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Il nazional-cattolicesimo, un pericolo per la Chiesa

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Impossibile traghettarsi in un’età sovranista restando uguali. Però il problema non è militare contro la Lega, ma dialogare con i timori degli italiani

source : corriere.it    di Andrea Riccardi | 10 dicembre 2019, 21:15 - modifica il 10 dicembre 2019 | 21:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA


L’intervista del cardinale Ruini ad Aldo Cazzullo ha agitato le acque un po’ ferme del cattolicesimo italiano. Se n’è colto soprattutto il riferimento a Salvini: «Il dialogo con lui mi sembra pertanto doveroso», ha detto il cardinale, storico personaggio degli anni di Wojtyla.

In realtà, vari esponenti della Chiesa italiana hanno già incontrato Salvini, ma la proposta di Ruini ha messo in rilievo l’assenza di un dibattito e di una riflessione nella Chiesa sulla Lega. Questa, infatti, è non solo un fenomeno politico, ma anche una realtà che coinvolge molti fedeli, tanto che alle scorse elezioni è stato il partito più votato dai cattolici.

Qualcosa di profondo sta avvenendo nella Chiesa: una parte dei cattolici italiani non accoglie il messaggio sociale di papa Francesco, mentre cerca rassicurazioni e si mostra sensibile a un cattolicesimo che dia identità. Questo apre serie domande da affrontare.

Il fenomeno non è solo italiano ma, a dir poco, europeo. La Chiesa è ovunque sollecitata a guardare con più attenzione alla nazione e all’identità. Verso la Chiesa si leva una domanda di «nazional-cattolicesimo», già in opera nella pur secolarizzata Ungheria che proclama l’identità cristiana contro Bruxelles e parla di «invasione» di migranti e musulmani.

Non solo nell’Est ma anche in Occidente, i movimenti sovranisti sono attenti ai valori e ai simboli cristiani, pur senza eccessive identificazioni. Oggi, capovolgendo la storia novecentesca, la domanda d’ideologia viene – per semplificare – da destra.

E la Chiesa è sollecitata a essere una riserva di legittimazione. Si tratta di un recupero del cattolicesimo tradizionale? di una protesta contro il papa argentino?

Il tema della nazione (su cui il cardinale Bergoglio ha lavorato nel suo Paese), fu trattato da Giovanni Paolo II, che formulò una vera teologia della nazione, ma dentro una visione comunitaria europea.

Nel 2004, volle l’ingresso della Polonia nell’Unione, nonostante le reticenze di vescovi polacchi e il fatto che già s’intravedeva come non sarebbero state riconosciute le «radici cristiane» del continente. E poi, sul tema dei migranti, il magistero di Wojtyla, a leggerlo bene, appare quasi più forte sull’accoglienza di quello di Bergoglio (anche se era un periodo diverso).

Il nazional-cattolicesimo non è una riedizione della visione di Wojtyla. È qualcosa di nuovo, seppur con richiami all’antico, frutto dello spaesamento globale che preme per la ridefinizione antagonistica delle identità e dei sentimenti nazionali. Quel che meraviglia è oggi la carenza di riflessione nella Chiesa su questo fenomeno.

Il problema degli orientamenti leghisti non è solo politico, ma ecclesiale. La Chiesa di Pio XII in Italia, che avversava il comunismo, fece una commissione guidata dal cardinale Lercaro, per studiare l’attrazione dei fedeli verso il Pci. Niente si ripete e la realtà è diversa. Ma oggi la Chiesa sembra preferisca non affrontare il problema.

Così, con il tempo, si rischia che i cattolici vadano al traino degli umori di massa, archiviando definitivamente una cultura popolare condivisa o almeno orientamenti comuni.

Il cardinale Bergoglio disse, riprendendo Wojtyla, che «una fede che non si fa cultura non è una vera fede». E noi moderni – diceva Mircea Eliade – siamo destinati a risvegliarci alla vita dello spirito mediante la cultura. Ma questo è il punto: altrimenti si va verso un cattolicesimo deculturato. Né la Chiesa può traghettarsi, restando tale e quale, in un’età sovranista, se gli elettori la vorranno.

Il clima e i cambiamenti politici indotti da una simile stagione porteranno a un’altra Italia, da un punto di vista socio-politico e antropologico. E quest’Italia, seppure ricorrerà ai simboli religiosi, non sarà favorevole alla Chiesa di popolo e di comunità, creatasi dopo il Vaticano II.

Un’Italia sovranista non sarà incline all’universalismo cattolico, eredità dei papi e del Concilio, alla cui ombra sono cresciute l’Europa unita e tante visioni e azioni verso il mondo. Il nazional-cattolicesimo sarà lacerante nella Chiesa. Nel Novecento, i papi sono stati tenaci nel marginalizzare il nazionalismo cattolico.

Il vero problema, per la Chiesa, non è militare contro la Lega, bensì dialogare con i timori degli italiani, provando a farli uscire dalla paura della storia. Questo si accompagna al passaggio dall’io (isolato e spaventato) al noi, che vuol dire cercare insieme il senso di un destino comune.

Così parla papa Francesco, ma il suo discorso non può essere quello di un vertice «profetico», bensì va «letto» nella realtà italiana. Questo vuol dire dibattito nella Chiesa, estroversione e segni. Insomma un cristianesimo dallo spessore storico.

Recentemente è stata pubblicata un’osservazione del cardinale Martini: «Il primato va dato ai Vangeli, non ai valori. Solo partendo dal primato del Vangelo, si potrà dire che si mettono a posto anche i valori».

Forse bisogna chiedersi, a quasi sette anni dall’elezione del papa e a sei dell’ Evangelii Gaudium , come il cristianesimo italiano abbia comunicato il Vangelo o se, invece, non soffra di qualche afonia.




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