana, le proprie richieste, per cui la moralità medica affonda le radici nelle indicazioni offerte dalla vita stessa, dalla natura. La moralità è, quindi, un’istituzione naturale, cioè dettata dalla natura: i divieti morali essenziali sono immutabili e assoluti perché inscritti sin dall’inizio nella natura delle cose. Questo paradigma si basa sulla considerazione che l'uomo è homo religiosus per natura ; " la vita ( bios) è sacra..

Nel paradigma bioetico, invece, la vita non è nè sacra nè profana ; le scienze della vita devono essere indifferenti rispetto a questo problema ( principio di indifferenza ] la moralità è un’istituzione sociale costituita dai valori e norme che nelle diverse circostanze storiche garantiscono (assieme ad altri istituti) la coordinazione sociale necessaria per avere un adeguato livello di ‘qualità della vita’, ossia di benessere e di autorealizzazione .La moralità diventa qualcosa di analogo ad una lingua: come non esiste la lingua ‘naturale’, immutabile e data una volta per tutte, così non esiste la morale ‘naturale’, con divieti assoluti e immutabili.

Per l’homo religiosus la vita (come la realtà) è satura d’essere e quindi buona in sé. Per lo scienziato -che applica il principio d’indifferenza della natura , invece, la vita (umana e non) è buona se, e solo se, ha contenuti positivi che sono intrinsecamente buoni e la rendono intrinsecamente buona. In altre parole, la vita è buona se (e solo se) il soggetto interessato ha esperienze positive.Questo porta a distinguere la mera vita biologica dalla vita biografica: la prima non ha alcun valore intrinseco, perché questo valore è proprio della vita biografica che ha contenuti: nella vita non c’è né bene né male, ma è il pensiero che lo rende tale. Da qui lo scontro tra i due paradigmi. L’idea che si sta realizzando è che oggi vale non più la vita in sé, ma la vita buona. Per quanto riguarda l’assegnazione di bontà abbiamo due criteri. Il primo è quello individualistico che fa riferimento al consenso. Questa è la strada seguita negli Stati Uniti e ora anche in Italia. L’altra è quella seguita in Gran Bretagna ( caso Tony Bland) : non importa la volontà-consenso ma il fatto che la vita è meramente biologica e non rimanda ad altri valori.

Il Papa non fa sconti alle pretese arbitrarie della modernità tecnologica; denuncia, senza esitare, il dilagare del culto dell’io, dell’«egolatria» o il diffondersi dell’«utopia del neutro», che offende la dignità umana nella sua identità bisessuale.

Ma soprattutto sottolinea con forza la necessità di un nuovo inizio.

Perché i cristiani sono coloro che, anche quando meditano sul passato e sulla tradizione, sanno che Dio è colui che fa nuove tutte le cose e che ciò che costituisce il nostro primo dovere non è la difesa del passato, ma l’instaurazione del futuro.




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