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Il terrorismo islamista si sta diffondendo in Asia e più ancora nell’Africa subsahariana.




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Quei martiri di cui non si dà notizia. Una testimonianza dal Burkina Faso .

source : http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/


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L’uccisione del capo dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi non consente affatto di abbassare la guardia sull’aggressività delle innumerevoli unità armate che si ispirano al fondamentalismo islamista.

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Aiuto alla Chiesa che Soffre , la fondazione di diritto pontificio impegnata nel sostegno ai cristiani perseguitati in tutto il mondo, ha pubblicato pochi giorni fa un aggiornamento sui venti Paesi nei quali la persecuzione religiosa è oggi più pesante.

Sono i Paesi dipinti di rosso nella mappa riprodotta qui sopra. In sedici su venti, a imperversare è il terrorismo di matrice musulmana. E in otto di questi sedici Paesi l’aggressione ai cristiani si è fatta nell’ultimo anno ancor più implacabile.

Questi otto Paesi sono Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Repubblica Centroafricana, Eritrea, Sri Lanka, Filippine.

Non è in Medio Oriente, quindi, che si scatena oggi di più il terrorismo islamista, ma in Asia e più ancora nell’Africa subsahariana. Esattamente come predicato da Abu Bakr al-Baghdadi nell’ultimo suo video del 29 aprile scorso, nel quale egli rivendicava allo Stato islamico l’ecatombe in Sri Lanka di pochi giorni prima, con 258 morti e 500 feriti in tre chiese cristiane, la mattina di Pasqua.

Notizie più dettagliate, su ciascuno dei venti Paesi, sono nel dossier messo in rete da Aiuto alla Chiesa che Soffre: Perseguitati più che mai. Focus sulla persecuzione anticristiana, 2017-2019

L’amara novità di questa mappa del terrore è data, appunto, dalla sua espansione in Africa, come prova anche quest’altro rapporto del direttore di “Analisi Difesa”, il web-magazine specializzato in teatri di guerra e questioni militari: Sconfitto in Siria, l'ISIS passa al contrattacco in Africa

E tra i Paesi africani, l’ultimo che è stato invaso da armate jihadiste è il Burkina Faso, con un crescendo di aggressioni, quest’anno, quasi tutte mirate contro le comunità cristiane.

Ma lasciamo la parola a un testimone diretto di questo martirio ai più sconosciuto, Roger Kologo, sacerdote della diocesi di Dori, tipica terra di missione, con una soverchiante maggioranza di musulmani e una piccola minoranza di cattolici.

Roger Kologo ha reso questa toccante testimonianza lo scorso 24 ottobre in un incontro promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre, nella basilica romana di San Bartolomeo all’Isola, dedicata ai martiri cristiani di oggi.


“Era Venerdì Santo. E hanno mescolato il loro sangue a quello del Crocifisso” di Roger Kologo

La diocesi di Dori è una delle quindici diocesi del Burkina Faso. A causa della sua collocazione geografica, al confine con il Mali e il Niger, e di fattori endogeni, a partire dal novembre 2015 è stata la prima ad essere colpita dal terrorismo islamista e quella che ha subito il maggior numero di attacchi.

Nel 2018 alcuni cristiani furono uccisi nel villaggio di Tabramba e si capì subito che il loro omicidio era motivato dal loro ruolo di leadership nella locale comunità.

Seguì il rapimento di una coppia di catechisti – Matthew Sawadogo e sua moglie – nonché di un pastore evangelico sequestrato con tutta la sua famiglia nel giorno di Pentecoste, il 20 maggio 2018, nel villaggio di Basneere. Saranno rilasciati quattro mesi dopo, con l'eccezione di due giovani figli che furono trattenuti per farne dei combattenti della jihad.

Da lì in poi le irruzioni di uomini armati nei villaggi, con l’imposizione di osservare un Islam rigoroso, si fecero più frequenti. Il 1° gennaio 2019 scoppiò un violento conflitto intercomunitario che segnò la svolta che ha portato all’attuale situazione.

Sottoposti a minacce ed attacchi, alcuni villaggi della provincia di Soum si sono svuotati dei loro abitanti. In questi villaggi vivevano le principali comunità rurali della diocesi. Il vescovo, alla fine di gennaio, ha dovuto chiudere la parrocchia di Arbinda, mentre nelle parrocchie di Gorom-Gorom e Djibo l'animazione pastorale si è dovuta ridurre a poche località.

Con coraggio, tuttavia, il parroco di Djibo, don Joël Yougbare, continuò a recarsi in alcuni villaggi per fare visita alle comunità di fedeli. Si intuì che fosse stato seguito più di una volta dai terroristi. E purtroppo il 17 marzo 2019 verso le 17, mentre tornava da una di queste visite, fu intercettato e condotto in un luogo sconosciuto.

Ero arrivato anch’io nella sua parrocchia la sera prima, il 16 marzo, per un incontro della Caritas e mi ero preoccupato quando durante la cena mi aveva riferito che il giorno seguente si sarebbe spostato per incontrare un’altra comunità di fedeli. Don Yougbare era un sacerdote “Fidei Donum”, votato all’impegno missionario. La crescita delle comunità cristiane era la sua prima preoccupazione (2 Cor 11, 28). Continuiamo a pregare il Signore affinché possiamo ritrovarlo in vita.

La persecuzione dei cristiani è divenuta ancor più evidente dallo scorso 19 aprile, Venerdì Santo. Nel villaggio di Djika la comunità si era radunata alle 16 per celebrare la Passione del Signore. Un quarto d’ora dopo la cappella fu circondata da uomini armati che interruppero la celebrazione e bruciarono gli addobbi dell'altare e i libri dei canti.

Poi fecero uscire i fedeli, separarono gli uomini adulti dalle donne e dalle persone anziane prima di sparare al gruppo degli uomini adulti, uccidendo quattro di loro e mescolando così il loro sangue a quello del Crocifisso. La comunità seppellì i suoi morti prima di abbandonare il villaggio in cerca di un luogo più sicuro.

Dieci giorni dopo, domenica 28 aprile, a Silgagji, un altro attacco colpì una chiesa protestante. I terroristi seguirono la medesima procedura, uccidendo il pastore e cinque fedeli. Due settimane dopo, domenica 12 maggio, fu attaccata la chiesa parrocchiale di Dablo, nella diocesi di Kaya. Il sacerdote che celebrava la messa fu assassinato assieme a cinque dei suoi fedeli.

Il giorno successivo nella vicina città di Zimtanga, nella diocesi di Ouahigouya, fu interrotta una processione, quattro cristiani furono uccisi e una statua della Vergine fu distrutta. Tutto questo in 24 ore e in un raggio di 40 chilometri. Lo stesso scenario si ripeté poi a Toulfe, ancora nella diocesi di Ouahigouya, cento chilometri più lontano, dove quattro persone persero la vita il 26 maggio.

Sfortunatamente, siamo arrivati a uno stadio in cui i cristiani sono divenuti degli obiettivi di caccia e i fedeli vengono perfino raggiunti nelle loro case e giustiziati. Nella diocesi di Dori, il delegato della comunità di Essakane è stato ucciso proprio così: una sera degli uomini gli chiesero perché non avesse digiunato o pregato come loro durante il mese del Ramadan. Poi andarono a casa sua e lo uccisero.

Nella diocesi di Ouahigouya questo tipo di esecuzioni sono ancor più numerose. Nei villaggi caduti ormai nella più totale insicurezza, i nostri fratelli nella fede sono degli obiettivi chiaramente identificati e vengono uccisi semplicemente perché cristiani. Dall’inizio dell'anno sono più di sessanta, in Burkina Faso, i fedeli uccisi per la loro fede.

Non posso finire senza ricordare don César Fernandez, missionario salesiano di origine spagnola, ucciso il 15 febbraio al confine con il Togo. E assieme a lui è anche giusto ricordare tutti coloro. non battezzati, che sono stati uccisi perché appartenenti a leadership locali o perché si sono opposti alla violenza terroristica, come i 16 musulmani uccisi nella loro moschea l'11 ottobre.

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Per un quadro complessivo del precipitare della situazione in questo paese africano, vedi a pagina 7 de "L'Osservatore Romano" dell'8 novembre: La fuga dei cristiani del Burkina Faso

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