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L'allarme di un gesuita egiziano source: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 18 apr
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Venerdì 28 aprile, papa Francesco atterrerà in un Egitto ancora scosso dai massacri della domenica delle Palme, compiuti da musulmani in due chiese cristiane gremite di fedeli.

Ma il mantra delle autorità vaticane, a cominciare dal papa, continua ad essere che "l'islam è religione di pace". Vietatissimo parlare di "guerra di religione" o di "terrorismo islamico".

Ci aveva provato per una volta " La Civiltà Cattolica ", in un editoriale del 2014 firmato da padre Luciano Larivera (oggi non più tra gli "scrittori" della rivista), a farsi assalire dalla realtà e a scrivere a proposito dell'ala più bellicosa del mondo musulmano: "La sua è una guerra di religione e di annientamento. Strumentalizza il potere alla religione e non viceversa".

Ma immediatamente era intervenuto padre Antonio Spadaro a sconfessare questa semplice verità inopinatamente apparsa sulla rivista da lui diretta.

Alla vigilia del viaggio di Francesco al Cairo, ecco però che essa è ricomparsa di nuovo, ben argomentata, questa volta su " L'Osservatore Romano " e ancora ad opera di un gesuita.

Il nome di costui è Henri Boulad. Ha 86 anni ed è nato ad Alessandria d'Egitto da una famiglia siriana di rito melchita scampata ai massacri anticristiani del 1860. Vive al Cairo e quella che segue è parte dell'intervista che ha dato al quotidiano della Santa Sede datato 13 aprile, Giovedì Santo.

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D. – Padre Boulad, lei è stato rettore del Collegio dei gesuiti al Cairo dove hanno studiato tanti musulmani e cristiani, un esempio concreto di convivenza. Eppure oggi il mondo sembra essere sotto attacco dallo stesso islam.

R. – Ma di quale islam parliamo? È questo il punto. Nel Corano ci sono i versetti meccani e quelli di Medina. In quelli scritti alla Mecca, Maometto fa un discorso molto aperto che parla di amore, i giudei e cristiani sono nostri amici, non c’è obbligo nella religione e Dio è più vicino a noi. La prima parte della vita di Maometto trasmette dunque un messaggio spirituale, di riconciliazione e di apertura.

Ma quando Maometto lascia La Mecca per fondare Medina, c’è un cambiamento. Da capo spirituale diventa un capo di Stato, militare e politico. Oggi i tre quarti del Corano sono versetti di Medina e sono un appello alla guerra, alla violenza e alla lotta contro i cristiani.

I musulmani nei secoli IX e X hanno preso atto di questa contraddizione e si sono messi insieme per tentare di risolverla, il risultato è stato che hanno preso una decisione ormai famosa di "abrogante" e "abrogato": i versetti di Medina abrogano quelli della Mecca. Non solo. Il sufismo viene rifiutato e intere biblioteche vennero bruciate in Egitto e in Africa del Nord.

Bisognerebbe allora riprendere i versetti originali che sono la fonte e che sono appunto i versetti della Mecca, ma questi sono stati abrogati e ciò rende la religione musulmana una religione della spada.

D. – Molti osservatori e analisti parlano però di un islam moderato.

R. – L’islam moderato è un’eresia, ma dobbiamo distinguere tra la gente e l’ideologia, la maggior parte dei musulmani sono molto aperti, gentili e moderati. Ma l’ideologia presentata nei manuali scolastici è radicale. Ogni venerdì i bambini sentono la predica della moschea che è una continua incitazione: chi lascia la religione musulmana deve essere punito con la morte, non bisogna salutare una donna o un infedele, e per fortuna questo non è praticato, ma i fratelli musulmani e i salafiti vogliono invece questa dottrina, i musulmani moderati non hanno voce e il potere è nelle mani di chi pretende di interpretare l’ortodossia e la verità.

Ad avere oggi il potere non sono i musulmani che hanno preso dall’islam quello che è compatibile con la modernità e con la vita comune con altra gente, ma i musulmani radicali, quelli che applicano un’interpretazione letterale, e a volte anche strumentale, del Corano e che rifiutano qualsiasi dialogo.

D. – Ma in questo modo negano l’opera di tutti i grandi pensatori musulmani come Avicenna o Al-Ghazali.

R. – Sì, e questo è il punto sensibile. La riforma che c’è stata nella storia dell’islam è stata rifiutata. Per esempio il califfo abbaside El Maamoun nato a Bagdad nel 786 e morto a Tarso nel 833, seguace dei mutaziliti, i razionalisti dell’islam, ha tentato una riforma, ma chi si ricorda oggi di lui? È prevalso l’islam chiuso e rigoroso di Muhammad ibn Abd al-Wahhab. L’ultima riforma è stata quella tentata dallo sheikh Mahmoud Taha in Sudan, che però a Khartum è stato impiccato nella piazza della città perché aveva detto che i versetti della Mecca dovevano abrogare quelli di Medina.

È un problema interno all’islam, che non offre risposte alle domande della vita moderna e si trova di fronte alla necessità di riformare se stesso. L’islam avrebbe bisogno di un Vaticano II.

D. – Oggi quali sono le sfide che l’Egitto ha di fronte?

R. – Un fenomeno di cui si parla poco è l’ateismo. In Egitto ci sono oltre due milioni di atei. Lo sono diventati perché non sopportano più la religione come incitazione alla violenza o alle esecuzioni capitali. In questo non c’è nulla di divino. Non vogliono più il fanatismo, la liturgia come ripetizione meccanica di gesti e preghiere. E lasciare la religione è qualcosa del tutto nuovo in Egitto e nel mondo arabo.

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POST SCRIPTUM – In occasione dei 90 anni di Joseph Ratzinger, lo Stato e la Chiesa della Polonia hanno tenuto a Varsavia un convegno sul tema: "Il concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento di Joseph Ratzinger / Benedetto XV".

E nel messaggio che il "papa emerito" ha inviato il 15 aprile al presidente e ai vescovi della Polonia si legge: "Il tema scelto porta autorità statali ed ecclesiali a dialogare insieme su una questione essenziale per il futuro del nostro continente. Il confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici, conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle".

Parole e giudizi impensabili sulla bocca del successore.






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