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Terrorismo islamico e demonizzazione del monoteismo

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Come al solito l’attentato terroristico di Parigi ha tra le altre cose aperto la cataratta dei luoghi comuni sul rapporto tra “religione” e violenza politica, quando non tra “religione” e violenza in quanto tale. source: lanuovabq.it di Robi Ronza 22-04-2017

Come lucertole risvegliate dal letargo al tepore della primavera, sono numerosi in questi giorni i presunti esperti che raggiungono microfoni e poltrone dei più diversi salotti radiofonici e televisivi portando ancora una volta alla ribalta una tesi cara a Zygmunt Bauman, il noto filosofo anglo-polacco recentemente scomparso.

La tesi secondo cui occorre tornare al politeismo perché il monoteismo sarebbe violento per natura.

Il politeismo, sosteneva Bauman, “si associa a una pacifica convivenza fra i modi di essere uomini; al contrario, il monoteismo si accompagna a una lotta fratricida tra quei modi, a una guerra reciproca fino allo sfinimento o all’annientamento”.

E’ questa la tesi al centro di Conversazioni su Dio e sull’uomo, il libro, edito in Italia nel 2014 da Laterza, frutto di un dialogo tra Bauman e Stanislaw Obirek, definito dal suo editore “teologo, storico, antropologo ed ex gesuita”.

Nello sviluppo del discorso tra i due si comprende che nella condizione moderna l’auspicato politeismo di cui si parla è in sostanza il secolarismo .

Trova così un’interessante conferma a contrariis la tesi di chi sostiene che politeismo e monoteismo non sono affatto due fasi successive della “storia delle religioni”.

Si tratta invece di due posizioni dello spirito umano che coesistono e si confrontano dalla più remota antichità, come il noto archeologo Giorgio Buccellati magistralmente dimostra nel suo Quando in alto i cieli… la spiritualità biblica a confronto con quella mesopotamica, Jaca Book, 2012.

A smentire la pretesa di Bauman che le culture “politeiste”, ovvero secolariste, siano una garanzia certa di pace e di rispetto dei diritti dell’uomo basterebbe fare due nomi, quello di Hitler e quello di Stalin. In quanto ebreo e in quanto polacco sono due nomi che a Bauman avrebbero dovuto ricordare molto cose. Non fu invece così a conferma della perdita di contatto con la realtà cui può condurre un pensiero come il suo.

Fino alla fine dei suoi giorni Bauman continuò imperterrito a sostenere che “Se il Dio è unico, allora all’uomo che è convinto di ciò tutto è permesso verso coloro che di questa convinzione sono privi”. In effetti non si capisce perché mai l’uomo che ha fede in un solo Dio dovrebbe perciò stesso ritenersi autorizzato a perseguitare coloro che non condividono tale suo convincimento.

C’è in questa pretesa un salto logico evidente. Incrollabile tuttavia in questa sua idea stravagante, Bauman arrivava perciò a concludere che “L’agnosticismo non è l’antitesi della religione, o della Chiesa. L’agnosticismo è l’antitesi del monoteismo e della Chiesa chiusa”; e che quindi non conoscere Dio è la “condizione più decorosa per un uomo onesto”.

E’ questo in realtà uno dei principali fra i grandi equivoci che stanno minando la capacità dell’Europa di dare una risposta forte e culturalmente motivata all’aggressione del terrorismo islamista. Perciò non sembri eccessivo il nostro esserci soffermati in dettaglio su di esso.

Anche se non c’è dubbio che nell’immediato contro il terrorismo islamista conta la difesa di polizia ed eventualmente anche quella militare, a lungo termine, e perciò in modo definitivo, contano le risposte culturali.

In tale orizzonte occorre poi rilevare che la categoria dei “monoteismi” è un’invenzione polemica con cui si pretende di mettere insieme delle realtà che sono in effetti molto diverse anche dal punto di vista dei loro riflessi sociali e politici.

Non è vero che tutti i “monoteismi” hanno i problemi che oggi travagliano l’islam. Se finora l’islam non riesce a dare risposte costruttive alle domande di libertà così forti nel nostro tempo ciò dipende in sostanza dal fatto che entro di esso non trova radice il principio di laicità (non a caso entrato nella storia con Gesù Cristo e il suo “Date a Cesare…”).

E dipende inoltre dal ruolo passivo che l’islam assegna all’uomo musulmano togliendogli così il coraggio di affrontare creativamente i problemi del mondo in rapida transizione in cui viviamo.

Per il bene di tutti dobbiamo sperare che anche in ambiente musulmano maturi la fede in un Dio provvidente ma anche rispettoso della libertà dell’uomo. Non però un’Europa “politeista”, ovvero sfasciata dal dilagare del relativismo e dello scetticismo, bensì un’Europa che riscopra creativamente le sue radici cristiane può reggere il confronto ed esercitare l’influsso di cui a tal fine l'islam ha bisogno per il bene suo e di tutti.



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