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Medici cattolici: “Legge sul testamento biologico ci preoccupa”

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In una nota, il prof. Boscia, dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, chiede che al personale sanitario venga consentita l’obiezione di coscienza source: zenit.org 7 febbraio 2017RedazioneFamiglia & Vita

“Il testo unificato elaborato dal comitato ristretto della Commissione Affari Sociali della Camera adottato come testo base sul testamento biologico se da un lato sancisce correttamente il diritto del malato ad autodeterminarsi nella scelta delle cure da intraprendere o sospendere, non può non destare grave preoccupazione il possibile stravolgimento del rapporto tra medico e paziente quando si prevede che il medico debba svolgere una mera funzione notarile rispetto alle volontà manifestate dal paziente o da un suo fiduciario”.

Ad affermarlo, in una nota, è il prof. Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, il quale aggiunge:

“L’orientamento contenuto nella proposta di legge determina una frattura dolorosa di quel rapporto fiduciario che si sviluppa tra il medico che offre, in scienza e coscienza, opzioni terapeutiche al bisogno di salute del malato, e quest’ultimo che, a sua volta, chiede accoglienza e condivisione della propria condizione di sofferenza”.

“Questa visione ha sempre rappresentato la natura sostanziale di una medicina umanizzante fondata sulla relazione di assoluta prossimità con il sofferente che non può essere ridotta ad una pratica meramente empirica e pragmatica che finirebbe con l’accrescere la sensazione di solitudine del malato e il senso di frustrazione e sconfitta da parte del medico”, sottolinea il presidente dei medici cattolici.

“Per questo appare giusto e necessario, nel citato testo legislativo, consentire ai medici, quando devono dolorosamente prendere atto della definitiva volontà del paziente di rinunciare alle cure, di esercitare una clausola che riconosca il primato della coscienza e consenta al medico di testimoniare la volontà di preservare sempre la vita”, conclude la nota.


Eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari -dossier -29/07/2016 http://www.camera.it/leg17/465?tema=questioni_bioetica

Presso le commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali) sono all'esame alcune proposte di legge (A.C. 1582 ed abb.), di cui una d'iniziativa popolare, disciplinanti i temi dell'eutanasia e del rifiuto dei trattamenti sanitari.

Si tratta di temi in parte connessi e collegati rispetto a quelli delle dichiarazioni anticipate di trattamento, ma connotati da una propria autonomia concettuale, considerati anche i profili di diritto penale coinvolti in tale ambito.

Nel nostro ordinamento la vita è un bene non disponibile. L'indisponibilità risulta, a livello costituzionale, dall'art. 2 Cost. e, a livello di legge ordinaria - oltre che dall'art. 5 del codice civile, che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo «quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume» - dalle disposizioni penali che puniscono l'omicidio del consenziente e l'istigazione o l'aiuto al suicidio (v. ultra), nonché, indirettamente, dall'art. 50, sull'efficacia scriminante del consenso della persona offesa, con esclusivo riferimento alla lesione dei beni disponibili.

Ogni affermazione della libertà di autodeterminazione dell'individuo non è dunque assoluta, dovendo essere temperata con il principio dell'indisponibilità della vita.

Con il termine eutanasia si indica convenzionalmente la morte cagionata per motivi di pietà nei confronti di una persona affetta da malattia probabilmente o certamente incurabile, allo scopo di sottrarla alle sofferenze inerenti al processo patologico terminale.

Peraltro, una cosa è provocare la morte con un diretto intervento di un terzo acceleratore dell'evento; altra e diversa cosa è lasciare che la malattia si manifesti nei suoi effetti fino alla morte.

Nel nostro ordinamento, soltanto nel primo caso (c.d. eutanasia attiva) si è in presenza di una condotta punibile (ai sensi degli articoli 579 c.p., Omicidio del consenziente e 580 c.p., Istigazione o aiuto al suicidio) in quanto intrinsecamente omicidiaria.

Nel secondo caso (c.d. eutanasia passiva) in tanto la condotta è punibile in quanto sussista in capo al medico o all'assistente il malato un obbligo di cura, ovvero un obbligo di compiere azioni positive idonee a impedire o ritardare l'evento. E il fatto primario che condiziona l'obbligo di cura è il consenso del paziente, senza e contro il quale non è giuridicamente lecito l'intervento terapeutico.

Se, dunque, il paziente rifiuta la cura, non sorge l'obbligo del medico o di qualsivoglia terzo di ritardare o impedire l'evento mortale e la vicenda che conduce alla morte non può definirsi eutanasia, non essendo provocata volontariamente la morte di alcuno.

Ove, pertanto, consentendo alla propria morte, il paziente, maggiore di età e in condizioni di capacità di intendere e di volere, rifiuti determinati interventi terapeutici o le cure che potrebbero probabilmente impedire o ritardare la morte, la mancata azione curativa del medico o di qualsivoglia terzo non integra una condotta illecita.

E proprio la difficoltà di poter esprimere una decisione del genere nella fase finale della malattia hanno favorito l'introduzione in vari Paesi dell'istituto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, destinate a sopperire alla mancanza di una manifestazione attuale di volontà del paziente (v. supra).

Le proposte di legge in esame sostanzialmente sanciscono la non punibilità del personale medico e sanitario che pratichi trattamenti eutanasici al paziente su richiesta di quest'ultimo in presenza di alcune condizioni.

Sostanzialmente la richiesta dei citati trattamenti deve provenire dal soggetto maggiorenne e capace di intendere e di volere in presenza di malattie con prognosi infausta in un arco temporale non superiore a 18 mesi, e che comportano gravi sofferenze fisiche e psicologiche. In caso di incapacità sopravvenuta, anche temporanea, del soggetto affetto dalla patologia, la volontà deve essere manifestata da persona nominata in precedenza, fiduciario per la manifestazione della volontà di cura.

Mentre alcune proposte di legge non consentono al medico destinatario della richiesta l'obiezione di coscienza e prevedono che, in caso di mancata attuazione dell'eutanasia, il medico sia tenuto al risarcimento dei danni morali e materiali, altre ritengono che il medico possa non acconsentire alla richiesta e dispongono che la stessa sia indirizzata ad altro medico di fiducia.



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