Corso di Religione

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La manovra "sleale" di chi vuole riscrivere "Humanae vitae".
Ricevo e pubblico. L'autore della lettera è un ecclesiastico con specializzazione scientifica di alto livello e con rilevanti incarichi d'insegnamento in Italia e all'estero, ma che dedica anche tempo ed energie alla cura pastorale. source :08 feb 2018 S. Magister http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 

... In questa lettera mette in luce l'infondatezza degli argomenti recentemente addotti – principalmente in una conferenza autorizzata dall'alto alla Pontificia Università Gregoriana – per reinterpretare e in sostanza invalidare l'insegnamento dell'enciclica di Paolo VI " Humanae vitae ".

In particolare, egli confuta come "sleale" la pretesa di far derivare la liceità delle tecniche anticoncezionali dal fatto che già un gran numero di coniugi cattolici le pratica, convinti in coscienza di agire nel giusto.

La responsabilità di questa "coscienza erronea" promossa a virtù – spiega – non può essere scaricata sui coniugi, ma deve essere ricondotta a chi nella Chiesa li ha male educati, sistematicamente tacendo o deformando l'insegnamento di "Humanae vitae".

Come già per la precedente lettera, anche questa volta è doverosa la riservatezza sul nome dell'autore, per non esporlo a prevedibili e inesorabili ritorsioni.  

"Caro Magister, tra gli obsoleti argomenti rispolverati dal teologo moralista della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (FTIS, Milano), nonché membro di fresca nomina della “nuova” Pontificia Accademia per la Vita, professor don Maurizio Chiodi, per togliere autorevolezza e credibilità alla norma della lettera enciclica "Humanae vitae" (HV) del beato Paolo VI – che indica come moralmente illecita la contraccezione e, invece, come accettabili i metodi per evitare un concepimento che si basano sulla conoscenza e la individuazione personalizzata dei periodi infecondi del ciclo femminile – vi è quello del mancato recepimento di questa norma nell’ethos coniugale degli sposi cattolici, pur di solida fede e praticanti per altre dimensioni della vita cristiana.

Il sessantaduenne teologo bergamasco, in una conferenza pubblica a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dal titolo “Rileggere 'Humanae vitae' alla luce di 'Amoris laetitia'”, tenutasi il 14 dicembre 2017, ha contestato la permanente validità e vincolatività, per tutti i fedeli che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio e vivono more uxorio, dell’insegnamento del beato Paolo VI – confermato dai suoi successori san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e sino ad oggi non abrogato da papa Francesco – che "condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi" (HV, 16) e denuncia come "errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda" (HV, 14).

Uno degli argomento addotti da don Chiodi per cercare di scardinare il magistero di papa Giovanni Battista Montini sulla intrinseca illiceità di ogni azione che separa intenzionalmente "i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo" (HV, 12), si appoggia sulla osservazione di natura statistico-sociologica-pastorale che questa norma sarebbe stata largamente disattesa dal popolo di Dio, con la conseguenza pratica di non essere osservata dalla maggior parte delle mogli e dei mariti, i quali, pur utilizzando la contraccezione, non si accuserebbero di questo peccato nel corso della confessione sacramentale, né chiederebbero l’aiuto del confessore per giudicare circa la rettitudine o meno del loro comportamento.

L’argomento che "una vasta maggioranza anche delle coppie di credenti sposati vive come se questa norma non esistesse" (citazione dalla traduzione inglese di Diane Montagna della registrazione della conferenza di don Chiodi, pubblicata su Life Site News l'8 gennaio) non è certo originale.

Già nel 1985, monsignor Giuseppe Angelini, anche lui teologo della FTIS, scriveva: "La divaricazione tra morale personale dei cattolici e magistero ecclesiale è particolarmente accentuata sul tema della contraccezione. […] È stata più volte rilevata la distanza delle argomentazioni proposte per sostenere la condanna morale di ogni artificiale tecnica contraccettiva rispetto alla prospettiva personalistica di approccio al tema della sessualità" ("La teologia morale e la questione sessuale. Per intendere la situazione presente", in: Aa. Vv., "Uomo-donna. Progetto di vita", Roma 1985, 47-102, pp. 49-50).

Il tentativo di scaricare sui fedeli laici – in particolare, i coniugi – l’onere della prova che l’insegnamento di HV sulla regolazione naturale delle nascite non apparterrebbe al patrimonio consolidato e perenne della dottrina morale cattolica risulta maldestro e fuorviante, e deve essere respinto.

È infatti un giudizio temerario quello che vorrebbe vedere i coniugi cattolici come i principali o unici responsabili della non attuazione della norma di HV, che essi avrebbero rifiutato in nome di una “altra verità” del rapporto tra amore e procreazione che non consentirebbe alla loro coscienza di giudicare ultimamente come un male la contraccezione.

A ben vedere, e sulla scorta di una lettura della vicenda teologica e pastorale di HV in molte Chiese locali a partire dalla fine degli anni Sessanta, le cose non stanno così. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), che in questo segue la teologia morale e il magistero precedente, "l'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza" (CCC, n. 1790).

È dunque ammissibile che molti credenti sposati (in alcune comunità cristiane forse anche la maggioranza o addirittura la quasi totalità), nel deliberare il ricorso alla contraccezione, abbiano seguito la loro coscienza, la cui voce, con certezza, non indicava questa azione come un male da evitare.

Questo significa che la contraccezione non sia intrinsecamente un male? È forse il loro comportamento “secondo coscienza” la prova morale che la legge di HV è contraria alla coscienza dei coniugi cristiani e, dunque, non è giusta?

No.

La loro coscienza, per quanto certa, non era retta, perché "accade che la coscienza morale sia nell'ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute" (CCC, n. 1790).

Poniamoci allora questa ulteriore domanda: con la loro scelta contraccettiva “secondo coscienza erronea” questi numerosi coniugi portano la responsabilità di prestare una “testimonianza della coscienza” contro il magistero, ossia di indicare a chi compete l’insegnamento morale cattolico che quanto prescritto da HV confligge con la coscienza del credente e, dunque, non ha valore vincolante?

Se così fosse, il teologo moralista o pastoralista che raccoglie il vissuto degli sposi rispetto alla regolazione delle nascite, e lo studia al fine di sottoporre all’autorità della Chiesa una proposta circa questa materia (come intende fare don Chiodi), attribuirebbe loro una grave responsabilità. Sulla base di quello che le loro scelte in coscienza attestano verrà emesso infatti un giudizio che si tradurrà in una norma (nuova o modificata, oppure reinterpretata) che dovrà valere per tutti i credenti.

Se la testimonianza delle loro coscienze è falsa, i fedeli porterebbero il peso di un orientamento fuorviante impresso a tutta la Chiesa e il teologo nasconderebbe la sua responsabilità nei confronti di questo “nuovo corso” dietro alla risposta del popolo alla domanda pilatesca: “In coscienza, cosa volete che sia liberalizzata: la regolazione naturale della fertilità o la contraccezione?”

In realtà, le cose non posso andare affatto così. Sarebbe troppo comodo (e soprattutto sleale) non considerare che una coscienza erronea ed i suoi giudizi non sono sempre imputabili alla responsabilità dei singoli.

All’origine delle deviazioni del giudizio della coscienza non vi è sempre l’incuranza colpevole di cercare la verità e il bene, ma vi può essere una ignoranza incolpevole della verità e del bene (cfr. CCC, n. 1792-1793).

Questo accade, per esempio, quando una persona o un numero anche ampio di credenti non hanno avuto la possibilità di ricevere una adeguata formazione della coscienza e una illuminazione del giudizio morale (cfr. CCC, n. 1783) perché non è stata loro offerta nessuna opportunità di conoscere integralmente e fedelmente gli insegnamenti della Chiesa che li riguardano direttamente.

Questo è appunto ciò che è accaduto nel caso della dottrina di HV. Per decenni innumerevoli sacerdoti, catechisti, formatori e accompagnatori dei corsi di preparazione al sacramento del matrimonio ed educatori dei giovani nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti cattolici hanno ingiustificatamente taciuto sull’insegnamento della Chiesa a proposito della regolazione delle nascite.

Oppure, lo hanno presentato in modo parziale o erroneo, per esempio dicendo che ciò che conta per gli sposi è “aprirsi alla vita”, generando uno o qualche figlio, e non, invece (secondo HV) che ogni singolo atto coniugale deve restare aperto alla vita secondo il disegno creaturale di Dio, nel quale è previsto che non tutti i periodi dell’età feconda della donna siano fertili.

Numerosi sono stati anche – tra i sacerdoti e i laici incaricati della pastorale familiare – coloro che, per ignoranza colpevole, non si sono aggiornati sugli aspetti pratici dei metodi per la regolazione naturale della fertilità e sulla loro effettiva capacità di indicare i giorni nei quali il coito può dar luogo ad un concepimento e quelli in cui quest’ultimo non può avvenire.

Molti sono rimasti fermi al solo rilievo delle variazioni cicliche della temperatura corporea interna in condizioni basali (metodo del calendario), che effettivamente risultava non sempre attendibile quando fu promulgata HV, ignorando che, nel frattempo, altri metodi basati su rilevazioni sintomatiche o biochimiche (livelli di ormoni nelle urine) si sono resi disponibili e sono attualmente in uso per individuare i giorni fertili della donna, fornendo – in associazione alla continenza periodica – risultati comparabili a quelli dei metodi contraccettivi più diffusi.

Quanti preti o educatori continuano a ripetere ai fidanzati e agli sposi: “Tanto non funzionano!” o “Se li usate, farete figli come i conigli!”. Al contrario, laddove, nelle comunità cattoliche (e non solo) sia dei Paesi occidentali che in Africa e in Asia, i metodi naturali sono presentati ed insegnati alle coppie di sposi in modo corretto sia nella loro ragione antropologica ed etica che nella loro applicazione pratica, elevati sono il consenso che essi trovano tra i coniugi e la diffusione nelle famiglie e tra i giovani.

Ancor più oggi che quando venne pubblicata HV, in quanto la visione antropologica da essa proposta incontra ora uno sguardo “laico” alla vita sessuale e alla procreazione guidato da una maggiore sensibilità alla “ecologia del corpo umano” (in particolare di quello femminile) e dal ricorso alla “natura” come sorgente per regolarne le diverse funzioni, anziché dall’impiego di prodotti chimico-farmaceutici e di dispositivi meccanici.

Ma sarebbe ingeneroso o addirittura un grave torto nei confronti dei sacerdoti e dei loro collaboratori pastorali se si scaricasse su di essi l’intera o maggiore responsabilità di non avere formato rettamente le coscienze dei fedeli e degli sposi cattolici in materia di procreazione responsabile.

A sua volta, infatti, troppo spesso il clero non è stato formato adeguatamente o correttamente circa l’insegnamento di HV. In quanti seminari, corsi delle facoltà teologiche o incontri di aggiornamento per sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose essi non vengono istruiti circa le ragioni antropologico-teologiche e morali che soggiaciono alla dottrina di HV!

Se loro stessi non sanno rendere pienamente ragione dell’insegnamento del beato Paolo VI, confermato dai suoi successori fino all’attuale papa, come potrebbero illuminare su questo i fedeli? Una pesante responsabilità per questa deplorevole situazione deve quindi essere ravvisata in non pochi docenti di antropologia teologica della corporeità e della sessualità e di teologia morale della vita matrimoniale che svolgono corsi nei seminari, nelle facoltà teologiche e negli istituti superiori di scienze religiose.

Senza dimenticare la responsabilità, anch’essa grave, dei vescovi diocesani e dei superiori degli ordini religiosi che hanno nominato questi docenti o hanno omesso di controllare il loro operato nella formazione dei seminaristi, del clero e dei consacrati.

Del resto, non si può dimenticare che lo stesso professor Chiodi fu più volte chiamato dall’allora presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, a tenere dei seminari sulla morale coniugale e la procreazione per gli officiali di questo dicastero. I quali però – solidamente formati alla scuola dei predecessori di monsignor Paglia, i cardinali Alfonso López Trujillo ed Ennio Antonelli – non si piegarono mai a quel tentativo di indottrinamento promosso da colui che ora è presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Grazie per l'attenzione e tanti saluti cordiali, "ad maiorem Dei gloriam".

[Lettera firmata]

* In questo clima di revisionismo applicato a "Humanae vitae" va tuttavia rilevato che vi sono anche importanti prese di posizione a sostegno dell'insegnamento autentico di quell'enciclica. È il caso, tra altri, della lettera pastorale pubblicata il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù al tempio, dall'arcivescovo di Denver Samuel J. Aquila, disponibile sul sito della diocesi sia in inglese che in spagnolo: The Splendor of Love

La lettera fa ampio riferimento alla "teologia del corpo" predicata da Giovanni Paolo II e traccia un bilancio molto positivo dei corsi di Natural Family Planning promossi nella diocesi per le giovani coppie, prima e dopo il loro matrimonio. È scritta con linguaggio semplice ed efficace e si conclude con un dizionario dei termini che sono oggetto di controversia, da castità a contraccezione, da paternità responsabile a rivoluzione sessuale.

Per i lettori di lingua italiana, una sintesi della lettera pastorale può essere letta in questo servizio di ACI Stampa: Da Denver una certezza: "Humanae vitae", un'enciclica sempre attuale





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